Dall’austerità dei conventi ai profumi delle spezie esotiche: il baccalà alla cappuccina è un piatto che racconta secoli di storia e commistioni culturali fra Oriente e Occidente, fra Nord e Sud Europa.
Il baccalà alla cappuccina è una ricetta storica della tradizione veneta, diffusa in città come Venezia e Padova, e caratterizzata da un equilibrio unico tra sapori dolci e salati. Le sue origini affondano nella cucina monastica, arricchita dall’influenza delle spezie orientali che giungevano nella Serenissima. Ma da dove deriva questo nome particolare? Scopriamo la storia del baccalà alla cappuccina, tra conventi, sapori agrodolci e influenze antiche, e vediamo in cosa si distingue dalla più celebre versione alla vicentina.
Il nome di questo piatto richiama inevitabilmente i frati cappuccini, l’ordine francescano nato nel XVI secolo e conosciuto per la vita austera e il voto di povertà. Nei conventi, il cibo non doveva essere sfarzoso, ma ciò non significava rinunciare al gusto. Il baccalà, grazie alla sua lunga conservazione sotto sale, era un alimento perfetto per i periodi di magro imposti dalla Chiesa. Nei monasteri, soprattutto quelli francescani e cappuccini, si usavano spesso materie prime essenziali ma saporite per arricchire le pietanze.
Abituati a una vita austera e a una dispensa limitata, i monaci sapevano però combinare con ingegno ciò che avevano a disposizione, creando piatti equilibrati e gustosi. La combinazione di uvetta, pinoli e spezie che caratterizza il baccalà alla cappuccina riflette proprio questa tradizione: un modo per rendere più ingredienti di base ma ricchi di carattere, trasformandolo in un piatto che sa di accoglienza e tradizione.
Ma c’è anche un’altra teoria che spiega l’origine del nome. Durante la cottura lenta, il baccalà assume una colorazione ambrata, data dalla presenza di cipolla, vino e spezie. Questa tonalità calda richiama il caratteristico saio dei frati cappuccini, un elemento da cui potrebbe derivare il nome del piatto.
Che sia frutto dell’ingegno dei monaci o ispirato all’aspetto del piatto, resta il fatto che il baccalà alla cappuccina porta con sé un legame profondo con la cucina conventuale: una cucina essenziale, dove ogni elemento ha una sua funzione ben definita.
Il baccalà entrò nella cucina veneziana nel XV secolo, grazie al mercante Pietro Querini, naufragato sulle isole Lofoten, in Norvegia, nel 1431. Lì scoprì il metodo di essiccazione del merluzzo, che ne assicurava la lunga conservazione, senza necessità di refrigerazione. Tornato a Venezia, Querini intuì il grande potenziale commerciale del baccalà, che divenne un alimento centrale nella cucina veneta e italiana, soprattutto nei periodi di magro imposti dalla Chiesa.
La Serenissima, con i suoi intensi scambi commerciali con l’Oriente, aveva accesso a un vasto assortimento di spezie, tra cui cannella, pepe, chiodi di garofano e noce moscata: questi ingredienti venivano spesso abbinati al pesce, creando accostamenti che oggi possono sembrare insoliti, ma che erano tipici della cucina rinascimentale. Il baccalà alla cappuccina è una diretta testimonianza di questa epoca, in cui il gusto dolce e speziato si univa armoniosamente con la sapidità del pesce.
Da Venezia, il baccalà non rimase confinato alla sola laguna, ma si diffuse rapidamente in tutto il Veneto, nel Friuli-Venezia Giulia e nel Trentino-Alto Adige, regioni che ancora oggi lo considerano un ingrediente fondamentale della loro cucina. Ogni territorio sviluppò ricette diverse, declinandole secondo gusti e tradizioni locali: da quella alla cappuccina, con le sue note speziate e dolciastre, a quella alla vicentina, più delicata e cremosa.
Entrambi piatti storici del Nord Italia, il baccalà alla cappuccina e il baccalà alla vicentina hanno la stessa base, ma evolvono in due interpretazioni diverse. Il baccalà alla cappuccina riflette l’anima della cucina veneta e conventuale: un tempo impreziosito dalle spezie arrivate con i commerci della Serenissima, combina sapidità e dolcezza con l’aggiunta di uvetta, pinoli e cannella. La cottura in umido con cipolla e vino bianco bilancia la sapidità del pesce con delicate note agrodolci.
Il baccalà alla vicentina, invece, punta su una preparazione più semplice e avvolgente. Senza ingredienti dolci o speziati, viene cotto lentamente nel latte con cipolla e acciughe, senza mai essere mescolato. Il risultato è una crema densa e delicata, che esalta la morbidezza del pesce.
Due piatti, due anime: il primo esalta il contrasto tra spezie e sapidità, il secondo conquista con la sua consistenza cremosa e il sapore delicato. Quale preferire? Dipende solo dal palato e dalla voglia di riscoprire due espressioni della tradizione.
Oggi il baccalà alla cappuccina è meno conosciuto rispetto ad altre preparazioni venete come il baccalà mantecato o alla vicentina, ma resta un piatto importante per chi vuole riscoprire la tradizione. È spesso servito nei periodi di festa o durante la Quaresima, custodendo il legame tra storia, religione e cucina che caratterizza molte ricette italiane.
La sua origine monastica e l’influenza delle spezie lo rendono un perfetto esempio di come la cucina del Nord est italiano abbia saputo fondere ingredienti locali con sapori che una volta erano considerati esotici, creando piatti che raccontano secoli di storia e commistioni culturali. Un’eredità così radicata non poteva che essere riconosciuta e tutelata nel tempo.
Il baccalà alla cappuccina non è solo una ricetta storica, ma è stato anche riconosciuto ufficialmente come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) nelle regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Un riconoscimento che ne attesta il valore nella tradizione dell’Italia nord-orientale e ne tutela la preparazione, garantendo che la ricetta venga tramandata nel rispetto delle sue origini. Forse oggi il baccalà alla cappuccina non è il più famoso tra i piatti veneti, ma chi lo assaggia scopre che certe ricette meritano di essere ricordate.