Per una notte il capoluogo sabaudo sotto i riflettori della gastronomia internazionale: è la prima volta che la finale della World’s 50 Best Restaurants si tiene in Italia, a Torino. Ecco quali sono le previsioni per gli italiani e quale sarà il peso di questo evento sulla scena italiana.
Torino si prepara ad accogliere alcuni fra i migliori chef al mondo. La notizia è ormai nota: per la prima volta il nostro Paese ospiterà la The World’s 50 Best Restaurants – la classifica gastronomica più importante al mondo meglio conosciuta come "50 Best" – e sarà proprio la città sabauda a fare gli onori di casa. L'appuntamento è fissato per il prossimo 19 giugno a Torino, che diventerà per una notte la capitale mondiale della gastronomia.
Un evento di portata internazionale che non solo attirerà i grandi nomi della ristorazione da ogni continente, ma che inevitabilmente metterà sotto i riflettori anche la scena gastronomica italiana. Se è vero infatti che la cucina italiana gode da sempre di grande prestigio, è altrettanto vero che la sua rappresentanza nella classifica dei migliori ristoranti del mondo ha vissuto alti e bassi nel corso degli anni. L’edizione torinese potrebbe essere l’occasione per un rilancio.
In attesa della cerimonia torinese, l'attesa è stata alimentata dalla classifica delle posizioni dalla 51 alla 100, che spesso anticipa i movimenti più interessanti dell’anno. L'Italia si distingue con l'ingresso del ristorante Al Gatto Verde di Modena, al 92° posto, guidato dalla chef Jessica Rosval e parte della "Francescana Family" di Massimo Bottura. Parallelamente, l'uscita dalla classifica di Le Calandre dei fratelli Alajmo e dell'Atelier Moessmer di Norbert Niederkofler, precedentemente al 51° e 52° posto, potrebbe indicare un loro ingresso nella top 50, alimentando le aspettative per la cerimonia di Torino.
Nel corso delle varie edizioni della 50 Best, alcuni chef italiani hanno saputo imporsi con forza, contribuendo a ridefinire l’immagine della cucina italiana contemporanea. Tra tutti, il nome più iconico resta quello di Massimo Bottura: la sua Osteria Francescana di Modena ha raggiunto per ben due volte la vetta della classifica (nel 2016 e nel 2018), consolidando la fama del cuoco emiliano come uno dei più grandi innovatori della tradizione gastronomica italiana.
Ultimamente però la presenza italiana ha visto qualche oscillazione. Oltre a Bottura, nella 50 Best hanno man mano trovato spazio alcuni fra i maggiori nomi del fine dining italiano: da Enrico Crippa, con il suo ristorante Piazza Duomo ad Alba, più volte nella top 20, a Niko Romito, con il Reale a Castel di Sangro, passando per Mauro Uliassi, con il suo Uliassi a Senigallia.
Negli ultimi due anni in particolare, però, si è assistito a un leggero calo della presenza italiana nella top 50, in parte compensato dalla crescita di ristoranti italiani nella seconda fascia della classifica (la 51-100). L’edizione di Torino potrebbe rappresentare un’occasione di rivincita, spinta anche dall’attenzione mediatica e dal fatto che la manifestazione si svolgerà in casa.
La The World’s 50 Best Restaurants è una classifica internazionale lanciata nel 2002 dal gruppo britannico William Reed Business Media. Oggi è considerata — accanto alle stelle Michelin — uno dei principali indicatori del successo e della qualità di un ristorante a livello globale.
La selezione avviene attraverso una giuria composta da oltre 1.000 esperti del settore: chef, ristoratori, giornalisti gastronomici, critici ed esperti. Ogni giurato indica i 10 ristoranti migliori che ha visitato negli ultimi 18 mesi. Il sistema di voto è volutamente ampio e aperto, senza checklist rigide: si premia l’esperienza complessiva, la qualità del cibo, il servizio, l’atmosfera, la personalità dello chef e della cucina proposta.
Se da un lato questa apertura ha reso la classifica molto dinamica e meno dogmatica rispetto ad altre guide, dall’altro ha anche attirato qualche critica — soprattutto riguardo a possibili squilibri geografici e al peso dell’"effetto moda". Ad ogni modo, negli ultimi anni, però, la 50 Best ha fatto notevoli sforzi per ampliare la rappresentanza geografica e culturale, spingendo sempre di più una visione della cucina globale, sostenibile e creativa.
Proprio perché quest’anno la premiazione si svolgerà a Torino, l’attesa in Italia è ancora più alta: ci si domanda non solo chi conquisterà il podio globale, ma anche quali ristoranti italiani riusciranno a sfruttare l’occasione per brillare.
Un primo segnale interessante arriva proprio dagli assenti della fascia 51-100. Due nomi italiani di peso — Le Calandre dei fratelli Alajmo e l'Atelier Moessmer di Norbert Niederkofler — non compaiono in questa parte della classifica, pur essendo stati presenti l’anno scorso in posizioni altissime (51° e 52°). È plausibile che questo significhi un loro ingresso tra i primi 50: in passato, infatti, spostamenti simili hanno spesso anticipato una risalita. In particolare, Piazza Duomo era al 42° posto l'anno scorso ed è quindi uno dei candidati "naturali" a restare in top 50; lo stesso discorso vale per il Reale, che era in posizione 16° nel 2023, quindi è atteso ancora in alto, salvo sorprese.
La new entry Al Gatto Verde di Modena, che fa parte della "Francescana Family" di Massimo Bottura, conferma la vitalità della scena emiliana e la capacità del gruppo di Bottura di continuare a innovare e attrarre attenzione internazionale. Va ricordato però che l’Osteria Francescana, due volte vincitrice della 50 Best (nel 2016 e nel 2018), non è più in gara per la classifica annuale, essendo entrata nella speciale categoria "Best of the Best", una sorta di hall of fame che riunisce i ristoranti già saliti sul gradino più alto. Ciò non toglie che l’influenza di Bottura e dei suoi progetti continui a essere forte e trainante per la ristorazione italiana.
Sul fronte internazionale, invece, la sfida per il vertice si preannuncia ancora apertissima. Il Disfrutar di Barcellona, vincitore della scorsa edizione, è considerato il favorito per mantenere il primo posto, grazie a una cucina che continua a stupire per creatività e tecnica. Dietro, però, scalpitano ristoranti come il parigino Table by Bruno Verjus, che ha scalato rapidamente la classifica negli ultimi due anni, e diversi nomi asiatici che da tempo figurano tra i migliori: Den di Tokyo e Gaggan Anand di Bangkok restano candidati fortissimi per un posto sul podio.
Un’altra variabile da non trascurare riguarda i nuovi criteri che sembrano pesare sempre di più nelle scelte della giuria: l’attenzione alla sostenibilità, all'identità culturale e all’impatto sociale della cucina. In questo senso, potrebbero emergere realtà come il thailandese Sorn o il peruviano Maido, che portano avanti un racconto gastronomico profondo e radicato nei rispettivi territori.
La scelta di Torino come sede della finale della 50 Best non rappresenta soltanto un riconoscimento alla qualità della cucina italiana, ma anche un’opportunità più ampia: quella di riportare al centro della scena internazionale un patrimonio gastronomico che troppo spesso rischia di essere dato per scontato. Al di là dei risultati — chi salirà, chi scenderà, chi sorprenderà — l’appuntamento del 19 giugno sarà un momento importante per riflettere su come la cucina italiana può continuare a dialogare con il mondo, evolversi senza perdere le proprie radici e contribuire in modo autorevole ai nuovi linguaggi del fine dining globale. Per gli chef italiani sarà anche un’occasione per riaffermare il loro ruolo non solo come custodi di tradizioni straordinarie, ma come interpreti moderni di un patrimonio culturale che parla, oggi più che mai, un linguaggio universale.