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14 Giugno 2025 9:00

Cucina molecolare: l’incontro perfetto tra gastronomia e scienza 

La cucina molecolare, fin dalla sua nascita, ha fatto molto parlare di sé: osteggiata da molti ma anche osannata da alcuni dei più grandi chef del mondo, si propone di creare metodi alternativi di cottura che si basano sulla conoscenza dei processi chimici alla loro base.

A cura di Arianna Ramaglia
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La gastronomia molecolare, fin dal suo esordio negli anni ‘80, ha spesso ricevuto critiche e obiezioni rispetto a quello che proponeva. C’è ancora oggi chi storce il naso se sente pronunciare le parole “cucina molecolare” come se fosse una sorta di stregoneria o roba futuristica troppo difficile da immaginare, figuriamoci da mangiare. Rispetto a qualche anno fa però, fortunatamente, c’è anche chi ha capito di cosa si parla: non si tratta di stravolgere il cibo, rovinare le tradizioni o rinnegare il passato, ma è semplicemente un modo diverso di fare gastronomia.

La cosiddetta cucina molecolare infatti non è altro che un matrimonio (molte volte perfetto) tra gastronomia e scienza: è capire come funzionano, durante i vari processi di cottura, le molecole che compongono il cibo e sfruttare queste conoscenze per arrivare a qualcosa di più innovativo. Perché se la conoscenza – e la tecnologia che la porta – non viene sfruttata, resta solo mera erudizione e nulla più: e allora a cosa serve tutto questo studio, tutte queste nozioni, se non portano poi a qualcosa di nuovo e, perché no, anche di bello? Ti spieghiamo nel dettaglio cos’è la cucina molecolare, da dove nasce, quali sono le tecniche più utilizzate e quali sono stati gli chef che l’hanno resa quella che è oggi.

Storia e caratteristiche

La nascita della cucina molecolare è abbastanza articolata: ufficialmente nasce nel 1992 quando, proprio nel nostro Paese, a Erice per la precisione, in Sicilia, si organizzò il primo Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare. Molti però ritengono che sia nata a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 in Francia dalla fusione di enogastronomia e chimica. I primi a proporre le proprie idee furono Hervé This, cuoco e ricercatore fisico-chimico, e Gilles de Gennes, premio Nobel per la fisica.

Facendo ancora un passo indietro però pare che già tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, il fisico ungherese Nicholas Kurti, in un programma intitolato proprio “The Physicist in the Kitchen”, avesse mostrato alcune tecniche e strumenti tipici del mondo scientifico da poter utilizzare in cucina. In una conferenza poi del ‘69, intitolata anch’essa “The Physicist in the Kitchen”, stupì il pubblico utilizzando un forno a microonde per creare una Baked Alaska invertita ossia calda dentro e congelata fuori. Fu sempre lui poi ad affermare, in un articolo pubblicato nel 1994 sulla rivista Scientific American, che, come la scienza e la tecnologia hanno facilitato il progresso nella pittura, nella scultura, nella musica e nelle arti performative, allo stesso modo potevano facilitare, o meglio aiutare, anche la cucina. Questo non vuol dire che uno scienziato possa sostituire un cuoco, ma semplicemente che possa aiutare a fargli conoscere tecniche e strumenti nuovi che potranno stimolare la propria creatività e immaginazione. Ed è proprio su questo principio che si fonda la cosiddetta gastronomia molecolare: non si tratta di una modifica o di una trasformazione degli ingredienti, ma soltanto di una maggiore conoscenza dei processi chimici che avvengono tra gli ingredienti e tra le molecole che compongono gli alimenti.

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Lo scopo della cucina molecolare

L’obiettivo quindi che si pone è quello di studiare cosa avviene all’interno degli alimenti, chimicamente e fisicamente parlando, durante la loro preparazione: la conseguenza è semplicemente quella di utilizzare metodi che si basano sullo studio della modificazione delle molecole dei cibi generando nuovi sapori. Uno dei tratti caratteristici della cucina molecolare quindi è quello di utilizzare metodi di cottura alternativi come la frittura negli zuccheri, il raffreddamento attraverso l’azoto liquido o la tecnica del sous vide, ossia la cottura a bagnomaria degli alimenti sottovuoto a basse temperature. Non è scritto da nessuna parte – né tantomeno è stato detto da qualche chef – di non considerare ciò che è venuto prima. Anzi proprio nel manifesto della cucina molecolare italiana redatto dal Professor Davide Cassi e dallo chef Ettore Bocchia si afferma che “ogni novità deve ampliare la tradizione gastronomica italiana”: quindi non si parla di stravolgere la cucina italiana, ma di ampliarla con tecniche e strumenti provenienti dal mondo scientifico.

I protagonisti

Senza troppi indugi, iniziamo subito con colui che da molti è considerato – ragionevolmente – uno dei padri e dei maggiori sostenitori della cucina molecolare: Ferran Adrià, tre stelle Michelin e proprietario di elBulli, ristorante che, per cinque anni consecutivi, è stato classificato come migliore al mondo dalla classifica "The World 50 Best Restaurants". Adrià ha fatto delle sperimentazioni e delle innovazioni il suo tratto distintivo: spesso criticato, spesso osteggiato dai suoi stessi colleghi, ma anche osannato da chi è riuscito a capire il contributo essenziale che è stato capace di portare nel mondo enogastronomico mondiale, cercando e riuscendo – con risultati eccezionali, tra l'altro – a innalzare la cucina spagnola allo stesso livello di quella francese.

Alcune invenzioni più famose di questo tipo di cucina sono diventate suoi marchi di fabbrica, come il raffreddamento tramite azoto liquido, le tecniche di sferificazione o la creazione di spume tramite sifone. Dopo aver ricevuto la terza stella Michelin, inoltre, introdusse le prime stoviglie personalizzate come cucchiai olfattivi per la degustazione di aromi, larghe cannucce in vetro per osservare e assaggiare o pipette spiedino per solidi e liquidi. A lui si deve anche l'introduzione dell’agar-agar nella cucina d'autore, un’alga rossa dalla quale è possibile ottenere una gelatina.

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Sardine marinate con schiuma di lamponi – foto via Instagram elbullifoundation_ferranadria

Passiamo poi a uno dei maggiori protagonisti, nonché padre fondatore della cucina molecolare italiana: si chiama Ettore Bocchia e, insieme a Davide Cassi, ha redatto il manifesto della cucina molecolare italiana. Tra le sue più importanti invenzioni va segnalata la frittura negli zuccheri fusi, l’utilizzo della lecitina di soia in sostituzione alle uova come emulsionante e dell’inulina come sostituto di grassi e zuccheri e come stabilizzatore del livello di umidità, grazie al quale gli alimenti rimangono croccanti anche a contatto con preparazioni cremose.

Spostiamoci ora oltremanica, precisamente a Bray nel Berkshire, in Inghilterra, dove Heston Blumenthal si destreggia da sempre con sperimentazioni che rientrano a pieno titolo nell’ambito della gastronomia molecolare. Chef patron del The Fat Duck, inizia fin dall’adolescenza ad appassionarsi ai processi chimici che avvengono durante i processi di cottura, approfondendo anche le scienze sensoriali e della percezione multisensoriale . Molti dei suoi piatti portano in tavola alcune interessanti tecniche come le fritture a freddo con l’azoto liquido e l’uso del sottovuoto, e, uno dei suoi piatti più famosi, Sound of Sea, propone una selezione di pesci accompagnati da una conchiglia che riproduce il suono delle onde del mare: per ricreare la sabbia viene utilizzata la maltodestrina e per la schiuma invece la lecitina di soia. Ma a coronare lo chef inglese come uno dei massimi esponenti di questo filone è il conferimento dell’Honorary Fellowship da parte della Royal Society of Chemistry che lo ha equiparato a 175 eminenze nel mondo della scienza, come Madame Curie e Albert Einstein.

Scendendo un po’ più giù verso la Spagna, precisamente a Girona, possiamo incontrare invece tre fratelli, che hanno fatto della cucina la loro più grande passione. Parliamo di Jordi, Josep e Joan Roca, rispettivamente pasticcere, sommelier e chef del loro ristorante El Celler de Can Roca, la cui cucina è stata definita tecno-emozionale – termine coniato dal critico gastronomico Pau Arenós – basandosi proprio sull’uso di nuovi metodi e tecnologie all’avanguardia in grado di creare un piatto capace di suscitare emozioni nei commensali. Ma uno dei massimi contributi alla gastronomia molecolare è stato dato sicuramente da Jordi, a cui dobbiamo l’invenzione del roner, avvenuta nel 1997 insieme allo chef spagnolo Narcís Caner: il nome deriva dalla crasi dei loro cognomi e si tratta di uno strumento – come vedremo più avanti – che si utilizza nella cottura sous-vide.

Terminiamo con uno dei capisaldi del nostro panorama gastronomico, probabilmente il modenese più famoso al mondo: si chiama Massimo Bottura e ha decisamente scritto alcuni dei capitoli più importanti della storia della cucina italiana. Allievo di Adrià, apprende da lui molte interessanti tecniche di cucina molecolare – anche se non si definisce certo nell'insieme degli chef molecolari – che riporta in alcuni dei suoi piatti famosi, come il “Bollito non bollito” in cui la carne non viene cotta in brodo, ma in sacchetti sottovuoto a basse temperature o anche la sua spuma al sifone di Parmigiano nel suo “Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature”.

Tecniche fondamentali della cucina molecolare

1. Sous vide

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Si tratta di una tecnica che consiste nel cuocere gli alimenti a bassa temperatura senza l’utilizzo del fuoco e ponendo l’alimento in dei sacchetti di plastica per il sottovuoto. La difficoltà di questo tipo di cottura sta nel mantenere sempre la temperatura costante e soprattutto mai troppo elevata: per questo motivo si utilizzano alcuni strumenti costruiti ad hoc, come il roner o la pentola slow cooker. I vantaggi di questo tipo di cottura sono:

  • mantenere intatte tutte le proprietà organolettiche e gli elementi nutritivi, cose che il calore dovuto alle alte temperature può alterare;
  • l’alimento viene cotto in maniera uniforme, restando succoso e tenero senza rischiare l’effetto bollito;
  • non c'è necessità di aggiungere ulteriori grassi.

2. Criocongelamento

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Il criocongelamento consiste nel rapido abbassamento della temperatura dell’alimento, fino ad arrivare a -18 °C al cuore del prodotto: questo processo consente il passaggio dallo stato liquido a quello solido dell’acqua contenuta all’interno. Per far sì che questo processo abbia effetto si utilizzano elementi come azoto liquido, che ha una temperatura di -196 °C, o anidride carbonica: la rapidità con cui avviene il congelamento dà la possibilità di mantenere inalterate tutte le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutritive, anche una volta che l’alimento verrà scongelato. Nella cucina molecolare si utilizza, ad esempio, per realizzare un gelato istantaneamente, che ha la particolarità di non congelare la bocca e quindi di non anestetizzarla, riuscendo a gustare ogni boccone dall’inizio alla fine.

3. Gelificazione

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Si tratta di una tecnica che prevede l’utilizzo di addensanti o gel che permettono di trasformare un liquido in un elemento gelatinoso. Le sostanze utilizzate in questo tipo di preparazione sono essenzialmente cinque: agar-agar, carragenina, gomma di xantano, gelatina e gellano. Mentre l’agar-agar e la gelatina sono comunemente usate anche nelle nostre cucine, le altre tre sono più utilizzate in cucine professionali o nell’industria alimentare: in ogni caso comunque, ogni prodotto ha delle specifiche caratteristiche che influiscono sul risultato finale.

4. Sferificazione

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Non è altro che la trasformazione di liquidi in sfere dalla forma simile a quella del caviale: utilizzata per la prima volta da Ferran Adrià, è oggi utilizzata in tutto il mondo, anche nell’ambito dei cocktail molecolari. Questa tecnica si basa principalmente sull’uso di due ingredienti, l’alginato di sodio e il cloruro di calcio che servono a creare una pellicola gelatinosa intorno al liquido. Il procedimento di per sé è molto semplice: il liquido si mescola insieme all’alginato di sodio, si preleva con una siringa e si lascia cadere nel cloruro di calcio. Dopo pochi secondi si formeranno delle sfere che bisognerà passare nell’acqua (per eliminare il sapore amaro del cloruro) per poi servirle.

5. Emulsificazione

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È il processo attraverso il quale diversi liquidi, per loro natura immiscibili, si uniscono grazie all’utilizzo di addensanti per creare texture innovative come salse leggere, mousse e schiume. Nella cucina molecolare il principale addensante utilizzato è la lecitina di soia, capace di catturare l’aria e creare una consistenza vaporosa, esaltando profumi e aromi e donando una scenografia unica al piatto.

6. Pressurizzazione con sifone

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Il risultato ottenuto da questo tipo di tecnica è in parte simile a quella precedente: la pressurizzazione è utilizzata per creare spume e mousse, per piatti sia dolci che salati, ma non tramite l’utilizzo di agenti addensanti, ma grazie all’uso del sifone da cucina. Quest’ultimo è formato da un corpo e da una cartuccia contenente del gas: questo penetra negli ingredienti allo stato liquido, aumentandone il volume e creando delle spume.

7. Sospensione

Un procedimento attraverso il quale alcuni elementi, come foglie o erbe, acquistano la capacità di restare in sospensione su composti liquidi o cremosi, senza cadere sul fondo. Ciò è reso possibile grazie alla già citata gomma di xantano che riesce a creare una sorta di rete d’aria attorno all’alimento che resterà, appunto, in sospensione.

8. Frittura nello zucchero

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L’origine di questa tecnica è tutta italiana: sembra infatti che sia stata sviluppata da Ettore Bocchia, di cui abbiamo parlato sopra. Consiste in un tipo di frittura in cui al posto dei classici grassi, come olio e burro, vengono utilizzati degli zuccheri, nello specifico il glucosio. A differenza di ciò che si può pensare, è un tipo di tecnica valida sia per piatti dolci che salati che, con un po' di attenzione, si può eseguire anche a casa (qui ti spieghiamo come), con un’unica accortezza: non lasciare che il glucosio – che fonde tra i 160 °C e i 190 °C – si caramellizzi.

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Quello che i piatti non dicono
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