;)
Dall’oro bianco degli Antichi Romani, a cui viene dedicata persino una via (la Salaria) per garantirne gli approvvigionamenti, a condimento pressoché indispensabile e scontato, il sale da cucina è uno degli ingredienti più popolari grazie alla sua capacità di dare sapore. Ma non solo: è un conservante naturale (tanto che non ha scadenza), lo si usa nelle marinature, in cotture che lo vedono protagonista e, in più, compare in tutte le tabelle nutrizionali, perché fa parte di quelle sostanze che il nostro organismo deve assumere per svolgere determinate funzioni vitali, regolando per esempio l’equilibrio acido-basico e la presenza di acqua nel sangue e nel tessuto cellulare. Il sale non va eliminato, ma vietato esagerare, perché può portare a gravi problemi di salute. Ed è proprio su questo fronte che negli ultimi anni il sale è fioccato sugli scaffali in mille e una tipologia, che prometteva di “fare bene” o “meno male” rispetto al sale comune. Vediamo, in realtà, perché a livello salutistico non esiste un sale migliore di un altro, mentre la qualità si avverte da un punto di vista gastronomico.
Che cos'è e come si ottiene il sale
Quando parliamo del sale da cucina ci riferiamo a un composto cristallino formato quasi interamente da cloruro di sodio, che ha come formula chimica NaCi, ovvero l’unione di ioni di sodio (Na) e di cloro (Ci). Sia il sale destinato all’alimentazione sia quello da impiegare nell’industria deriva dall’acqua di mare, distinguendosi nelle due maggiori tipologie che abbiamo a disposizione.
Il salgemma si ricava dai giacimenti sotterranei che si sono formati dal prosciugamento di antichi mari. L’estrazione può avvenire in due modi: dalle miniere, quindi scavando nella roccia e frantumando grandi blocchi – creando dei veri e propri scenari lunari sottoterrai – oppure iniettando nel sottosuolo tramite dei tubi soluzioni liquide a base d’acqua che sciolgono il sale, con il risultato di una salamoia che poi viene pompata verso l’alto, fatta fluire in apposite vasche e lasciata evaporare.
Il sale marino, invece, arriva dalle tipiche saline, presenti in diverse parti d’Italia e luoghi particolarmente interessanti dal punto di vista storico, culturale e naturalistico tra quelle di Cervia in Romagna, Margherita di Savoia in Puglia, quelle di Trapani e Marsala (presidio Slow Food e marchio IGP) in Sicilia e di Sant’Antioco in Sardegna, risultato della lavorazione dell’acqua di mari esistenti (come il Mediterraneo) che viene raccolta in grandi bacini e poi fatta evaporare al sole, con il cloruro di sodio che si accumula sul fondo per poi essere raccolto, lavato ed essiccato.
In entrambi i casi, nel sale grezzo sono presenti altri minerali, come ferro, potassio, magnesio che tramite un processo di raffinazione (meglio detto purificazione) vengono eliminati a seconda del risultato che si vuole ottenere: queste sostanze possono rimanere nel prodotto finale in quantità inferiori al 3% o non si potrebbe definire sale – per esempio, il salgemma raggiunge il 99,9% di cloruro di sodio, mentre un sale marino integrale ne deve contenere appunto almeno il 97% – ma dal punto di vista nutrizionale e salutistico risultano irrilevanti per conferire dei veri e propri benefici.
Quali sono le tipologie di sale più diffuse
Abbiamo parlato di salgemma, sale marino e accennato pure al sale marino integrale, una “sottocategoria” più pregiata di quest’ultimo. Le varietà di sale che si utilizzano in quasi tutte le preparazioni che portiamo in tavola sono molteplici: senza dubbio, la prima distinzione che si nota nel reparto del supermercato è quella tra sale grosso e sale fino, dove a fare la differenza è la granulometria, grande o piccola, che porta a effetti diversi nell’impiego pratico, con il sale grosso che si scioglie più lentamente e quello fino molto solubile e concentrato in sodio (ed è per questo che se ne usa un po’ di meno quando bisogna salare l’acqua della pasta). E se in passato ci si fermava qui, ora orientarsi tra gli scaffali non è più così semplice, con tipologie che cambiano notevolmente di prezzo e che, spesso, strizzano l’occhio al marketing, come nel famoso caso del sale rosa dell’Himalaya, più bello che utile. Vediamo quali sono le più popolari.
- Sale marino integrale: partiamo subito dal sale che subisce meno trattamenti dopo la sua evaporazione nelle saline e che vede esponenti di spicco considerati delle vere e proprie eccellenze, come il sale marino di Cervia (siamo affacciati sull’Adriatico), soprannominato “dolce” per una naturale minore presenza di cloruri amari. In generale, si tratta di sali che non subiscono il classico sbiancamento: la percentuale di cloruro di sodio è minore (sempre comunque dal 97% in su), mantenendo quegli oligoelementi che caratterizzano le acque da cui provengono. Ha un livello più alto di umidità, con relativa consistenza più grumosa e un colore che ne rispecchia la composizione, dal grigio al ceruleo: anche il sapore può variare, risultando complesso e rotondo.
- Fior di sale: restiamo nell’ambito del sale marino, dove il fior di sale ne rappresenta la parte migliore. Quando senti parlare di fleur de sel o del sale di Maldon, ci si riferisce proprio a questa tipologia rinomata (e costosa). Il motivo? Sono cristalli leggeri – tanto da essere definiti fiocchi – dalla forma sottile, piramidale o a lamelle e la consistenza croccante, che affiorano sulla superficie delle vasche in determinati momenti dell’anno, in combinazione con clima e agenti atmosferici favorevoli, come il sole e il vento, e vengono raccolti a mano, con metodi artigianali e antichi. Bastano pochi fiocchi per guarnire una bistecca o preparare cookies al cioccolato e caramello, sotto il segno di ricette con un tocco gourmet.
- Sali colorati: il più celebre è quello rosa dell’Himalaya, ma ce ne sono praticamente di tutti i colori, da quello rosso delle Hawaii, marino, caratterizzato dai residui di argilla vulcanica responsabile della tonalità, al sale blu di Persia, un sale di roccia ricco di silvinite, a quello nero che viene addizionato con carbone vegetale, lo si trova da Cipro all’Islanda. Sono sali dai prezzi medio-alti, che attirano per il loro aspetto elegante, dato da granelli grezzi e sfumature intriganti, ma non bisogna farsi ingannare dalla loro bellezza, che non comporta miracolosi effetti sulla salute come spesso, invece, viene pubblicizzato.
- Sali aromatizzati: si trovano in vendita già pronti, ma si possono realizzare in casa a partire dal sale che usi solitamente, basta aggiungere spezie, erbe aromatiche secche, bucce di agrumi, semi oleosi (per esempio con il sesamo tostato si fa il gomasio, tipico della cucina asiatica) con cui arricchire i propri piatti. Questo tipo di condimento può risultare utile per usare meno sale grazie alla combinazione con altri alimenti che aiutano a insaporire.
- Sale iodato: si tratta del sale da cucina (marino o salgemma) che viene addizionato con lo iodio, un minerale essenziale per l’organismo di cui è importante prevenire la carenza, in quanto fondamentale per le funzionalità della tiroide. Dato che non è così semplice assumerne le corrette quantità nei cibi, il modo migliore per assicurarlo è quello di scegliere questo tipo di sale integrato che, scientificamente, possiede davvero un microelemento in più.
- Sale iposodico: definito come un “sostituto del sale”, nella sua composizione vede una quantità minore di sodio, prodotto appositamente per contenerne anche fino al 75% in meno di quello comune da cucina. Al suo posto c’è il cloruro di potassio. Il suo consumo è destinato a coloro che sono obbligati a seguire diete povere di sodio, sotto prescrizione medica, indicato per chi soffre di ipertensione arteriosa: esiste in commercio anche il sale iposodico iodato.
Dosi consigliate e "sale nascosto"
"Le linee guida, per quanto riguarda gli adulti, consigliano di non superare i 5 grammi al giorno, che equivalgono più o meno a un cucchiaino da tè: non sembra tanto, ma tra ciò che aggiungiamo ai piatti e quello già presente negli alimenti confezionati, spesso andiamo ben oltre senza rendercene conto" ci racconta Simone Gabrielli, biologo nutrizionista e crrator di Cookist. "Il vero problema nasce quando il consumo è costantemente troppo alto, come accade a chi mangia molti alimenti ultraprocessati: snack, piatti pronti, affettati, formaggi industriali. Un abuso fisso di sale può favorire ipertensione e aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, oltre a sovraccaricare reni e apparato circolatorio.
"Quando si parla di ‘sale nascosto' – precisa Gabrielli – ci si riferisce proprio a quello contenuto nei prodotti confezionati o in alimenti insospettabili, come pane, cereali da colazione, salse pronte, crackers, piuttosto che quello che aggiungiamo con la saliera. È per questo che leggere le etichette diventa fondamentale: spesso ridurre il sale non significa solo usarne meno a tavola, ma soprattutto limitare i prodotti industriali che ne contengono già in abbondanza o comunque preferire quelli che ne contengono meno".
Quanto al tipo di sale, "dal punto di vista nutrizionale sono praticamente tutti uguali: sale marino, integrale, rosa dell’Himalaya, nero… cambia solo l’aspetto e a volte il gusto, ma il contenuto di sodio – quello che conta per la salute – è lo stesso. Anche i cosiddetti sali “arricchiti” in realtà hanno differenze minime e non giustificano particolari preferenze dal punto di vista salutistico. L’unica eccezione utile è il sale iodato, raccomandato dal ministero della Salute, perché contribuisce a prevenire carenze di iodio, un minerale importante per il corretto funzionamento della tiroide, però anche questo contiene sodio e va limitato come qualunque altro tipo di sale".
Come scegliere un sale di qualità
Un concetto importante, che bisogna ribadire, è che non esiste un sale che faccia bene più di un altro: tutte le tipologie, infatti, devono essere consumate con parsimonia, magari seguendo le linee guida raccomandate dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che ne prevedono, come ci spiegava Gabrielli, 5 grammi al giorno (pari a 2 gr di sodio), meglio se iodato: è risaputo che in Italia il tetto è superato del doppio, contando 10 gr di sale a testa tra quello già presente nella composizione nutrizionale dei cibi (vedi alla voce sodio), quello aggiunto nei cibi ultra processati o in veste di condimento mentre si cucina.
Tra le diverse varietà, il salgemma comune raggiunge purezze elevate (come detto arriva al 99,9%) e ha un alto potere salante: durante la lavorazione viene privato di quegli elementi presenti nella roccia che potrebbero risultare nocivi, come metalli tipo mercurio, rame e piombo. Anche il sale marino più diffuso ed economico presenta le stesse proprietà, bianchissimo e versatile: entrambi, per legge, possono avere additivi per migliorare la consistenza, in particolare gli antiagglomeranti ferrocianuro di sodio (e-535) e potassio (E-536),che, ricordiamo, non fanno male in questo frangente, date le dosi minime permesse.
La qualità del sale si misura più in ambito gastronomico, valorizzando l’origine e i processi di lavorazione. Un prodotto pregiato solitamente vede metodi artigianali associati a legami con il territorio, e in questo caso il sale marino integrale e il fior di sale si presentano più interessanti come texture e sapori, che risultano piatti e anonimi nei più convenienti salgemma e sale marino raffinati. Infine, è vero, il sale è imprescindibile, ma, nell’ottica di ridurlo, esistono delle valide alternative, tra ingredienti sapidi come capperi, acciughe e olive, alghe e salsa di soia che dall’Asia ci portano il tipico gusto umami o “sperimentare” con mix di spezie ed erbe aromatiche.