
L’Italia riduce lo spreco alimentare, ma resta indietro rispetto all’Europa e lontanissima dall’obiettivo fissato dall’Agenda Onu 2030. È il quadro che emerge dall’ultimo rapporto Waste Watcher International 2025, presentato a Roma in occasione della campagna Spreco Zero e della 6ª Giornata mondiale di consapevolezza delle perdite e sprechi alimentari (29 settembre).
Negli ultimi dieci anni il nostro Paese ha compiuto dei progressi, ma il cammino è ancora lungo. Dal 2015 a oggi lo spreco settimanale medio pro capite è sceso da 650 a 555,8 grammi. Una riduzione di 95 grammi, significativa ma insufficiente: Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi fanno meglio di noi, con valori compresi tra i 459 e i 512 grammi.
L’obiettivo Onu è ancora lontano
L’Agenda 2030 stabilisce un traguardo chiaro: 369,7 grammi a persona a settimana. Ma l’Italia è ben al di sopra di questa soglia. Lo spreco alimentare non è solo un problema economico, ma soprattutto ambientale: il cibo buttato contribuisce a generare quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra.
Il rapporto evidenzia profonde differenze territoriali: al Centro si registrano i dati più virtuosi (490,6 grammi), seguito dal Nord (515,2 grammi). È invece il Sud a trainare in negativo, con una media settimanale di 628,6 grammi, quasi 140 grammi sopra la media nazionale.
Le dinamiche sociali fanno la differenza: le famiglie con figli sprecano il 17% in meno rispetto a quelle senza, mentre nei grandi Comuni si registra un calo del 9%. Un segnale che la densità abitativa e modelli di consumo più razionali contribuiscono a ridurre gli sprechi.

Cosa sprechiamo di più: frutta e verdura in cima alla lista
La “hit parade” dei prodotti più sprecati racconta molto delle abitudini alimentari italiane. In cima alla lista la frutta fresca (22,9 g a settimana), seguita dalla verdura (21,5 g) e dal pane (19,5 g). Subito dopo troviamo insalata (18,4 g) e cipolle/tuberi (16,9 g). Si tratta di alimenti base della dieta mediterranea, deperibili e spesso acquistati in eccesso rispetto al consumo reale.
Il contesto internazionale non è neutrale. Guerre, crisi climatiche e tensioni sui dazi spingono gli italiani a modificare le proprie scelte. Più di un terzo (37%) preferisce prodotti made in Italy, percepiti come più sicuri e sostenibili. Due italiani su tre (66%) dichiarano di aver aumentato o mantenuto alta l’attenzione all’ambiente, e uno su due controlla con maggiore consapevolezza l’impatto ambientale dei prodotti che acquista.
Un capitolo a parte meritano i nativi digitali, considerati il vero motore del cambiamento. Secondo Waste Watcher, i più giovani mostrano maggiore sensibilità e pratiche virtuose: +10% nel riutilizzo degli avanzi, +5% nella condivisione del cibo, +2% nell’acquisto di frutta e verdura di stagione e +2% di attenzione all’impatto ambientale. Un segnale che fa ben sperare, ma che da solo non basta a invertire la rotta.
Se i dati italiani preoccupano, quelli globali sono allarmanti: ogni anno vengono sprecati 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, pari a un terzo della produzione mondiale. Il costo ambientale è enorme: lo spreco alimentare genera emissioni di gas serra cinque volte superiori a quelle dell’aviazione e “brucia” il 28% dei terreni agricoli globali, pari a 1,4 miliardi di ettari, coltivati per produrre alimenti che non saranno mai consumati.