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5 Settembre 2023 11:00

Marocchino: perché si chiama così e come si prepara il caffè nato ad Alessandria

Una bevanda a base di caffè, cacao e latte che non ha nulla a che fare con il Marocco, ma con un bar frequentato dai dipendenti della Borsalino, il famoso brand di cappelli, che ne ha ispirato il nome.

A cura di Federica Palladini
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Basta aprire il menu di un bar o di una caffetteria che lo si vede comparire nella lista delle molteplici varianti dell’espresso, anche se chiamarlo caffè non sarebbe del tutto corretto. Stiamo parlando del marocchino, bevanda che somiglia più a cappuccino in miniatura, ma che in realtà ha una storia, una preparazione e un modo di servirlo completamente diversi, che riportano ai fasti della torrefazione piemontese. Vediamo perché.

Marocchino, la bevanda che ricorda il bicerin torinese

Il marocchino, sebbene il nome potrebbe trarre in inganno, non ha nulla a che vedere con il caffè che si beve a Marrakech, ma è una specialità italiana, precisamente di Alessandria. Nasce in un bar della cittadina – il Bar Carpano, ora non più in attività – nella prima metà del ‘900 e si potrebbe considerare uno spin off del bicerin, lo storico drink di Torino diffuso già nel Settecento e poi amatissimo da Cavour realizzato con caffè, cioccolato fondente e crema di latte. Gli ingredienti, infatti, sono pressoché gli stessi, solo che nel marocchino il cioccolato è sostituito dal cacao in polvere e il latte è montato a schiuma.

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Il bicerin torinese

La paternità alessandrina non è messa in discussione, quello che ancora è avvolto dalla “leggenda” è il motivo per cui si chiama così: le ipotesi più accreditate sono legate alla frequentazione del Bar Carpano di alcune operaie e operai della Borsalino, rinomato marchio di cappelli con sede di fronte al locale. I lavoratori dell’azienda, infatti, avevano a che fare per mestiere con il marocchino, ovvero la striscia di cuoio marrone che viene inserita all’interno del cappello come guarnizione finale e che ricorda il colore della bevanda a base di latte e caffè che bevevano al bar.

Ed è a questo punto che l’origine del nome prende direzioni diverse: potrebbe risalire proprio al titolare, che usava il termine “marocchino” in modo confidenziale per il caffè che offriva ai dipendenti della Borsalino; oppure agli operai stessi che notando la somiglianza cromatica tra la bevanda e il nastro di cuoio ordinavano goliardicamente un maruchën. O ancora alla richiesta di un’operaia che per iniziare la giornata con la giusta carica si era fatta preparare un caffè con schiuma di latte arricchito da una spruzzata di cacao, diventando poi un’abitudine, tanto da battezzare quella versione “marocchino”.

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Come si prepara e si serve il marocchino

Il marocchino per definirsi tale ha bisogno di tre ingredienti: caffè espresso, latte montato a schiuma e cacao amaro in polvere. Il risultato è la creazione di tre strati che per essere apprezzati in tutta la loro golosità devono distinguersi chiaramente, tipo quelli del bicerin, tanto che anche il marocchino viene servito in una tazzina o in un bicchierino trasparente di vetro: è importante, inoltre, che il contenitore sia a temperatura ambiente o tiepido, al fine di non far perdere cremosità alla bevanda per lo shock termico.

Tornando alla stratificazione, la composizione più diffusa è quella che vede il seguente ordine: si comincia con l’espresso, si aggiunge la schiuma di latte e per ultimo il cacao, ma è molto comune imbattersi in marocchini con tazzine spolverate anche sul fondo. C’è pure chi mette il cacao tra il caffè e il latte montato, sempre concludendo con una spruzzata on top, chi versa prima la schiuma di latte e poi il caffè e chi azzarda spalmando nella tazzina un po’ di crema di nocciole, ma in questo caso il rischio è andare fuori tema.

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Quello che i piatti non dicono
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