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22 Ottobre 2023 13:00

La vera storia degli spaghetti: tra la Cina, gli Arabi e l’ingegno degli italiani

Gli spaghetti come li conosciamo oggi sono nati a Napoli dopo molti secoli di perfezionamento partiti dalla Cina, passati per gli Arabi e giunti in Sicilia.

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Gli spaghetti sono uno dei formati di pasta più iconici della cucina italiana e sono amati in tutto il mondo. Abbiamo una varietà ricchissima di piatti regionali a base di spaghetti, ciascuno con le proprie tradizioni e ingredienti distintivi. Parliamo di una forma di pasta lunga e sottile che può essere accompagnata da una vasta gamma di salse: dal sugo di pomodoro alla carbonara, dall'aglio e olio alla puttanesca. Ma da dove viene questo formato così particolare? E si tratta di una pasta italiana, cinese oppure araba? Vediamo la lunga storia degli spaghetti e come sono giunti fino a noi.

Gli spaghetti sono il simbolo dell'intelligenza degli italiani

La storia degli spaghetti è strettamente legata alla storia della pasta essiccata tutta. La prima testimonianza ufficiale di questo nuovo cibo la ritroviamo in Sicilia grazie al lavoro del geografo arabo Muhammad al-Idrisi al tempo di Ruggero II, nel XII secolo. Nel "Libro di Ruggero" del 1154 c'è la descrizione di un paesino a pochi chilometri da Palermo che ha tantissimi mulini in cui si fabbrica una pasta a forma di fili modellata manualmente, evoluzione del lagănum di epoca romana. Questo formato così sottile è molto simile agli attuali vermicelli e infatti è così che li chiamavano a quei tempi.

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La storia però è più ingarbugliata di così. Per anni abbiamo creduto che a portare gli spaghetti in Italia fosse stato Marco Polo nel 1295 dopo il lungo viaggio in Cina. Questa leggenda è alimentata da un'errata traduzione dei suoi scritti ma non è così improbabile che l'esploratore abbia "importato" i noodles cinesi. Una pasta fresca, lunga, fatta con farina di riso.

Non è neanche detto che venissero proprio dalla Cina questi "spaghetti": secondo molti storici gli spaghetti di riso sarebbero stati importati dal Pakistan e realizzati lì dagli scarti di una pasta essiccata che veniva preparata per il sultano reggente. Questo formato si sarebbe poi diffuso in tutta l'India e successivamente nel mondo degli Arabi grazie agli scambi commerciali. Questi ultimi avrebbero messo a punto la tecnica dell'essiccazione della farina di grano duro, utilizzata in quelle zone per fare il cous cous, e l'avrebbero esportata in tutto il Mediterraneo. In Sicilia trova terreno fertile e nei dintorni di Palermo nascono tantissimi primordiali pastifici artigianali.

La cosa certa è che non abbiamo alcuna certezza sulla provenienza degli spaghetti. Anche se non sappiamo con certezza da dove siano spuntati fuori questi fili di pasta possiamo quindi dire che sono l'ennesimo esempio dell'intelligenza che ha sempre contraddistinto gli italiani. Siamo capaci di ottenere delle informazioni e assimilare le abitudini dei popoli con cui veniamo in contatto, li trasformiamo a nostro piacimento e poi li esportiamo nel resto del pianeta. Così come abbiamo fatto per la pizza e la sua origine mediorientale, abbiamo replicato con la pasta.

Gli spaghetti sono il dono di Napoli al resto del mondo

Collocare la natività degli spaghetti è impresa praticamente impossibile ma con ogni probabilità la forma definitiva di questo iconico prodotto è spuntata a Napoli ma con un altro nome. Sappiamo con certezza, ad esempio, che le prime industrie di pasta essiccata risalgono al XII secolo e che in questo periodo abbiamo già ravioli, gnocchi e maccheroni. Attenzione però: quando parliamo di "maccheroni" non facciamo riferimento al formato odierno, simile a una pennetta. Parliamo proprio degli spaghetti. Questo lo sappiamo grazie a Giovanni Boccaccio che a Napoli soggiorna nel 1348 e proprio in questo periodo conosce questo spettacolare piatto. Gli piace così tanto che lo menziona nel Decameron come "un appetitoso formato che si arrotola":

«et eraui una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato,
sopra la quale stauan genti che niuna altra cosa fecevan, che fare maccheroni, e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittauan quindi giù, e chi più ne pigliaua, più se
n’aveva»

È probabile, quindi, che la nascita e diffusione degli spaghetti risalga al Medioevo. Un concetto di "pasta" molto diverso da quello che abbiamo oggi: un piatto per ricchi, una pasta cotta per tantissimo tempo, per lo più con ingredienti dolci o servita come contorno alla carne.

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"Napoletani mangiano i maccheroni", dipinto di Saverio "Xavier" Della Gatta

Le cose cambiano nell'800 e non solo perché nel 1819 c'è per la prima volta l'ufficializzazione del termine "spaghetti" in un dizionario. In questo periodo il Regno delle Due Sicilie nella figura dei re Borbone sposa in pieno la filosofia della fisiocrazia, una dottrina economica che avrebbe trasformato profondamente il tessuto economico di Napoli e, con esso, anche la sua struttura sociale.

Ma cos'è la fisiocrazia? È un'idea sviluppata da François Quesnay per risollevare le sorti economiche dei francesi. Propone l'assunto che l'origine della ricchezza si basi sulla capacità agricola di una nazione e non sul denaro. Per l'economista l'agricoltura sarebbe dovuta essere il centro dei pensieri di una nazione: il commercio sposta le merci, le industrie le trasformano, ma solo l'agricoltura le fa nascere dal nulla. Propone addirittura di sostituire l'oro, simbolo della filosofia mercantilista, con il grano. Ai Borbone questa filosofia piace tantissimo e invitano i proprietari terrieri del regno a investire tutto ciò che hanno. Questa scelta, in realtà, avrebbe contribuito a causare la caduta della corona a favore di Garibaldi ma questa è un'altra storia.

Il cambio di rotta porta un'enorme afflusso di grano relativamente a buon mercato per produrre pasta. I Borbone aiutano anche gli industriali nell'acquistare, perfezionare e migliorare le macchine per produrre pasta. In parole povere, li sovvenziona: è un'idea futuristica e geniale perché così gli spaghetti arrivano ovunque.

Dobbiamo capire comunque che a questa diffusione della pasta contribuiscono anche degli agenti esterni assolutamente imponderabili: su tutti la posizione geografica di Gragnano, la città della pasta. La città è al centro della "valle dei mulini", una vallata con 30 mulini ad acqua, alcuni dei quali ancora funzionanti. Fino al 1783 questi mulini servono per l'industria tessile, che poi chiude definitivamente i battenti a causa di un'epidemia tra i bachi da seta. La produzione di seta viene spostata tutta a San Leucio, a Caserta, dove ancora oggi è un'eccellenza mondiale. I bachi di quella zona non sono interessati dalla malattia e prosperano indisturbati. I gragnanesi si adeguano e trasformano le proprie "fabbriche" dedicandosi alla manifattura della pasta. L’epoca d’oro della pasta di Gragnano è l’Ottocento, anni in cui sorgono grandi pastifici a conduzione non familiare lungo via Roma e piazza Trivione che diventano così il centro di Gragnano. I pastifici espongono i "maccheroni" a essiccare proprio in queste strade sfruttando i venti che arrivano dalla Costiera Amalfitana. Questa zona è una perfetta macchina del vento, una specie di "forno ventilato" senza difetti, che essicca nel giusto tempo e alla giusta temperatura.

Il cambiamento di destinazione dei mulini non è casuale e non è dovuto solo alla moria dei bachi: a Gragnano si fa la pasta dal 1300 perché nel Medioevo le Repubbliche Marinare di  Pisa e Genova vanno in Sicilia e portano i vermicelli in tutta la Penisola. Ovviamente arrivano anche ad Amalfi perché è il pit-stop perfetto prima di proseguire per Palermo. In Costiera la popolazione che è così colpita da questo cibo da voler imparare a fare i vermicelli. Purtroppo ad Amalfi le cose non vanno benissimo ma a Gragnano il territorio è perfetto: ampliano così la produzione e assorbono tutta la fabbricazione amalfitana che si trasferisce a piè pari sui Monti Lattari. Sono proprio i gragnanesi i primi a capire che la pasta può essere utilizzata per alimentare le classe più deboli. Perfezionano al massimo la tecnica dell'essiccazione e "regalano" scorte alimentari per tutto l'anno ai cittadini di Gragnano e dintorni.

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Dettaglio del presepe alla Reggia di Caserta: si vedono gli spaghetti col pomodoro

Tutte queste commistioni di eventi, unite a un sempre più rigido regime alimentare imposto dalla chiesa che vieta per "motivi religiosi" il consumo di carne, porta uno sviluppo incredibile degli spaghetti a Napoli. In questo periodo di vera e propria rivoluzione alimentare gli spaghetti salvano la città da una tremenda carestia e portano in tutto il Regno delle Due Sicilie un progresso tecnologico incredibile per l'epoca. Viene inventato il torchio a vite per la trafilatura della pasta (chiamato in napoletano ‘ngegno). Questi macchinari vengono esportati in tutto il mondo e contribuiscono a far abbassare il prezzo degli spaghetti. Diventano il piatto dei mendicanti, dei lazzaroni e, al contempo, vengono serviti sulle tavole aristocratiche, soprattutto con Ferdinando IV di Napoli che rende lo spaghetto il "formato di pasta ufficiale" del territorio.

Altro enorme contributo a questa rivoluzione lo porta la diffusione del pomodoro come condimento per la pasta. Gli spaghetti al pomodoro diventano il piatto italiano per eccellenza: alla Reggia di Caserta c'è uno dei presepi più grandi del mondo, a cui hanno contribuito tutti i re di Napoli e proprio lì si possono intravedere gli spaghetti col pomodoro. Con i flussi migratori arrivano anche negli Stati Uniti diventando parte integrante della cucina italo-americana. Il formato di pasta inventato (probabilmente) dai cinesi travalica le nazioni grazie all'inventiva degli italiani.

Gli spaghetti si mangiavano davvero con le mani?

Lo spaghetto che abbiamo raccontato fino ad ora è quasi uguale a quello che mangiamo oggi. Lo spessore può variare leggermente da un produttore all'altro e cambia anche l'aspetto a seconda del tipo di trafilatura. Uno spaghetto di qualità (come qualsiasi altro formato di pasta) è tale se risulta rugoso.

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Foto di Wikipedia | Totò in "Miseria e Nobiltà"

Una differenza reale tra gli spaghetti primordiali e quelli moderni c'è nel modo di mangiarli. Per tantissimi anni li abbiamo infatti mangiati con le mani, come fa Totò in alcuni suoi film. Se abbiamola forchetta a quattro rebbi lo dobbiamo proprio alla passione di Ferdinando II di Borbone per questa pasta, che trasforma totalmente il regno.

Possiamo dire senza ombra di dubbio che fino al XIX secolo gli spaghetti si mangiano con le mani: abbiamo documentazioni fotografiche e letterarie oltre a tanti dipinti che illustrano garzoni nei vicoli di Napoli fino alla fine dell'800 intenti a mangiare gli spaghetti con le mani.

Eppure la forchetta si usa da secoli, perché non sfruttano le posate? Per una stupida tradizione acquisita nel basso Medioevo, un retaggio secolare che porta il popolo a mangiare la pasta con le mani. C'è anche una motivazione tecnica: le forchette dell'800 hanno tre rebbi molto appuntiti e questo rende molto complicato arrotolare la pasta sulla posata. Ferdinando II chiede al ciambellano di corte, Gennaro Spadaccini, di risolvere il problema e questo mancato ingegnere capisce che ridurre le dimensioni dei forchettoni e aggiungere un altro spuntone rende gli spaghetti più maneggiabili. La forchetta moderna resta un mistero per il popolo e lo sarebbe stato ancora per diversi decenni ma, tra epidemie e semplice volontà di emulare l'aristocrazia, anche tra le persone comuni la tradizione degli spaghetti con le mani si perde e cominciano tutti a mangiarli con la forchetta.

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Quello che i piatti non dicono
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