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11 Agosto 2022 17:14

Domino’s in Italia fallisce perché gli italiani non amano la sua pizza: non è proprio così

Stiamo assistendo a una generale chiamata alle armi in difesa della pizza italiana, contro la pizza americana ma i motivi del fallimento di Domino's sono altri. La pandemia ha colpito duramente il gruppo ad esempio, ma non nelle modalità che immaginiamo.

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È andata male a Domino's pizza, gigante USA delle pizzerie, che dopo sette anni ha deciso di chiudere i battenti, levare le tende e lasciare l'Italia. In questi giorni sta chiudendo tutte e 29 le filiali ancora presenti nel nostro Paese, alzando definitivamente bandiera bianca. Stando ai comunicati la colpa è della pandemia. Mai come questa volta potrebbe essere vero: Domino's è stata colpita molto duramente dal lockdown ma non in maniera diretta. La situazione unica nella storia ha tolto al gruppo la più grande innovazione che ha portato nel mondo della ristorazione: il delivery della pizza.

Domino's pizza: perché ha chiuso in Italia

Nel nostro Paese è arrivata solo nel 2015 e ha aperto punti vendita a Milano, Torino, Bergamo, Bologna, Roma, Modena e in varie zone del Veneto per un totale di 29 indirizzi. Il piano previsto per l'Italia era di aprire ben 880 locali entro il 2030 ma negli ultimi due anni ha accumulato debiti per circa 11 milioni di euro mandando in fumo tutti i piani espansionistici della catena. Per i soci la colpa è della pandemia: Domino's in America è diventato famoso per i condimenti inusuali e per la possibilità della consegna a domicilio in ogni angolo della città; questi due fattori in Italia sono stati annullati. Le aziende di delivery sono arrivate poco dopo, gli ingredienti "strani" non hanno avuto l'appeal sperato.

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Oggi può sembrare strano ma, a parte la Campania dove la pizza consegnata a casa è un diritto inalienabile dell'uomo, qualche anno fa al Nord se volevi una pizza dovevi uscire e comprarla con le tue manine. Quando l'azienda è arrivata a Milano nel 2015 tutte le app che usiamo ogni giorno non esistevano o erano ancora poco note. Una volta arrivate hanno cannibalizzato il mercato e la pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione per il colosso USA. Al momento dell’ingresso sul mercato italiano, Domino’s ed ePizza, l'azienda detentrice del marchio in Italia, avevano indicato come punti di forza del loro prodotto non tanto le ricette "americane", come quelle molto citate con ananas, pepperoni o pollo, ma le innovazioni nel sistema di consegna. Le "innovazioni" sono diventate obsolete a causa delle app di delivery arrivate nel Bel Paese diventate protagoniste assolute del lockdown 2020.

Quali sarebbero queste grandi idee innovative? Borse riscaldate per mantenere la pizza in caldo, cartoni più rigidi ed ecologici, motocicli riconoscibili per la consegna, il tracking online del delivery. Ti suonano familiari? Sono tutte misure che le app per il servizio a domicilio hanno "rubato" ed esportato in tutto il mondo, rendendo ininfluente il modello di business di Domino's. All'estero la comunicazione punta anche sulla qualità del prodotto ma nel nostro Paese neanche questo caposaldo può essere usato più di tanto.

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Sebbene sui social la notizia sia stata accolta con una certa ironia, con una nazionalistica rivendicazione della superiorità della pizza italiana, in realtà non sembra esserci stata una reale preferenza per la "pizza nostra" rispetto alla "pizza loro", anzi. Più corretto affermare che il modello capitalistico di business tracciato da Domino's America ha attecchito talmente bene nel nostro Paese da ritorcersi contro il suo stesso creatore. Domino's voleva portare la pizza a casa di tutti, in un certo senso è riuscito a farlo capire anche a tutte le altre pizzerie.

Oltreoceano le cose sono molto diverse invece: Domino's nasce nel 1960 grazie ai fratelli Tom e James Monaghan, in pochi anni l'azienda viene quotata in borsa con grande successo. Nel 1998 la svolta con il passaggio nelle mani di Mitt Romney, futuro candidato repubblicano alla Casa Bianca e discendente di una delle famiglie più potenti e influenti di tutti gli Stati Uniti. Nel nuovo millennio le cose continuano a migliorare e oggi la catena di pizzerie vale circa 14 miliardi di dollari.

No, il fallimento non è stato un moto patriottico

A novembre 2019 l'amministratore delegato e co-fondatore di ePizza, Alessandro Lazzaroni, ha rilasciato una dichiarazione molto forte: "880 negozi in Italia entro il 2030 ". Meno di 12 mesi dopo lo stesso Lazzaroni avrebbe lasciato il gruppo per andare da Burger King. Per la cronaca, oggi Lazzaroni guida il gruppo Crazy Pizza, la discussissima azienda ristorativa di Flavio Briatore.

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A dispetto delle dichiarazioni sensazionalistiche di Lazzaroni però bisogna dire che l'espansione di Domino's non è stata per nulla rapida. Andando contro il suo stesso nome, non c'è stato nessun "effetto domino": 29 aperture in 7 anni non è un risultato di cui andar fieri vista la potenza del marchio. In Italia abbiamo esempi di gran lunga superiori, come Pizzium o Berberè, in grado di portare avanti una pizza di qualità e una forte idea di business. È possibile che la spiegazione stia nel compattarsi dell'opinione pubblica italiana? "La pizza con l'ananas fa schifo, come osate portare questa roba nel nostro Paese!".

In realtà non sembra essere questo il motivo. A proposito di questo Giuseppe A. D'Angelo, sulla sua newsletter Pizza DIXIT, fa delle considerazioni interessanti portando dei validi esempi: innanzitutto perché Domino's ha offerto un menu "dedicato a noi" con pizze e prodotti italiani. Ha stilato accordi con i consorzi del Prosciutto di Parma, della Mozzarella di Bufala, del Grana Padano e tante altre DOP più piccole. Nel menu sono presenti anche le classiche pizze americane ma, "se dopo 7 anni non sono mai state toccate dobbiamo dare per scontato che un certo volume di vendita della pizza con l'ananas deve esserci stato" conclude l'autore.

Bisogna poi dire che all'inizio della sua "campagna in Italia" i risultati sono stati più che soddisfacenti: Domino's ha venduto ai milanesi l'interfaccia utente, la promessa di una consegna precisa e igienicamente impeccabile, la possibilità di creare la propria pizza, un prodotto di qualità superiore alla media, l'accesso a sconti e "prodotti premio". Può sembrare un'eresia ma a dispetto dei titoloni che troviamo in giro, la pizza di Domino's ha conquistato una bella fetta di pubblico stando alle recensioni che troviamo su TripAdvisor e ai commenti dei clienti ai post della catena. Le persone si stanno lamentando della chiusura dei negozi, augurando un presto ritorno al franchise; come nota D'Angelo poi le recensioni che ci sono in giro sono altalenanti, è vero, ma quelle negative segnalano più che altro ritardi nel servizio. Pochissimi sono quelli che si lamentano del prodotto in sé. A conti fatti ci sono più complimenti alla pizza di Domino's che lamentele sul prodotto. Uno sguardo sorprendente su un prodotto dileggiato dai più.

La possibilità di un ritorno sotto un'altra guida non è così impossibile dunque anche perché i profili social sono ancora attivi. Il vero dubbio riguarda dipendenti e investitori: per aprire un punto vendita occorrono 300 mila euro di base, soldi che in questo momento sono stati persi dagli imprenditori in attesa del tribunale fallimentare. I dipendenti hanno invece perso il lavoro: alcuni politici stanno facendo un appello alle pizzerie di tutta Italia affinché diano una mano a questi sfortunati lavoratori, speriamo vengano ascoltati.

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Quello che i piatti non dicono
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