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Il polpo è una delle creature più affascinanti dei mari, nonché uno dei molluschi più consumati a livello gastronomico: è parte integrande della tradizione alimentare di diverse parti di mondo, in particolare del nostro bacino del Mediterraneo e ancora di più in Italia, dove è strettamente legato alla cultura di molte regioni del Sud. Ma cosa rende il polpo così speciale? Prima di tutto è un animale particolare, un esploratore solitario dei fondali oceanici, intelligente e robusto, in grado con i suoi 8 tentacoli dotati di due file di ventose di catturare e trascinare sul fondo anche i pesci più grossi e resistenti.
Per non parlare, poi, del fatto che il polpo può contare addirittura su 3 cuori ed una pelle cangiante, che varia colore per stanare le prede e per confondere i predatori. Non a caso, nel corso dei secoli, al polpo sono sempre stati attribuiti diversi significati simbolici ed è diventato un animale mitico, protagonista di tantissime leggende. Non solo: le carni di questo cefalopode marino sono buonissime, tenere e succulente, oltre ad essere un vero concentrato di proprietà perché ricche di proteine, povere di grassi e piene di nutrienti essenziali come ferro, fosforo, magnesio, potassio e vitamina B12.

Non a caso il polpo è ancora molto diffuso nella nostra tradizione culinaria ed è un mollusco molto ambito nell’ambito della pesca. Con la crescita della sensibilità verso l’ambiente e i suoi abitanti, però, oggi la pesca del polpo è un argomento molto controverso, soprattutto quando prevede tecniche antiche come lo “sbattimento” dell’animale direttamente sugli scogli per degustarlo poi a crudo. Esploriamo l’antico legame tra polpo e uomo, con una particolare attenzione all’impatto di questo animale sulla nostra cultura gastronomica.
Polpo e uomo: un legame antichissimo
Il polpo e l’uomo hanno un legame molto antico che risale a millenni fa: tracce di questo animale nella cultura mediterranea le troviamo fin dal XVII secolo a.C., quando a Creta si cominciò a decorare il vasellame di grandi dimensioni con i tentacoli di questo animale. Anche la cultura minoica presenta tracce di rappresentazione del polpo, per esempio lo troviamo raffigurato nei mosaici dei pavimenti di ambienti nobili nelle città di Pilo e di Tirinto. Perché si usava il popolo come decorazione? Di certo le popolazioni già lo pescavano e mangiavano, ma in questo caso veniva rappresentato in chiave simbolica: per queste culture, infatti, il polpo aveva una valenza apotropaica, cioè era un vero e proprio amuleto di buona fortuna.
Soprattutto nella cultura micenea il polpo venne associato come garanzia di accesso alla nuova vita dell’oltretomba, una sorte di rinascita, perché è un animale che riesce a rigenerare i proprio tentacoli: ecco quindi che la riproduzione del polpo veniva usata per decorare le tombe della città di Micene, dove veniva raffigurato su placche d’oro. L’importanza simbolica del polpo venne trasmessa agli antichi greci e romani: entrambe le popolazioni attribuivano al polpo proprietà curative e nutraceutiche, ma veniva considerato anche un potente alimento afrodisiaco, al pari delle ostriche.

Oggi sappiamo che non esistono alimenti davvero afrodisiaci, ma gli antichi popoli del Mediterraneo credevano davvero in questo concetto e, infatti, sono molti i testi antichi in cui si ritrova questa concezione particolare del polpo. Tra i testi più famosi in merito spicca un passaggio di Erudito in cui si prende in giro un uomo impotente asserendo che neanche il polpo possa aiutarlo a guarire e una lettera di Cicerone, in cui lo studioso paragona il polpo alla virilità di Giove.
In effetti, per gli antichi greci il polipo non solo era considerato un cibo afrodisiaco, ma si riteneva che, una volta ingerito, potesse scatenare sogni osceni e licenziosi. È un concetto che verrà tramandato nella storia, che sopravviverà nel Medioevo e durerà fino al Rinascimento: si rinvengono idee di questo tipo Giovanni Boccaccio nel 1300 che François Rabelais nel 1500 citano il polpo come cibo lussurioso ed afrodisiaco. La sfera sessuale non è l’unica a cui è stato associato il polpo, visto come un animale così intelligente e pieno di forza da essere protagonista di episodi leggendari e storie mostruose.
Due esempi, in questo senso, sono molto esplicativi. Prima di tutto la storia del borgo di Tellaro, una piccola frazione marina abbarbicata sulla costa della Liguria: il simbolo del paese è proprio il polpo, animale considerato un “protettore” dai locali perché, secondo la leggenda locale, il paese venne salvato da un attacco di pirati saraceni tra il XVI e XVII proprio da un polpo enorme che, uscendo dall'acqua e avvinghiandosi alle funi delle campane della chiesa, avvertì in tempo gli abitati prima dell’arrivo degli invasori.
Il secondo esempio significativo arriva da una terra decisamente più a nord, la Norvegia: è nella prima metà del XVIII secolo che si trovano le prime citazioni del kraken, definito come “il più grande e più impressionante animale del creato e senza dubbio il mostro marino più grande del mondo”.
Questo gigantesco polpo nascosto nelle profondità oceaniche è proprio espressione del significato simbolico della forza del mollusco, ma anche del legame che lo ha sempre avvicinato dagli uomini e che, in questo caso, è finito per rappresentare le paure dei pescatori che andavano per mare. Tra il Settecento e l’Ottocento il kraken divenne un vero e proprio animale mitologico: addirittura Linneo, il padre della classificazione scientifica degli organismi viventi, lo inserisce nella sua opera "Systema Naturae" senza averlo mai visto, e non si contano le citazioni al kraken nelle pagine dei celebri libri di avventura dell’Ottocento come Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne.

Ricette culinarie antiche e centralità nella gastronomia del Sud
Al di là dei suoi significati simbolici e delle leggende legate alla sua figura, il polpo è da sempre stato fondamentale per il sostentamento dei popoli, parlando dell’Italia in particolare di quelli costieri del Sud della Penisola, da sempre legati proprio alla pesca per sopravvivere. Nelle aree in cui era presente in abbondanza, infatti, significava prima di tutto una fonte di cibo, anche perché si tratta di un alimento molto nutriente. Inoltre pescare il polpo voleva dire anche avere una fonte significativa di reddito: il polpo veniva mercati locali e talvolta esportato, generando reddito per i pescatori e sostentamento economico per le loro famiglie. Nel ‘600 il polpo era addirittura considerato un animale sacro, proprio perché dalla sua pesca dipendevano molte delle fortune dei pescatori italiani dell’epoca.
Proprio per questo la pesca del polpo, con i suoi metodi più antichi e tradizionali, era un’arte tramandata di generazione in generazione, una pratica che ha creato una connessione ancora più stretta tra lavoro, tradizioni e gastronomia locale e il polpo. Emblema di questo retaggio culturale è di certo la tradizione di Bari: il polpo è dubbio il re dei prodotti ittici dell'Adriatico barese, ha sempre popolato le sue acque ed è sempre stato strettamente legato alla cultura e all’economia locale. Bari è famosa da sempre per la sua pesca del polpo e proprio in questo contesto si inserisce una delle tradizioni più antiche (e oggi controverse) legate a questo animale.
A Bari si usa ancora oggi la pratica del “polpo arricciato”, una tecnica radicata profondamente nella tradizione culinaria di Bari (ma anche di altre località costiere pugliesi) e che affonda le sue radici al IV secolo a.C., descritta già nell’Historia Animalium di Aristotele. Non è solo una pratica per migliorare la consistenza del polpo ma un vero e proprio rituale simbolo della cultura locale, un’arte da apprendere e praticare. Tutti conoscono la fase più emblematica di questa pratica, la sbattitura: il pescatore sbatte il polpo sugli scogli fino a quando i tentacoli non saranno distesi e ammorbiditi. Questo perché, per un atteggiamento difensivo, altrimenti rimarrebbero contratti, induriti e quindi poco appetitosi.

Terminata questa fase il rituale prevede che il polpo sia privato delle interiora, percosso con una paletta di legno per eliminare eventuali residui, poi strofinato sullo scoglio e risciacquato con acqua di mare per lavare la schiuma che si è venuta a creare. Nell’ultimo passaggio si immerge il polpo in una bacinella d’acqua (sempre di mare) e lo si culla agitando costantemente il recipiente, così i tentacoli si arrotoleranno su sé stessi formando dei “riccioli” e risultando alla fine morbidi e croccanti al contempo. Ecco che si è ottenuto il polpo arricciato, che può essere venduto per poi venire cucinato ma che è offerto anche “a crudo”, da mangiare direttamente al porto con un filo d'olio e limone.
Questa è una delle tradizioni più importanti rimaste ad esprimere lo strettissimo legame tra il polpo e le popolazioni che da sempre lo pescano e lo consumano, ma non è l’unica. Il mollusco ha una storia molto antica anche nel suo utilizzo in cucina: alcune prove rinvenute testimoniano come già a Pompei gli abitanti lo usassero come pietanza, e come abbiamo già accennato si trovano tracce di questo animale dipinte su vasi greci, micenei e cretesi. Il risultato sono una serie di ricette che ancora oggi fanno parte della nostra cultura gastronomica e sono parte integrante della tradizione di regioni che se le tramandano da generazioni.

Tra le ricette più antiche spiccano l’insalata di polpo, originariamente una ricetta Sicilia antica di millenni che usava solo prezzemolo e limone, a cui intorno al 1600 si aggiunsero le patate arrivate dal Nuovo Continente per creare l’abbinamento che ancora oggi tanto amiamo. Risale all’epoca romana invece il carpaccio di polpo, preparazione già citata nel De Re Coquinaria di Apicio, scrittore e cuoco romano che usava anche il garum, la celebre salsa di pesce fermentato tanto amata dai romani. È invece del 1600 un piatto tipicamente napoletano ancora oggi amatissimo, il polpo alla luciana: ideata dai pescatori del borgo di Santa Lucia, che pescavano i polpi in anfore (secondo un antico metodo romano di pesca del polpo) collegate a fili, prevede una lunga cottura del polpo per renderlo tenero e un condimento con pomodori del piennolo, olive, capperi, aglio e vari aromi.
Questi sono solo alcuni esempi di ricette tradizionali a base di polpo, ma l’Italia ne vanta una quantità davvero impressionante. E accanto alle preparazioni più antiche, negli anni, sono nate tutta una serie di ricette più moderne che hanno come protagonista questo mollusco leggendario.
Pesca del polpo: tradizioni e controversie
Con la crescente attenzione riguardo le tematiche di protezione degli ambienti e dei suoi abitanti, la questione della pesca del polpo è diventata molto controversa: in particolare alcune metodologie considerate tradizionali sono ritenute crudeli, proprio perché sono sempre più le ricerche scientifiche che affermano quanto il polpo sia un animale intelligente, senziente e assolutamente conscio del dolore.
In particolare sono particolarmente criticate la pratica che ti abbiamo illustrato poco fa, quella dello sbattimento del polpo sugli scogli, perché viene fatto presente come non sempre l’animale sia effettivamente morto al momento in cui viene sbattuto, e un’altra pratica di pesca molto antica, quella oggi chiamata “a barattolo”. È una pratica che un tempo usava anforette, oggi invece utilizza recipienti di materiali sintetici, legate a un cordino e poi calate sul fondo con del cibo sistemato all’interno per attirare l’animale. Oltre a questa modalità, ancora oggi vengono usate globalmente tecniche si pesca tradizionali come arpioni, nasse o trappole come la “polpara”, un tipo di esca artificiale che serve proprio per scovare e catturare questi cefalopodi.
Le controversie sulla pesca del polpo riguardano principalmente l‘uso di metodi di pesca non sostenibili e l’apparente crudeltà di alcuni di essi nei confronti dell’animale: le critiche principali sono che facciano soffrire il polpo, ma anche che ne danneggino gravemente la presenza nel mare e che rovinino anche l’ecosistema marino. Inoltre la critica non colpisce solo la pesca intensiva, ma anche il fenomeno di “piccola pesca”, ovvero quella strettamente locale praticata da imbarcazioni di piccole dimensioni, generalmente con una lunghezza inferiore ai 12 metri, che operano entro le 12 miglia dalla costa: è proprio questo tipo di pesca che, spesso, fornisce carne di polpo fresca ai ristoranti locali, andando a incidere fortemente sul numero di esemplari di polpi che popolano i nostri mari.

Si sono fatti dei tentativi di incrementare allevamenti di polpi mirati proprio alla pesca per il commercio e il consumo di questi animali, ma l’associazione non profit CIWF ha sviluppato il report Octopus Farming: A Recipe for Disaster su quanto questa pratica abbia effetti disastrosi sull’animale. In questo documento, infatti, viene messo in luce come i polpi sono creature solitarie per natura, che spesso vivono e cacciano da soli, e come confinarli in allevamenti dove sono costretti a vivere in gruppo può portare all'aggressione e persino al cannibalismo.
Come fare quindi a bilanciare tradizione, sostenibilità ambientale e richiesta di mercato? Tutto sta nello stabilire un equilibrio regolato da normative specifiche che, ad oggi, sono assenti: non esiste una regolamentazione legislativa precisa per la pesca del polpo, con il risultato che alcune aree impongono divieti temporanei per proteggere la specie (per esempio la Sardegna), mentre altre proseguono con le loro tradizioni come hanno sempre fatto. Il risultato è che, di fatto, la pesca del polpo non è gestita correttamente, ogni regione e nazione decide quasi in autonomia, e questo porta a un impatto significativo sulla popolazione di polpi e sulla biodiversità marina. Per proteggere questi straordinari invertebrati e mantenere intatto il delicato equilibrio degli ecosistemi marini, ma anche per mantenere l’antica tradizione e lo stretto legame culturale che l’uomo ha da sempre con il polpo, è essenziale promuovere pratiche di pesca sostenibile e regolamentata da una normativa apposita.
