
Il mare – e non è detto che sia prerogativa degli abissi – spesso è popolato da creature affascinanti, che sembrano arrivare direttamente da un altro pianeta o da un’altra era geologica. È proprio il caso dei percebes, dalla forma che ricorda delle dita bitorzolute e arcuate: vivono aggrappati uno accanto all’altro alle rocce delle scogliere galiziane, al confine con il Portogallo, creando dei veri e propri tappeti appuntiti battuti dai flutti dell'oceano. Sono considerati pregiati per la loro polpa saporita, ma allo stesso tempo sono difficili da prelevare: una combinazione che li rende un alimento costosissimo.
Che cosa sono i percebes
A prima vista possono sembrare delle zampe di dinosauro o delle dita adunche di una strega, dalle unghie lunghe e dure, come vengono rappresentate nell’immaginario collettivo. In realtà si tratta di una varietà di crostacei – e non di molluschi con cui si tendono a confondere – tipica della Spagna, in particolare della Galizia, da dove arrivano i più ricercati, del nord del Portogallo e di alcune zone del Marocco: i percebes sono dei cirripedi che se ne stanno attaccati alle scogliere, si nutrono filtrando l’acqua e restano ben ancorati alle rocce.

Il loro aspetto è caratterizzato da una parte tubolare rivestita da un involucro di colore scuro, tra il nero e il marrone, detto peduncolo con la parte terminale rivestita di placche bianche calacaree che somigliano a delle unghie: per questa conformazione sono conosciuti anche come piede di cornucopia. Il loro habitat naturale sarebbe perfetto per non essere “disturbati” da nessuno, ma nella cucina galiziana sono considerati una vera prelibatezza. A raccoglierli ci pensano i perceberos, pescatori specializzati che sfidano le onde dell’Oceano Atlantico con tute e imbragature quando necessario, rischiando la vita: una professione che ha a che fare con una tradizione antica, solitamente tramandata di generazione in generazione.
Come si cucinano
I percebes possono costare anche più di 100 euro al chilo proprio per la loro estrema difficoltà di raccolta: non sono, infatti, una specie in via d’estinzione, ma l’arduo approvvigionamento li rende un cibo raro e prezioso, poco diffuso al di fuori del territorio di origine. Dal punto di vista culinario, si potrebbero paragonare a un’aragosta o un astice: la loro polpa ha un sapore piacevolmente marino, è tenera, soda e di colore arancione e si ottiene una volta aperto il carapace: si mangia praticamente così com’è dopo una veloce bollitura, al naturale, o leggermente saltata in padella con del burro.
