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31 Ottobre 2025 9:00

Día de los Muertos in Messico: quando il cibo incontra la memoria

Il Día de los Muertos celebra i defunti attraverso la cucina e i colori. Prepariamo le valigie e partiamo insieme per scoprire questa importantissima tradizione messicana. Con l'aiuto dello chef Daniel Lozano Zepeda, abbiamo scoperto qualcosa in più di questa festa.

A cura di Enrico Esente
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Case addobbate, luci, colori sgargianti, altari decorati e profumo di mais tostato e cacao: così, dal 31 ottobre al 2 novembre, il Messico celebra il Día de los Muertos. Viaggiare qui in questo periodo è un’occasione unica e imperdibile, perché si tratta della festa più importante dell’anno. Una combinazione di emozioni in cui la cucina diventa il ponte tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, e ogni piatto racconta la storia di chi non c’è più. In Messico, durante questi giorni, la morte non fa più paura: è attesa e accolta con musica, balli, colori e piatti preparati con amore per i propri cari defunti. Per molti chef messicani, questa celebrazione rappresenta molto più di una tradizione — è un modo per custodire la memoria attraverso i sapori, per tramandare identità e sentimento in ogni preparazione.

Ne abbiamo parlato con Daniel Lozano Zepeda, creative executive chef di Carbón Cabrón, ristorante di San José del Cabo, presente in Guida Michelin. Lozano, guidato dallo chef Alfonso “Poncho” Cadena Rubio, è uno dei volti più rappresentativi della cucina messicana contemporanea. Con lui abbiamo scoperto come la gastronomia del Día de los Muertos continui a evolversi tra radici, emozione e creatività.

Origini della celebrazione più adorata in Messico

Prima di addentrarci nelle prelibatezze da gustare durante questa celebrazione così sentita dal popolo messicano, è giusto ricordarne l’origine. Dalla parola sembrerebbe una ricorrenza funebre, ma qui è l’esatto contrario: un rito di vita, dove il pensiero comune è che i defunti tornino a far visita ai propri cari per una notte, sedotti dai profumi dei loro piatti preferiti e dai fiori di cempasúchil, il tagete arancione simbolo della festa. Le radici del Día de los Muertos affondano in un sincretismo affascinante tra tradizioni precolombiane (azteche, maya, zapoteche) e il cattolicesimo introdotto dai conquistadores spagnoli nel XVI secolo. I nativi, infatti, non temevano la morte, ma la celebravano come parte naturale del ciclo della vita. Credevano che andasse onorata e rispettata con offerte di cibo e simboli.

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Nel 2008, l’UNESCO ha riconosciuto il Día de los Muertos come Patrimonio Immateriale dell’Umanità, per il suo straordinario valore culturale e la capacità di mantenere viva, attraverso il cibo, l’identità collettiva del popolo messicano. Bisogna fare un appunto importante: questa giornata non va confusa con Halloween, né con Carnevale. Non si tratta di una celebrazione spaventosa o turistica e, se la prima festa è segnata da costumi “horror”, il Día de los Muertos è il suo opposto: una celebrazione gioiosa, arricchita da cibi deliziosi, fiori, colori accesi e aneddoti divertenti legati alle persone scomparse.

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Il cibo, come ci ha raccontato Lozano, è il cuore pulsante di questa festa. "Tutti gli alimenti presenti sugli altari del Día de Muertos – spiega lo chef – hanno il significato di essere parte dell’offerta ai nostri defunti. Tradizionalmente si preparano i piatti preferiti della persona a cui è dedicato il ricordo, insieme ad altri alimenti tipici della stagione. La sua funzione è quella di "nutrire" lo spirito, e si crede che il giorno successivo il cibo perda il sapore, poiché i defunti si alimentano dell’anima dei piatti.

Pan de muerto, mole e memoria

La pietanza simbolo di questa celebrazione è il pan de muerto, un soffice pane profumato ai fiori d’arancio, ricoperto di zucchero e decorato con piccole forme che richiamano ossa e teschi. “Il pan de muerto è più o meno lo stesso in tutto il Paese – racconta Lozano – alcuni lo ricoprono con zucchero colorato di nero o grigio, a simboleggiare le ceneri dei defunti, ma la ricetta rimane sostanzialmente la stessa: un pane morbido, aromatizzato all’arancia, ai fiori d’arancio e al burro". Lo si prepara nei giorni precedenti la festa e si offre sugli altari, ma anche in famiglia, accompagnato da una tazza di cioccolata calda o atole, una bevanda di mais dolce e densa.

Tra le altre pietanze tipiche non mancano i tamales, involtini di mais ripieni, dolci o salati, avvolti in foglie di banana e cotti al vapore e il mole, la salsa simbolo del Messico. "Per il mole è tutta un’altra storia – spiega lo chef – esistono moltissime varianti, e in ogni regione se ne possono trovare centinaia. Solo a Oaxaca ce ne sono più di duecento. Il più tipico per il Día de Muertos è il mole poblano, diffuso in tutto il Paese, dal sapore più dolce e servito con carne di pollo".

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Nel ristorante Carbón Cabrón, la celebrazione assume un tono intimo e poetico. “Nel nostro locale prepariamo piatti speciali per questo giorno – dice Lozano – Per me i sapori e i colori sono fondamentali: la zucca, il mole rosso di mia nonna, il fiore di cempasúchil, il riso rosso, i colori arancione, viola, giallo: da questi elementi partiamo per reinterpretare i piatti, mescolandoli con l’essenza del ristorante: fumo, legno, luce calda, fuoco, brace".

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Chef Daniel Lozano Zepeda – foto Instagram Carbón Cabrón

Lo chef ci ha poi spiegato che il risultato è un menù che fonde memoria e creatività: una zucca marinata e affumicata, accompagnata da palanqueta salata di semi (dolce messicano a base di frutta secca) e mole coloradito di zucca di Castiglia; un riso cremoso e brodoso con pollo, verdure e coriandolo. C'è poi anche un mole rosso con carne di maiale, intenso e leggermente amaro, servito con pancetta, verdolagas (portulaca) o cipolla marinata al limone con origano e xoconostle (un frutto messicano dal sapore acidulo). A chiudere, naturalmente, pan de muerto con panna fresca e gelato al fiore di cempasúchil.

“Credo che oggi noi messicani sappiamo che la nostra cucina è all’altezza delle migliori del mondo –  riflette Lozano – È di moda in molti paesi e si sta affermando come una delle più ricche e interessanti, ma il Día de Muertos non è nato per questo. È una celebrazione intima e spirituale, che in parte si è trasformata con il turismo. A volte si perde l’essenza, lo spirito più profondo che la rendeva sacra". Per questo, ogni 2 novembre, Carbón Cabrón organizza un evento semplice ma suggestivo: "Decoriamo con fiori di cempasúchil, incensi e candele – racconta lo chef – la luce è calda e soffusa, quasi al buio, per creare un’atmosfera solenne e misteriosa. Serviamo il nostro menu abituale con piatti speciali solo per quel giorno e doniamo ai clienti dei fiori da portare a casa, così che possano metterli sul proprio altare. È una celebrazione discreta ma elegante, che si adatta perfettamente all’anima del ristorante".

La differenza con il giorno dei morti in Italia

In Messico si svolge tutto così: il 31 ottobre si iniziano a preparare le decorazioni con foto, candele e piatti tradizionali; il 1° novembre è il Día de los Angelitos, dedicato alle anime dei bambini defunti. Il 2 novembre è il Día de los Muertos, quindi quello dedicato agli adulti. In Italia conosciamo questa festa anche grazie ai social, eventi organizzati dalle comunità latinoamericane e grazie a Coco, un celebre film della Pixar.

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Tuttavia, da noi il 2 novembre resta una giornata più sobria e silenziosa, dedicata alla commemorazione dei defunti con visite al cimitero, fiori e preghiere. Mentre in Messico la morte si celebra con gioia e colori, in Italia tende a essere ricordata con rispetto e raccoglimento. Invece di preparare tavole imbandite e altarini, noi offriamo fiori per onorare i morti e richiamarli alla memoria. Rispetto ad Halloween, importato dall’America, il Día de los Muertos conserva una spiritualità autentica, legata non al terrore ma alla memoria, al ricordo affettuoso e al potere del cibo come ponte tra mondi.

È un po' come se tutto il popolo messicano dicesse al proprio caro defunto: "Non ti ho dimenticato, questo giorno lo dedico a te, siediti a tavola con noi e godiamoci tutti insieme questo buon cibo".

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Quello che i piatti non dicono
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