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Nel cuore pulsante del Mediterraneo, dove il vento trasporta profumi d’origano, salsedine e storie di mare, è nata una ricetta che sa di incontri e contaminazioni: il pesto alla trapanese. Non è solo una variante "siciliana" del più famoso pesto ligure, ma un autentico racconto di viaggi, di mercati brulicanti, di porti pieni di dialetti intrecciati e di cucine che si arricchiscono l’un l’altra, come accade solo nei luoghi attraversati dalla storia e dal commercio.
Quando Genova incontrò Trapani
Torniamo indietro di qualche secolo, in un tempo in cui le navi liguri solcavano le acque verso sud trasportando spezie, tessuti, olio, frutta secca. Genova era potenza marinara, Trapani porto fervente sulla costa occidentale della Sicilia, crocevia di scambi tra Oriente e Occidente.
I navigatori genovesi, nei loro viaggi verso l’Oriente, facevano spesso scalo nella città siciliana. E con loro, tra le stive delle navi, arrivava anche una ricetta rustica e profumata: l’agliata, una salsa semplice a base di aglio e noci, usata per condire la pasta o il pesce.

I trapanesi, come ogni popolo di mare, erano pratici, intuitivi e abili nel reinterpretare. Osservarono la preparazione dei liguri, ne intuirono il potenziale e, come spesso accade nella cucina popolare, decisero di adattarla ai prodotti del territorio. Le noci furono sostituite con le più abbondanti mandorle siciliane, il basilico cresceva rigoglioso anche sotto il sole dell’isola, e l’aglio – forte e deciso – era già un protagonista delle loro tavole. Ma il colpo di genio fu l’aggiunta del pomodoro: rosso, succoso, dolce, importato dalle Americhe ma ormai parte integrante della dieta mediterranea.
Così nacque il pesto alla trapanese, una salsa che racconta più di una semplice evoluzione gastronomica: è la dimostrazione di come le culture si sfiorano e si fondono, creando qualcosa di nuovo, senza mai dimenticare le origini.
Una ricetta “cruda” ma ricchissima
Preparare il pesto alla trapanese è un atto di semplicità e rispetto per gli ingredienti. Non c’è cottura, se non quella della pasta. Le mandorle si pelano (alcuni le tostano leggermente), il basilico si lava con delicatezza, i pomodori maturi si spellano e si tritano a mano o al mortaio, come una volta. Poi si aggiunge l’aglio – tanto o poco, a seconda della mano che lo prepara – e l’olio extravergine d’oliva, quello buono, siciliano, verde e profumato. Il tutto si amalgama fino a ottenere una salsa rustica, dove ogni ingrediente conserva la propria identità.
Tradizionalmente si usa condire con questo pesto le busiate, una pasta tipica trapanese fatta a mano, arrotolata su un ferretto. La loro forma elicoidale trattiene alla perfezione il condimento, esaltandone ogni sfumatura.

Una cucina di identità e incontro
Il pesto alla trapanese non è solo un piatto: è una pagina di storia culinaria che parla di accoglienza, di creatività e di memoria. In ogni forchettata si sente il mare, il sole, la freschezza delle erbe aromatiche e la sapidità di una cultura gastronomica che non ha mai avuto paura di aprirsi agli altri.
Oggi questa ricetta è diventata un simbolo dell’orgoglio siciliano, ma anche della capacità del Mediterraneo di essere crocevia culturale, dove le ricette non sono mai fisse, ma in continua trasformazione. Ogni famiglia ha la sua variante: chi aggiunge una punta di pecorino, chi preferisce le mandorle con la buccia, chi usa il pomodoro ciliegino e chi quello da sugo. Eppure, in tutte le sue versioni, resta immutato lo spirito con cui è nato: un incontro tra mondi diversi, trasformato in un piatto da condividere.