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8 Aprile 2024 11:00

Tiger prawns: cosa sono i gamberi tigre giganti

Si tratta di una specie di gamberi tropicali tra le più diffuse e commercializzate, nonostante sia particolarmente invasiva e il suo consumo considerato non più sostenibile.

A cura di Federica Palladini
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Chiedersi da dove provenga il cibo che si porta in tavola è importante per molteplici motivi, compreso quello della sostenibilità. I prodotti ittici, per esempio, negli ultimi anni hanno avuto i riflettori sempre più puntati addosso, nel momento in cui sono diventati per molte persone un’alternativa alla carne (dieta pescetariana docet). Così, abbiamo imparato che anche i pesci hanno la loro stagionalità, che certi sono più a rischio di altri, la differenza tra la pesca e l'acquacoltura e che la grande richiesta di una specie può compromettere il benessere dell’ecosistema. Ecco, proprio in un’ottica di sostenibilità, andiamo alla scoperta dei tiger prawns, ovvero i gamberi tigre giganti che sono tra i crostacei più commercializzati al mondo e che, sebbene siano diffusissimi, sarebbe meglio evitare di comprare.

Che cosa sono i tiger prawns: caratteristiche e origini

I tiger prawns, o Asian tiger shrimp, sono dei gamberi che appartengono alla specie dei Penaeus monodon, conosciuti in italiano con il nome di gambero gigante indopacifico: sono generalmente di grandi dimensioni, intorno ai 25 cm, e le femmine possono arrivare fino a 33 cm. Sono crostacei decapodi (con 10 zampe) con due lunghe e filiformi antenne, sono rivestiti dalla classica corazza e il colore del corpo può variare a seconda del substrato del fondale in cui vivono, della disponibilità di cibo e della torbidità dell'acqua, spaziando tra verde, marrone, rosso, grigio, blu, con strisce trasversali alternate blu-nere e gialle. È proprio per il loro guscio tigrato che vengono denominati tiger prawns: a seconda delle nuance più o meno scure si possono distinguere in black tiger prawns/shrimp o white tiger prawns/shrimp.

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Le origini di questi gamberi si rintracciano nella regione Indo Pacifica, dal Mar Rosso al Sud Africa fino all'Australia, alle Fiji e al Giappone, ma si trovano ormai anche in diversi paesi dell’America Latina, come la Colombia, il Brasile e il Venezuela. Il loro habitat naturale sono gli estuari sabbiosi e le mangrovie e, una volta adulti, si spostano in acque più profonde, vivendo su fondali fangosi o rocciosi: sono considerati invasivi, tipo il granchio blu, in quanto si moltiplicano in modo più veloce e raggiungono dimensioni più grandi rispetto alle specie autoctone. Il loro aspetto ricorda quello delle mazzancolle presenti nelle acque del Mediterraneo, però non sono uguali: appartengono allo stesso genere, Penaeus, ma queste ultime si classificano come Penaeus kerathurus e in media hanno una lunghezza di 12-15 cm.

Perché i gamberi tropicali non godono di una buona reputazione

I tiger prawns fanno parte della grande popolazione dei gamberi tropicali, che sono stati inseriti da Greenpeace nella lista rossa delle specie ittiche che non andrebbero commercializzate. La domanda internazionale di gamberi è in continua espansione: come riportato in un articolo de Il Post del 2019 “le catture mondiali sono aumentate del 14% tra il 2007 e il 2016, ma si stima che nel 60% dei casi i gamberi che si mangiano provengano da acquaculture, una percentuale che sale fino all’82% nel caso dei gamberi tropicali”. Sia pescarli che allevarli in modo massivo, quindi, sta causando dei problemi non solo ambientali, ma anche di carattere sociale nelle zone coinvolte.

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Secondo le motivazioni espresse da Greenpeace, gli allevamenti, in particolare, sono situati sulle coste, danneggiandone la catena alimentare e quindi l’ecosistema: circa 3,7 milioni di acri di mangrovie tra Filippine, Vietnam, Tailandia, Bangladesh ed Ecuador sono stati convertiti in allevamenti distruggendo habitat importanti per altre specie ittiche ed uccelli. Ma non solo: la loro collocazione blocca l’accesso alle aree costiere, che un tempo erano terre comuni, impedendo così una pesca locale più sostenibile, con tanto di proteste da parte della popolazione che sono sfociate anche in disordini violenti.

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