20 Marzo 2022 11:00

Dal buffet unico alle portate separate, come è nata la suddivisione dei piatti

Dai buffet medievali e rinascimentali alla suddivisione delle portate che caratterizza i pasti di oggi. Come si è arrivati a questa distinzione? Perché, invece, in Oriente per pranzi e cene la parola d’ordine rimane condivisione?

A cura di Alessandro Creta
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Antipasto, primo, secondo, contorno e dolce. Un ordine al quale abbiamo fatto l’abitudine, con cui sia l’orecchio sia soprattutto il palato hanno preso dimestichezza. Qualche perplessità in più, per chi non è abituato, quando magari alle portate sopra citate iniziamo ad aggiungere amuse bouche, entrée, pre dessert; con chi non è avvezzo all’alta ristorazione che potrebbe sentirsi smarrito tra questi termini, faticando a identificarli con i piatti di riferimento. Niente paura; in questa sede non li prenderemo in considerazione.

La frammentazione del pasto è ormai tipica, nella sua forma base, delle nostre abitudini alimentari e più o meno fedelmente viene rispettata durante i pranzi o le cene. In particolar modo nei giorni di festa, per il maggiore tempo a disposizione e per rispettare la “sacralità” del convivio, non solo vengono preparati primo e secondo (tendenzialmente in Italia siamo soliti dare importanza a due portate, mentre per esempio nella cultura britannica si predilige un singolo main dish) ma spesso l’apertura viene conferita all’antipasto. Una suddivisione precisa, affermata, dalla quale difficilmente riusciremmo a discostarci. Un ordine, eppure, di relativamente recente invenzione: fino a pochi secoli fa, infatti, nulla di tutto ciò era forse lontanamente immaginabile.

Dal buffet al servizio alla russa

Chi più chi meno, rimanendo sempre a parlare di livello casalingo, si ritrova a rispettare questo ordine così radicato nelle abitudini alimentari di ognuno. Se però dovessimo fare un salto indietro di una manciata secoli ci ritroveremmo a dir poco spiazzati da quelle che, effettivamente, erano le usanze di un tempo.

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Rappresentazione di un banchetto medievale

La tipologia di servizio rispettata oggi in Occidente, detta “alla russa”, è principalmente figlia degli ultimi 3 secoli: fino al 1700/1800, infatti, era consuetudine popolare la tavola di tutte (o comunque gran parte) le vivande previste, e ognuno andava a riempire il piatto a seconda delle proprie esigenze o preferenze. Se oggi all’idea di andare a un buffet temete il caos che potrebbe crearsi attorno alla tavola imbandita, figuriamoci che confusione poteva esserci al tempo. In un’epoca, va detto, in cui il lusso e l’ostentazione sociale (e di riflesso anche gastronomica) specialmente nelle corti erano praticamente all’ordine del giorno.

Se ci mettessimo alla guida della Delorean e decidessimo di tornare indietro di 2-300 anni, ci ritroveremmo a tavola un’immagine relativamente simile a quella che caratterizza oggi molti ristoranti (e case) orientali: una tavola più o meno grande imbandita delle vivande più disparate, con ogni commensale che dal suo posto vi attinge scegliendo liberamente, non rispettando nessun ordine particolare ma solamente seguendo il proprio istinto famelico.

In questa modalità, denominata in Europa “alla francese”, ognuno si rivolgeva quindi alle vivande (quelle cotte, sistemate su degli scaldini) per quanto poteva o voleva, a discrezione del proprio livello di appetito o gradimento di ciò che era offerto. Ma per quale motivo nel giro di pochi secoli le abitudini alimentari sono così mutate, e cosa ha portato al sostanziale cambiamento?

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Ricostruzione di un banchetto rinascimentale

Il nostro rapporto col cibo e con la sua fruizione è stato radicalmente modificato, quasi sovvertito, praticamente a partire dal 1800. Se fino a questo momento infatti è stata opinione comune, derivata dal retaggio della tradizione medica della Grecia classica, di come le esigenze e i gusti di ognuno dovessero essere “rispettati” (proprio perché ogni organismo differente dall’altro), non veniva imposta una specifica distinzione di portate e del loro ordine di servizio. Libero arbitrio totale a ogni commensale.

Tra 1700 e 1800 si affermò una democratizzazione sostanziale delle tavole europee, con la diffusione del metodo “alla russa” grazie (leggenda vuole) soprattutto a un ambasciatore dello zar presso Napoleone il quale impostò per primo un pranzo in cui le portate uscivano in successione dalla cucina. Tutte consultabili su un piccolo cartoncino: di fatto, la comparsa del menu.

Dapprima ci fu un iniziale primo periodo di coesistenza delle due modalità, poi questo nuovo sistema dalla Francia iniziò progressivamente a diffondersi sino ad affermarsi come quello tutt’ora praticato. La prassi odierna, sia nelle case sia nei ristoranti, di noi occidentali. Il servizio alla russa divenne progressivamente il più adottato perché, tra le altre cose, permetteva ai commensali di poter gustare vivande al giusto grado di cottura e temperatura, appena tolte dal fuoco e alla loro massima espressione di gusto.

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La riduzione degli sprechi, le minori spese, con la possibilità servire porzioni non esageratamente abbondanti tra le altre motivazioni dell’affermazione di questa nuova tipologia di intendere non solo il cibo, ma più in generale il momento del convivio. Si continua a mangiare bene, se non meglio, ma con ordine e maggiore disciplina.

Il metodo orientale: tutto per tutti

Se andiamo a guardare in Oriente, oggi, paradossalmente la composizione del pasto è più simile a quella europea tipica tra Medioevo e Rinascimento di quanto non lo sia la nostra attuale.

Dall’altra parte del mondo, diversamente da noi, rimane la contemporanea presenza di cibi differenti a centro tavola (tra riso, carni, pesci e verdure) con ogni commensale chiamato a comporre “da sé” il proprio pasto, in base alle preferenze e gusti personali. La coesistenza di sapori diversi, spesso opposti è anche specchio della società orientale, in cui la simultaneità dei contrari vive e vige nella filosofia cinese così come, per esempio, in quella indiana o persiana. Una sorta di di yin e yang, in sostanza, anche in campo alimentare.

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Non esistono porzioni personali. Condivisione e informalità sono, infatti, le parole d’ordine tra le tavole orientali, dove uno o più piatti vengono messi a centro tavola (se particolarmente grande, provvista di una ruota girevole) e da quelli i commensali attingono in modo autonomo e assolutamente arbitrario. Il più delle volte hanno, singolarmente, il proprio piattino di riso o zuppa, mentre la portata principale (o più portate) è di fatto in mezzo, a disposizione di tutti. Inoltre, secondo l’usanza tipicamente cinese è bene che rimanga sempre del cibo all’interno del piatto condiviso, come simbolo di abbondanza (anche qui, un’analogia con le abitudini occidentali di pochi secoli fa). Nonostante la distanza geografica, insomma, paradossalmente le due culture (seppur con una notevole discrepanza temporale) almeno a tavola non sembrano così lontane.

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Quello che i piatti non dicono
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