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4 Marzo 2021 11:00

La dieta climatariana per combattere il global warming: cos’è e quali sono le sue regole

La lotta al riscaldamento globale passa anche attraverso l'alimentazione. Ecco allora farsi avanti la dieta climatariana, un termine entrato nell'uso quotidiano a partire dal 2015. Climatariani sono tutti coloro che mangiano solo cibi, la cui coltivazione, crescita e lavorazione non comportino impatti negativi sull'ambiente. Prima nella lista nera è la carne rossa.

A cura di Francesca Ciancio
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Mangiare può essere un atto politico. Per i climatariani di certo lo è e il loro obiettivo è quello di non contribuire al riscaldamento globale attraverso ciò che mangiano. Dal nome viene più da pensare a una strana popolazione di un pianeta sconosciuto, ma il fenomeno in verità va crescendo a dismisura, tanto da aver dato vita a una vera e propria dieta. I climatariani badano ai chilometri fatti da un prodotto prima della vendita, alle emissioni di CO2, agli acquisti controllati per evitare sprechi, a mangiare poca carne o eliminarla del tutto.

Come nasce il termine climatariano

D'origine americana, la parola climatarian viene usata per la prima volta nel 2015 dal quotidiano statunitense New York Times, che inserisce il termine nella lista delle parole dell'anno, identificando con questo tutti coloro che si nutrono solo di cibo prodotto in maniera sostenibile. Va a sostituire una parola meno felice come ecotarian, anche quella comparsa per la prima volta in Usa, in ricerche condotte dall'Università di Oxford.

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Le regole del perfetto climatariano

Al centro delle scelte nutrizionali di un climatariano c’è la lotta per un ambiente migliore, che passa necessariamente da un uso parco se non del tutto nullo della carne rossa. La motivazione è negli allevamenti intensivi di animali che da soli producono quasi il 15% del totale delle emissioni di CO2 nell’aria. In questa logica, anche l’acquisto di prodotti che provengono da lontano a molto lontano, rispetto al luoghi di consumo, va scongiurato.  In pratica non c’è benessere individuale senza benessere animale e ambientale: una dieta così pensata, inoltre, deve avere un’attenzione a 360 gradi su tutta la filiera, quindi oltre alla logistica, anche al packaging.

Il climatariano comunque non è solo in queste sfide. Accanto a lui lottano i reducetariani, ovvero le persone che riducono il consumo di animali; i pescetariani, coloro che hanno un occhio di riguardo per il mondo ittico; i vegetariani e, al netto di chi sceglie prodotti senza badare alla loro produzione e provenienza, anche i vegani. La crisi sanitaria in atto ha contribuito a una crescita di attenzione verso certi temi: il cucinare a casa più spesso, una spesa più meditata, la necessità di cibi sani oltre che soddisfacenti, hanno messo al centro della tavola anche questioni legati all’anti-spreco e alla salubrità dei prodotti, nonché alla tipologia di spesa, che si è sempre più orientata verso mercati locali e botteghe di prossimità, alla ricerca di cibi più freschi ma anche meno “inquinanti”, avendo viaggiato poco sui mezzi di trasporto.

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La dieta ideale per rispettare l’ambiente

Il nemico numero uno è il carbonio: dunque l’indice da tenere d’occhio è il carbon footprint. Va da sé che la carne rossa non gode di grande appeal. Diversi studi infatti hanno rilevato come l’allevamento di carne bovina implica l’utilizzo di terra, 28 volte, di acqua, 11 volte, e di gas serra, 5 volte, maggiore rispetto alla produzione di maiale, pollame, latticini e uova. Basti pensare che limitando il consumo di proteine animali della carne a sole due volte a settimana, è possibile “risparmiare” fino a 2300 grammi di CO2 equivalente al giorno. Ecco nel dettaglio i consumi di CO2 per chilo di prodotto:

  • l’impronta di carbonio della carne bovina supera abbondantemente i 20.000 grammi di CO2 equivalente per chilogrammo;
  • quella del pesce si attesta a poco meno di 4.500;
  • quella delle carni avicole a circa 4.000;
  • al di sotto dei 2.000 grammi di CO2 equivalente per chilo troviamo i legumi e la frutta secca;
  • sotto i 1.000, troviamo invece ortaggi e frutta di stagione.

Eliminare definitivamente la carne dalla nostra alimentazione non è l’unica soluzione: l’alternativa può essere quella di consumare carne rossa non più di due volte al mese, verificandone attentamente provenienza e tipo di allevamento. Dal punto di vista nutrizionale ci sono valide alternative e se il timore è quello di incamerare abbastanza ferro e proteine rinunciando alla carne, è utile sapere che una tazza di lenticchie cotte contiene 7 milligrammi di ferro, a fronte di 2,5 mg presenti contenuti in 100 grammi di carne rossa. Va meglio anche con una porzione di spinaci, 6 mg, e una tazza di fagioli rossi, che rilascia 4mg di ferro. Stesso discorso per le proteine: fagioli neri, crema di hummus e quinoa sono validi sostitutivi del bovino.

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