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16 Luglio 2022 15:00

Perché a Napoli il pane è “cafone”?

A Napoli il pane è "cafone" perché proviene dalla provincia, preparato dalle classi sociali più povere fin dal 1700. Oggi è un simbolo del capoluogo campano.

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A Napoli i carboidrati imperano e accanto alla pizza c'è un altro prodotto tipico che fa sentire a casa tutti i partenopei: il pane "cafone". Non si tratta di una pagnotta qualunque, che puoi trovare in una qualunque città, si tratta di un pane caratteristico campano, dal sapore deciso e dall'alveolatura molto particolare: non ha buchi grossi se non verso l'esterno ma presenta tante bollicine minuscole. In pratica è il pane ideale per scarpette e cuzzetielli, è molto buono e ha una consistenza tutta sua, ma allora perché per i napoletani questo pane è cafone?

Il pane dei contadini nato alle pendici del Vesuvio

Il pane tipico di Napoli è "cafone" perché non è nato al centro della città. La ricetta ha origini contadine, proviene dalla provincia e per gli altolocati cittadini i panettieri che facevano questo pane erano per l'appunto dei "cafoni", l'ultimo gradino della piramide sociale.

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Il pane cafone del panificio Malafronte

Pare che questo prodotto sia nato a San Sebastiano al Vesuvio, un piccolo comune con meno di diecimila abitanti in provincia di Napoli. Le origini della ricetta sono comunque incerte: alcuni lo identificano con il pane dei Camaldoli nell'area nord di Napoli, altri lo collocano nelle province di Avellino e Benevento, altri infine a Torre del Greco, a sud del capoluogo.

Questo tipo di pagnotta è sicuramente molto antica e segue precise regole di lavorazione:

  • Nasce col lievito madre anche se oggi in molti usano altri tipi di preimpasti come la biga;
  • la maturazione va fatta su tavole di legno, con l'impasto avvolto in teli di iuta;
  • le pagnotte hanno grandi pezzature, da tre o quattro chili, e non devono presentare alcun tipo di taglio sulla superficie;
  • il pane cafone va cotto nel forno a legna con una base di pietra refrattaria, come la pizza napoletana ma a temperature più basse.

Questo tipo di lavorazione offre un prodotto omogeneo, con una mollica color avorio, ha una consistenza morbida (quasi bagnata) e un'alveolatura a pois. La crosta è più spessa rispetto agli altri filoni e mantiene grossa parte dell'umidità al proprio interno, è croccante e dal colore intenso con diverse striature di marrone.

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Il pane cafone del panificio Moccia

Questa tipologia di pane arriva nel capoluogo campano verso la fine del ‘700: insieme ai Borbone arriva dalla Francia anche il pane bianco alla francese, da non confondere con la baguette. Questa tipologia è a forma di pagnotta e si prepara con tanto burro, un po' di zucchero, spesso viene cotta in cassetta, ha un sapore molto diverso da quello a cui siamo abituati. Altra caratteristica fondamentale è il tipo di farina utilizzata: il "codice segreto dei fornai" nato in Francia obbliga i panettieri a usare farine ultralavorate e con una crosticina sottile per fare il pane più pregiato, da servire ai nobili. In contrapposizione c'è il pane del popolo, quello "cafone", con farine grezze, senza burro e la crosta dura: la lavorazione del pane cafone lo rende però un prodotto di livello decisamente superiore e infatti aveva ed ha tutt'ora una durabilità incredibile. Non a caso era chiamato "pane a otto", perché buono da mangiare fino a otto giorni e perché poteva essere pagato dopo otto giorni in caso di necessità, un po' come abbiamo visto con la pizza fritta.

Questo è il pane dei popolani, cucinato dai provinciali, con farine grezze: per questi motivi a Napoli il pane è cafone, ma è bello così, in tutta la sua rozzezza.

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Quello che i piatti non dicono
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