Budweiser è furiosa con la Fifa che si piega a ogni capriccio qatariota e non preserva l'investimento da 75 milioni dello sponsor. Intanto la birra sparisce dal mondiale.
Niente birra durante i mondali di calcio: la decisione presa dalla Fifa su insistenza della famiglia reale del Qatar fa discutere e crea un enorme danno economico agli sponsor presenti al mondiale. Le uniche bevande vendute ai tifosi negli stadi durante la rassegna iridata sono infatti analcoliche, una scelta maturata "a seguito delle discussioni tra le autorità del Paese ospitante e la Fifa". Hanno così convenuto che sarebbe meglio "concentrare la vendita di bevande alcoliche in luoghi autorizzati, eliminando i punti vendita di birra dal perimetro degli stadi". Pioggia di polemiche su questa scelta che, a dirla tutta, era comunque preventivabile: il Qatar è un Paese musulmano, tra i precetti del Corano c'è proprio il divieto di bere bevande alcoliche. Ci sono state nel corso degli anni numerose avvisaglie in tal senso: cerchiamo di fare il punto della situazione.
Tecnicamente il problema nasce a monte: in Qatar è molto radicato l’islam più fondamentalista, detto wahabita. Nell’emirato l’alcol non è illegale ma la vendita di bevande alcoliche è consentita solamente in alcuni ristoranti e in alcuni hotel un po’ più appartati, in modo che i consumatori non siano visibili da tutti i cittadini.
Questo mondiale ha una genesi davvero lunghissima, l'assegnazione risale infatti al 2010, tra mille polemiche e bustarelle che hanno portato allo sconvolgimento dei vertici Fifa. Tra i problemi esposti all'epoca c'era anche l'attrattiva degli sponsor, visto che quelli dell'industria alcolica sono tra i più potenti. Il Qatar rassicura immediatamente tutti, promettendo apertura mentale e facendo leva sullo status di "più occidentale tra gli Stati del Golfo". Quelli della Fifa ci cascano o fingono di cascarci e l'iter va avanti. Nel corso degli anni, a scaglioni, sono arrivate però diverse avvisaglie dei limiti delle libertà personali a cui i tifosi sarebbero andati incontro.
In un articolo del 2012 il Wall Street Journal si interroga sul rapporto tra la Budweiser, popolarissima birra americana, e la Fifa in vista del mondiale qatariota. I colleghi scoprono una direttiva interna in cui il governo vieta l'alcol sull'isola artificiale Pearl, nella capitale Doha. L'isola è una meta imprescindibile del turismo estero, la scelta arriva però su pressione dei nobili locali che lamentano l’aumento costante del consumo di alcol, vietato dai precetti dell’Islam. Il WSJ si chiede già all'epoca cosa sarebbe cambiato in futuro.
Dopo questo episodio l'attenzione si sposta sulle enormi mancanze sul tema dei diritti umani ma con l'avvio vero e proprio della rassegna iridata anche la birra torna protagonista. La Fifa la vieta negli stadi, principale "shop" durante un mondiale, e la vende solo nella fan-zone, il villaggio dedicato ai tifosi, dove le persone possono comunque bere massimo quattro pinte a testa "per evitare che la situazione sfugga di mano". Ci teniamo comunque a far presente che la birra non è vietata proprio in tutte le zone dello stadio: la puoi trovare nelle aree vip degli stadi, zone predisposte per persone facoltose il cui biglietto, in media, è di oltre 4.000 euro. La legge non è uguale per tutti.
Budweiser reagisce male alla presa di posizione unilaterale della Fifa. La "familiare birra gelata" è un rito di fantozziana memoria, da sempre lo sport è legato al consumo della birra allo stadio e l'azienda nata a St.Louis lega il proprio marchio al calcio a partire dal 1986, l'anno del mondiale vinto da Maradona con "la mano de Dios" e il gol del secolo. Edizione fortunata dunque che spinge gli americani a investire ancora, e ancora, con il culmine del 1994 e il mondiale casalingo che noi ricordiamo tristemente per il rigore sbagliato da Baresi e quello lanciato in orbita da Baggio.
I dirigenti Bud nel 1986 decidono di entrare a gamba tesa sul mercato "calciofilo", intuendo la globalità di questo sport: fino a quel momento però la Budweiser è esclusiva di baseball e football, il calcio è dominato dalle birre europee, in particolare quelle danesi e olandesi che tutt'oggi sponsorizzano le competizioni continentali. Fanno così un'offerta irrinunciabile alla Fifa per Messico '86 e si accaparrano questa fetta di mercato. L'idea è vincente, dopo 36 anni sono ancora qui e per questo si sarebbero aspettati un trattamento diverso. Budweiser apprende invece la notizia per via pubblica, due giorni prima del calcio d'inizio: pubblicano un tweet (poi cancellato) molto stizzito sulla questione, definendo "imbarazzante" quanto successo, il modo in cui è stato comunicato e pure le tempistiche.
L'azienda di birra ha investito ben 75 milioni di euro per sponsorizzare Qatar 2022 e in una rassegna "normale" buona parte di questi soldi sarebbero tornati indietro sotto forma di vendita diretta ai tifosi. Adesso l'unica fonte di guadagno sarà la Bud Zero, la birra analcolica. Non preoccuparti però perché "continueranno a garantire che gli stadi e le aree circostanti offrano un’esperienza divertente, rispettosa e piacevole per tutti i tifosi" dice la Fifa. Chissà come sarà felice, rispettoso e contento il consiglio d'amministrazione della Bud. Nel frattempo il colosso americano annuncia che il Paese vincitore della Coppa del Mondo, oltre al trofeo, si porterà a casa anche tutta la birra invenduta in Qatar. Immagina l'imbarazzo se a sorpresa dovesse vincere proprio il Qatar, che ricordiamo essere Campione d'Asia in carica, o addirittura l'Arabia Saudita, che ha norme sugli alcolici ancora più severe.
Pensavi fosse finita qui? Ti sbagli di grosso. Secondo gli accordi originali la birra sarebbe stata venduta nelle fan zone all'esterno dello stadio, solo prima del calcio d'inizio o dopo la fine della partita, solo a persone con più di 21 anni, massimo quattro pinte. Le cose sono cambiate in corso d'opera arrivando al divieto della vigilia. Il problema è ancora un altro: queste fan zone dedicate sono nascoste, molto distanti dagli stadi. Quest'ulteriore schiaffo è stato assestato il 12 novembre, otto giorni prima l'inizio del torneo. In un comunicato la Bud si è detta dispiaciuta e si è vista costretta a spostare tutti i punti vendita nei luoghi indicati.
Sono così nascosti che qualche giorno fa Sam Greenhill, inviato del Daily Mail per il mondiale, ha voluto testare in prima persona questa curiosa scelta della Fifa: il giornalista inglese parte dal centro di Doha e percorre circa 5 km prima di trovare un rivenditore (chiuso); riparte alla ricerca dell'alcol e dopo 6 km trova un albergo autorizzato: controllo del passaporto per accertarsi che non fosse un cittadino qatariota e servizio di una sola pinta di birra. Ben 11 km per un bicchiere, mica male.
Il New York Times ci offre un succoso dettaglio: lo spostamento dei punti vendita è stato fatto in modo che siano nascosti ma non del tutto, così da soddisfare le richieste delle autorità senza pregiudicare il rapporto con uno sponsor potente. Il reportage redatto dalla rivista newyorkese punta il dito su Jassim bin Hamad bin Khalifa al-Thani, fratello dell’emiro al potere del Qatar, che avrebbe chiesto anche di fissare un prezzo molto alto per gli alcolici.
In realtà Bud avrebbe acconsentito a questo capriccio, ben sapendo che i tifosi qatarioti possono permetterselo: il prezzo attuale di una Bud è di 50 riyal, che corrispondono a 14 euro, mentre la versione analcolica costa circa 8 euro. Fino alla scorsa settimana questo era il prezzo fisso per tutta la Bud su territorio qatariota: da quando gli organizzatori del mondiale hanno cambiato le carte in tavola, lo ha fatto anche Bud. Durante la rassegna iridata le birre costano 15 euro negli alberghi, 10 euro nei punti vendita esterni (almeno per chi riesce a trovarli).