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Nel regno del cioccolato, della birra e dei waffle, c’è anche un altro prodotto gastronomico capace di infiammare gli animi dei belgi: le frites, ovvero le patatine fritte croccanti fuori e morbide dentro, servite in coni di carta e accompagnate da generose quantità di salsa. Una tradizione che trova spazio tanto nelle brasserie, come nel classico piatto mules-frites che le vede accompagnarsi alle cozze, quanto nei chioschi di strada di cui se ne contano circa 5000 in tutto il paese. Andiamo alla scoperta di questo tipico street food e di cosa lo rende così speciale.
Patatine fritte belghe: un po’ di storia
C’è subito da dire che la loro origine è contesa con la Francia, con i cugini francesi che si attribuiscono la paternità delle french fries: se andate in Belgio, evitate di chiamarle così, perché qui l’unico termine è frites, che implicitamente intende le pommes frites, alias le patate fritte. Secondo la teoria più accreditata, tutto avrebbe avuto inizio nella regione della Vallonia, a sud del paese, tra il XVII e il XVIII secolo: gli abitanti dei villaggi che sorgevano lungo la Mosa erano soliti friggere piccoli pesci d’acqua dolce, ma durante i rigidi inverni, con il fiume ghiacciato, l’alternativa diventano le patate, che dopo la scoperta dell’America si erano diffuse in particolare nell’Europa del nord come alimento povero e nutriente.
Nel corso del tempo, le frites hanno assunto uno status sempre più importante nella cultura belga, fino a diventare un segno dell'identità nazionale, tanto che a Bruxelles e a Bruges si può visitare il Friet Museum, interamente dedicato alle patatine fritte. In più, nel 2014 il Belgio, attraverso una petizione, ha chiesto all’Unesco il riconoscimento delle frites come patrimonio immateriale dell’umanità – proprio come l’Italia ha presentato la candidatura per la sua cucina – senza (ancora) esito positivo.

Il luogo d’elezione delle belgian fries è il fritkot, il chiosco in cui vengono preparate e servite in chiave take away: sono attività il più delle volte a conduzione familiare, portate avanti generazione dopo generazione, ognuno con il suo segreto per l’olio, il tempo di cottura, la salsa più azzeccata. Insomma, un simbolo di democrazia culinaria che fa parte della quotidianità, dove a mettersi in coda sono studenti, pendolari, professionisti e turisti di qualsiasi ceto sociale.
Come si fanno le frites?
Cosa rende le frites belghe differenti da quelle comuni? Partiamo dalla materia prima: non tutte le patate sono destinate a questa preparazione. Le patatine fritte belghe si fanno con la Bintje, una varietà selezionata dagli olandesi nel primo decennio del ‘900, ma che è stata adottata con entusiasmo dai coltivatori belgi. Si tratta di una tipologia a pasta gialla dalla polpa farinosa, ideale per il purè, gli sformati e la frittura. I tuberi, dopo essere stati stati lavati e sbucciati con cura vengono tagliati a fette e poi in bastoncini spessi circa un centimetro e lunghi dai 5 agli 8 cm.
Ecco che arriva il momento della frittura, che si caratterizza per essere doppia e, generalmente, a temperature differenti. Dopo essere state fritte una prima volta a 160 °C, le patatine si fanno raffreddare e poi vengono fritte ancora tra i 170 °C e i 180 °C: in questo modo avranno una consistenza morbida all’interno e croccante all’esterno. Si possono anche realizzare in due momenti diversi, tenendole in frigo o congelandole. E l’olio? Anche questo non è un dettaglio da poco: se ormai l’olio vegetale (tipo quello di arachidi) ha sempre preso più piede nella scelta per motivi di costi e di salute, tradizionalmente si usava il grasso animale, non lo strutto che deriva dal maiale, ma quello del bovino: una marca famosa in Belgio è la Blanc de bœuf, che scrive sulla sua confezione il claim “le vrai goût des frites”, tanto per non lasciare adito a interpretazioni.

Ovviamente, non possono mancare le salse, tra cui maionese, ketchup e andalouse, con peperoni, maionese, concentrato di pomodoro e, in alcune versioni, l’aggiunta del peperoncino, che conferisce una nota piacevolmente piccante.
Frites e Belgio: non è tutto rosa e fiori
Non dire a un belga che le frites sono francesi è una regola che vale sempre. Negli ultimi anni, però, il grande giro economico che vede protagonista le patatine fritte sta avendo degli effetti collaterali, soprattutto in termini di sostenibilità ambientale e lavorativa: nel 2021, un articolo pubblicato sulla rivista Politico, poneva l’attenzione sulle proteste degli abitanti di Frameries, che avrebbero visto sorgere alle porte della cittadina vallona uno stabilimento per la lavorazione delle patate: ciò avrebbe portato cattivi odori, inquinamento e condizioni di lavoro precarie. La denuncia è quella che il commercio mondiale di frites e la sua industrializzazione non abbiano nulla a che vedere con la loro allure romantica e l'autenticità di quello che è a tutti gli effetti un piatto icona del patrimonio gastronomico.