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23 Luglio 2021 13:00

Salvatore Tassa, il “cuciniere” che ha elevato il concetto stesso di tradizione

A 60 anni si è messo in gioco ed è andato in stage da Yannick Allenò per imparare una nuova tecnica, le ultime esperienze in tv lo hanno fatto conoscere al grande pubblico, ma il nome di Salvatore Tassa è ben noto agli appassionati gourmand. Colline Ciociare è una meta imperdibile per tutti gli avventori che hanno voglia di sperimentare una nuova visione di tradizione.

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Un cuoco umile con il cuore nel passato e la testa proiettata nel futuro: Salvatore Tassa è lo chef di Colline Ciociare, il ristorante stellato di Acuto, in provincia di Frosinone. In realtà Tassa odia essere chiamato chef, preferisce di gran lunga essere definito un "libero cuciniere"; già da qui possiamo intuire l'animo di un uomo che prova avversione nell'essere rinchiuso e nel rinchiudere gli altri in definizioni ed etichette. Il cuoco laziale, 66 anni, è stato un precursore e ha portato in tavola temi come la sostenibilità, la tutela della natura e l'interpretazione del territorio molto prima rispetto agli altri colleghi.

Oggi parlare di queste cose è la normalità ma un tempo non lo era affatto, Tassa ha creduto nella forza delle proprie idee e ha raggiunto il traguardo della Stella Michelin da cuoco autodidatta e la stima dei colleghi di tutto il mondo.

La storia di Salvatore Tassa

Un cuciniere che ha rilevato la trattoria di famiglia, trasformandola in un ristorante da 1 stella Michelin, "per scommessa" ci dice Salvatore Tassa: "Ero ad una gara gastronomica e, nel caso fossi finito tra i primi quattro, avrei rilevato la trattoria intestata a mia madre". Così è stato e la gara ci ha consegnato un cuoco che ha messo sulla cartina dell'Italia gastronomica un posto sempre sottovalutato come la Ciociaria, anche se in realtà lo chef è nato a Brandford, in Gran Bretagna. La biografia di Salvatore Tassa ci dimostra quanto il territorio in cui si cresce sia fondante per la cucina di un cuoco, "una cucina molto semplice che si è sviluppata grazie all'evoluzione costante della tradizione della mia terra. Non parlo solo dei piatti, parlo del pensiero, dell'atto culturale, non del perseguimento della ricetta".

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Negli ultimi anni il "problema" della ricchissima tradizione culinaria italiana è stato molto dibattuto. Per molti è un limite che tarpa le ali dei cuochi ma per Tassa questi "sono limiti solo perché le persone non si pongono con una proprietà di pensiero adeguata verso il proprio lavoro. Bisogna interpretare la tradizione, sia per farla sopravvivere al mondo di oggi sia per vederla domani. Ciò che facciamo oggi, in futuro diventerà tradizione quindi deve rispecchiare il pensiero odierno. Tutta la questione spicciola tra la tradizione e l'innovazione è solo una questione culturale e basta ragionare con la propria cultura per risolverla, ma bisogna farlo relativamente al mondo in cui viviamo. Questa la vogliamo chiamare avanguardia? Chiamiamola semplicemente ‘vedere l'oggi per ciò che è', di questo si tratta".

Il rapporto simbiotico tra Salvatore Tassa e il concetto di "radici" è meraviglioso ed è espresso nel logo stesso di Colline Ciociare e dello chef: un'enorme "T" per "rappresentare l'iniziale del mio cognome – dice il cuoco – con delle enormi radici, radicate nel territorio però e non nella tradizione. La Ciociaria è un luogo che connota fortemente le mie origini, il mio pensiero, ma non significa che sia fossilizzato nella mia terra. La T del logo è quasi un albero di una nave, con delle vele, proprio perché posso permettermi di viaggiare in lungo e in largo con la mente".

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Un cuoco che sembra quasi uno sciamano per il modo in cui approccia alla cucina, un decano che ha attraversato 50 anni di storia con la trattoria di famiglia, fondata nel 1961. Salvatore Tassa ha visto il proprio lavoro trasformarsi profondamente, secondo lo chef in meglio: "La cucina italiana negli ultimi anni ha avuto una forte spinta dai e sui media, sulle persone, sulla gente, questo ha fatto sì che si mangi molto meglio, che sia più interessante oggi uscire rispetto a 20 anni fa, immagina rispetto a 50 anni fa. Questa attenzione, questo innalzamento della qualità è dato da tantissimi fattori. Oggi c'è molta contaminazione dal resto del mondo, ogni piatto riporta sempre un ingrediente esotico, nuovo e questo va bene; la novità piace sempre alla gente. Siamo però diventati ingordi di novità, abbiamo desideri su tutte le linee, siamo mangiatori di novità. Oggi le persone vanno al ristorante cercando qualcosa di nuovo ogni giorno ed è sicuramente positivo ma stiamo perdendo la nostra identità nazionale, quella che ha reso grande il nostro Paese".

Salvatore Tassa non ne fa un discorso politico o di sovranismo, ne fa un discorso identitario, e infatti "questa non vuole essere una predica: oggi il sovranismo ha un'accezione negativa ma in cucina stiamo perdendo il territorio in favore di una cultura globalizzata. Noi siamo i frutti del nostro passato, non dobbiamo perdere l'identità italiana che ci ha permesso di essere ciò che siamo oggi, che ci ha permesso di mettere la cucina italiana a confronto con il resto del mondo. Questo poi è ancora un altro capitolo che si apre: quando andiamo in giro siamo ancora quelli degli spaghetti, della pizza, del mandolino, del volemose bene. Noi abbiamo grosse capacità, enormi possibilità di pensiero per stare al pari se non sopra tutte le cucine, per così dire, contaminanti. Tutto questo sta creando una cucina italiana senza identità, in cui la tavola è influenzata dalle mode, dalla voglia di stupire a tutti i costi le persone, ma perché fare questo?".

La domanda retorica di Tassa ha una risposta ben precisa secondo il cuciniere: "Se non abbiamo input dalla tradizione è perché non ci riconosciamo nel nostro passato, non sentiamo l'appartenenza. Tutto questo è causato dalla mia generazione che non ha saputo dare alla generazione successiva una base culturale che si basi sul rispetto del proprio territorio, un riconoscimento di appartenenza che sia un'arma da sfoderare verso le altre cucine. Non siamo riusciti a porci con orgoglio verso le influenze esterne e questo a un certo punto ha creato un corto circuito interno". Il rapporto col territorio inteso da Salvatore Tassa non si riferisce, banalmente, solo a ciò che siamo in grado di offrire come materia prima, va ben oltre. L'esempio che fa lo chef è emblematico e molto antico: il Rinascimento. Secondo il cuoco di Colline Ciociare "noi non ci sentiamo figli di quel periodo, abbiamo un'Italia dalla bellezza artistica unica, dalla bellezza paesaggistica che ci invidia il resto del mondo ma che non è riuscita ad acquisire una mentalità vincente. Per questo motivo è importante la tradizione: non per conservare ciò che abbiamo visto ma per affrontare al meglio il futuro, con benessere e salute".

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Questi temi sono, secondo Tassa, i piedi su cui poggerà la cucina italiana del futuro: trovare soluzioni sul piano della sostenibilità ambientale e salutistica. Per ottenere il risultato basta guardare al passato "in periodi difficili in cui c'era bisogno di pragmaticità. La cucina italiana è sempre stata povera e di recupero, è sempre stata salutare, basta guardare ai nostri avi per capire la strada che dobbiamo fare. Penso che la sfida degli chef di domani sia quella di un menu che tenga conto della salute delle persone: i piatti non devono creare malessere ma salute. La cucina deve essere un veicolo di benessere, non di stordimento. Penso che il cuoco del futuro sarà quasi un paramedico che deve curare le persone attraverso la propria cucina".

Da Allenò a Cannavacciuolo, uno chef che vuole sempre mettersi in gioco

Salvatore Tassa ha rilevato la trattoria di famiglia dopo una scommessa: è un uomo che vuole mettersi sempre in gioco per affrontare la vita al meglio delle proprie possibilità e forse proprio per questo a 60 anni si è rimesso in discussione andando in stage da un collega molto rinomato. Qualche anno fa Salvatore Tassa è stato per qualche mese al pass di Yannick Allenò, 3 Stelle Michelin e uno dei cuochi più quotati al mondo. Più che uno stage "fu una sorta di invito. Mi interessava una tecnica che lui usa e che stavo provando nella mia cucina per modernizzare la tradizione e spingerla in avanti". L'accoglienza da Allenò è stata "come quella riservata ad un signore di campagna. Avevo quasi il cameriere personale, qualsiasi cosa di cui avessi bisogno ce l'avevo. Pur essendo uno stage ovviamente non sono stato trattato come uno stagista classico, sono stato partecipe in modo diretto della cucina".

L'esperienza da Allenò l'ha raccontata anche nell'ultima edizione di Antonino Chef Academy, una delle tante ospitate televisive di Salvatore Tassa. La tv è un mezzo potente secondo lo chef ma "bisogna sapere cosa dire. Andarci a fare una ricettina è utile ai cuochi in rampa di lancio, ai giovani in cerca di visibilità. Non è una critica questa, anzi, penso sia importantissimo fare queste cose, è solo un discorso legato all'età".

La lunga chiacchierata con Salvatore Tassa ci ha lasciato il ritratto di un uomo dall'animo complesso, pieno di pensieri e di spunti, che ha fatto la storia della cucina italiana e che ha le idee molto chiare su cosa bisogna fare per portare in alto la cucina italiana. Ci ha lasciato l'istantanea di un cuciniere che ha una fantasia infinita, la cui cucina è costantemente in bilico tra il Lazio e i classici di tutta Italia, che propone accostamenti audaci e omaggi alla tradizione. Un cuoco poeta, un cuciniere di campagna, uno chef stellato. Salvatore Tassa è così tante cose che ridurlo a una definizione è solamente uno sfregio, alla persona, al professionista e alla lingua di Dante.

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Quello che i piatti non dicono
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