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3 Giugno 2025 18:00

Storia dello gnocco fritto emiliano: il piatto povero contadino diventato un cult

Una specialità della tradizione italiana che arriverebbe dai Longobardi. Conquista tutti a tavola, ma è spesso fonte di rivendicazioni identitarie, a partire dall'usare l'articolo "lo" o "il", fino ai diversi nomi con cui è conosciuta nelle sue patrie, in particolare Modena, Reggio Emilia e Parma.

A cura di Federica Palladini
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Sinonimo di tradizione, convivialità, ma anche di dibattiti e contese: lo gnocco fritto – meglio conosciuto all’interno del territorio regionale come “il” gnocco fritto – è una specialità emiliana molto amata per la sua semplicità e versatilità. Portata in tavola in cestini e accompagnata da salumi e formaggi, è perfetta come antipasto o per l’aperitivo: la si trova al ristorante, così come nelle osterie, nelle trattorie e nelle sagre della Bassa Padana, in particolare tra Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza, dove questa pasta di pane a forma di piccoli quadrati o rombi, serviti caldi e dorati, è un vero e proprio pezzo di storia gastronomica.

Gnocco fritto emiliano: le origini

Un impasto di farina, strutto, sale e acqua porzionato e tuffato a friggere nello strutto bollente: nella sua versione più essenziale è così che si presenta lo gnocco fritto, gonfio e cavo ideale per essere imbottito. Le origini di questo cibo sarebbero da ricercarsi nel contesto rurale dell’Emilia Romagna, dove da secoli è diffuso l’allevamento del maiale (basta solo pensare alla tradizionale produzione di salumi Dop come prosciutto crudo e culatello). Lo gnocco fritto è un piatto umile che fino agli anni ‘60 ha rappresentato una preziosa fonte di sostentamento per i contadini, che per pura sopravvivenza ideavano ricette con ciò che avevano a disposizione, dando vita alla celebre “cucina povera”: un alimento talmente rappresentativo di questa parte della Penisola da essere classificato nei PAT, ovvero i prodotti agroalimentari tradizionali della regione.

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A preparare la pasta di pane arricchendola con il grasso del suino era la zdòura (la donna reggitrice della casa per antonomasia nella cultura emiliana) che la stendeva con il matterello, per poi friggerla e portarla appena pronta nelle campagne al marito, in veste di nutriente colazione dopo le prime ore di lavoro nei campi. Andando indietro nel tempo, lo gnocco fritto si lega probabilmente ai Longobardi, popolo germanico che, invadendo l’Italia dopo la caduta dell’Impero Romano d'Occidente, avrebbe trasmesso le proprie consuetudini alimentari agli abitanti locali, caratterizzate dal consumo di carne di maiale e dei suoi derivati, compreso quindi lo strutto, un grasso dalle molteplici funzionalità, visto che è sostanzioso e si rivela anche un ottimo conservante naturale.

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Curiosità

A parlare di gnocco fritto bisogna sempre fare una certa attenzione, un po’ come con la carbonara e altri piatti fortemente legati all’identità regionale. L’Emilia Romagna, riguardo a dibattiti inerenti al cibo (dai tortellini al ragù) non si tira certo indietro, sia che si tratti di confrontarsi con il resto della Penisola, sia internamente. Per esempio, il terreno inizia a essere scivoloso fin da subito e c’entra l’articolo: si dice “lo” gnocco fritto o “il” gnocco fritto? Nel primo caso si tratta di una regola dell’italiano standard, nel secondo la denominazione tipica data dalla comunità emiliana: l’Accademia della Crusca ha tentato di risolvere l’empasse dando via libera a entrambe le forme.

Rivendicazioni campanilistiche dentro i confini regionali, invece, hanno a che fare con il nome, in quanto a seconda della provenienza, questa specialità subisce minime variazioni di ingredienti (con l’aggiunta del lievito o del latte per esempio) e di aspetto, a losanga, più quadrata o tondeggiante, con la superficie liscia o bollosa, di dimensioni più grandi o più piccole. Si chiama gnocco fritto a Modena e Reggio Emilia, mentre a Parma è noto come torta fritta; nel bolognese per gustarlo bisogna ordinare le crescentine, senza farsi confondere dalle crescentine modenesi, che a Bologna (e nel resto d'Italia) sono conosciute come tigelle (un altro tipico pane a forma di focaccina rotonda). A Piacenza lo gnocco fritto è la chisola e, scendendo fino a Ferrara, ecco che si trova il pinzino.

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Tra gli argomenti di discussione, infine, non può mancare il grasso usato per la frittura: lo strutto, una materia prima decisamente divisiva che molte ricette classiche made in Italy hanno come colonna portante, ma che è stata progressivamente sostituita con l’olio di semi o con l’olio d’oliva, considerati più salutari. Anche qui, lo gnocco fritto originale prevede l’uso dello strutto nell’impasto e per friggere: se nel primo caso non sono (quasi) ammesse concessioni – nel Disciplinare dello Gnocco Fritto di Modena si fa riferimento a “strutto raffinato e/o margarina”, nel secondo caso l’utilizzo dell’olio di semi è molto diffuso, sia a livello domestico, sia nella ristorazione, per rendere la pietanza più leggera. Per entrambi gli impieghi, i puristi fanno il tifo per il grasso di suino, che conferirebbe al prodotto la giusta friabilità e il sapore autentico.

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Quello che i piatti non dicono
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