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10 Giugno 2025 16:00

Il maxi sequestro di arance in Sicilia e il problema delle frodi alimentari italiane

Una multa di circa 7000 euro per aver tacciato delle arance egiziane come prodotti siciliani Igp: una vicenda che riapre l'annosa questione delle truffe alimentari e che in alcuni casi assume le forme del cosiddetto Italian sounding.

A cura di Arianna Ramaglia
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È notizia di qualche ora fa il maxi sequestro avvenuto in Sicilia dove delle arance provenienti dall’Egitto venivano vendute per autentiche Arance Tarocco Rosse Di Sicilia Igp. L’operazione è stata condotta da una task force interforze che ha proceduto a sanzionare il proprietario delle attività con una multa di circa 7000 euro. Purtroppo non si tratta dell’unico caso di frode alimentare, ma è un problema che riguarda tutto il nostro territorio e che spesso valica anche i confini nazionali, con il cosiddetto fenomeno dell’Italian sounding.

Il caso

Questa volta sotto accusa è il proprietario di due aree di servizio lungo l’autostrada Catania-Palermo in cui delle arance egiziane sono state bollate come “Tarocco Rosse Di Sicilia”. A effettuare il sequestro è stata l’operazione congiunta di Polizia Stradale del Compartimento Sicilia orientale, il Corpo Forestale (Noras), l’ASP di Catania, l’Ispettorato del Lavoro, l’Agenzia delle Dogane, l’ICQRF e il Carabinieri per la Tutela Agroalimentare. Un inganno in piena regola perpetrato ai danni del consumatore, locale e straniero, convinto di acquistare un prodotto siciliano al 100% ma che in realtà proveniva da un altro Paese. Il titolare è stato denunciato per frode in commercio ma altre anomalie sono state rilevate, come la presenza di mozzarelle scadute e irregolarità igienico-sanitarie: sanzioni che ammontano a circa 7000 euro.

Sul caso è intervenuto Gerardo Diana, presidente del Consorzio di Tutela dell’Arancia Rossa di Sicilia IGP, che, con grande rammarico, ha affermato: “Vedere queste frodi in Sicilia, ai danni di un prodotto simbolo della nostra terra, fa ancora più male. Dobbiamo ringraziare chi ha portato a termine questa operazione: un’azione concreta a difesa non solo del marchio, ma del lavoro di centinaia di aziende che producono con serietà e sacrificio”. Perché il problema non riguarda ovviamente soltanto il cliente, ma anche i diversi produttori locali che lavorano costantemente ogni giorno per portare sulle nostre tavole solo prodotti che possono definirsi veramente made in Italy.

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L’importanza dei Consorzi di Tutela e gli altri casi

Le denominazioni di origine protetta (Dop) e le indicazioni geografiche protette (Igp) sono strumenti che non solo servono a dare lustro a determinati prodotti del nostro territorio, ma soprattutto ci aiutano a riconoscere quali di essi sono stati davvero realizzati in Italia. Come è già noto, i disciplinari contengono una serie di norme e regole – che riguardano tutta la filiera produttiva – che bisogna rispettare perché, per possedere quel marchio, gli alimenti devono godere di determinate caratteristiche che dipendono quasi esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti.

Il sequestro di arance di cui abbiamo parlato sopra, come si può immaginare, non è l’unico caso che possiamo menzionare: proprio qualche settimana fa, sempre in Sicilia, è stata scoperta, in una catena di supermercati, la presenza di una spremuta con l’etichetta “Arancia Rossa di Sicilia Igp” che non era però stata autorizzata all’uso della denominazione; o ancora la notizia, di qualche anno fa, di un olio prodotto tra Puglia e Calabria, distribuito e venduto come interamente italiano, ma in realtà realizzato con olive provenienti dalla Grecia e dalla Spagna. Di qualche giorno fa, invece, il caso di un ristorante di Merano che serviva ai suoi clienti del Grana Padano quando sul menu era riportata la dicitura “Parmigiano Reggiano”, giustificando la scelta come una questione di comodità, per far capire immediatamente al cliente che cosa stesse mangiando.

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Di sicuro non si vuole mettere in discussione la buona fede del ristoratore, ma casi del genere succedono in continuazione e purtroppo finiscono, in qualche modo, per sminuire l’alta qualità e soprattutto l’unicità dei prodotti enogastronomici italiani: è importante difendere il territorio e i produttori che si impegnano affinché i consumatori possano avere solo prodotti con quelle specifiche caratteristiche. In questo, una battaglia importante viene svolta dai vari Consorzi di Tutela, con operazioni che mirano a smascherare simili inganni, difendendo il buon nome del cibo italiano. Il loro compito è proprio quello di tutelare, promuovere, valorizzare il prodotto e informare il consumatore rispetto a questi temi: si occupano, in sostanza, di scoprire eventuali frodi e contraffazioni e garantiscono il rispetto del disciplinare di produzione dei diversi alimenti.

Nulla è come sembra: il fenomeno dell’Italian sounding

Lo sappiamo fin troppo bene che la cucina italiana è una delle più amate al mondo: è proprio per questo che possiamo spesso imbatterci, soprattutto all’estero, in prodotti che sembrano italiani ma in realtà non lo sono. È un fenomeno dilagante, serio e che ha un nome specifico: si tratta dell’Italian sounding e “consiste nell'utilizzare elementi della cultura culinaria italiana, come ingredienti, ricette, tradizioni o persino nomi italiani, per promuovere e vendere prodotti che non sono di origine italiana”.

Si tratta di un fenomeno perlopiù diffuso all’estero, e soprattutto su particolari prodotti nostrani come il basilico, il pomodoro, il Parmigiano Reggiano, l’olio e il vino. Non mancano però anche casi in cui sono state le stesse aziende italiane a produrre prodotti che di italiano avevano solo il nome: come il pesto alla genovese prodotto con basilico americano o come il vino NoLo – venduto soprattutto negli Stati Uniti – ossia un vino senza alcol o a basso contenuto alcolico che per legge non può essere definito vino.

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