La prosfora è una piccola pagnotta di pane lievitato dal quale si ricavano le "ostie" della chiesa ortodossa e della chiesa greco-cattolica. Comune in tutti i balcani, è esteticamente bellissima: si fa con degli stampi e i più tradizionalisti riescono poi a ricamare, letteralmente, delle opere in altorilievo.
C'è una tradizione nei Balcani, ormai quasi persa del tutto, che è abbagliante per la bellezza sprigionata: il pane ricamato. Si tratta di pagnotte che fanno parte della liturgia della chiesa ortodossa, cariche di significati spirituali e simbolici: si chiamano prosfore, un termine che deriva dal greco "προσφορά" e significa "offerta". Questo pane lievitato viene preparato con cura e devozione dai fedeli per essere utilizzato nel sacramento dell'eucaristia. In realtà il pane ricamato è una vera e propria forma di sostentamento per le famiglie delle zone rurali, soprattutto in Grecia. I motivi ricamati sulle pagnotte spaziano da fiori a uccelli, lucertole, foglie e uva, tutti accuratamente modellati nell'impasto con semplici bastoncini e pettini. La base viene fatta con uno stampo, gli "altorilievi" vengono invece letteralmente ricamati usando una pasta lievitata al posto di lana o cotone. Hanno tutti un significato preciso stando alla CNN (sua la foto in copertina): l'uva per augurare al destinatario un raccolto prospero; una colomba per augurare una vita in pace; ma il più popolare è il tourtoulaki, un pane a forma di anello che funge da invito a nozze. Abbiamo usato il tempo presente ma forse sarebbe più corretto usare il passato: purtroppo la tradizione è quasi del tutto scomparsa e sono ormai pochissime le donne che ancora fanno il prosfora con i ricami, molto usuale ancora è invece il prosofora "classico", ottenuto solo con lo stampo.
Quando ti avvicini alla storia della prosfora stai guardando un ponte tra due mondi: l’antica tradizione giudaica e la spiritualità cristiana dei primi secoli. Nelle comunità cristiane delle origini, specialmente in quelle orientali, era consuetudine che i fedeli portassero in chiesa non solo pane e vino, ma anche altri beni come olio, incenso, miele, cibo: offerte per la comunità e per il sostentamento del clero e dei poveri. Questa pratica rispecchiava in parte l’obbligo dell’offerta nel culto del tempio ebraico, ma assunse ben presto un significato profondamente cristiano.
Durante la cerimonia venivano scelti il pane e il vino tra quelli portati dai fedeli per essere utilizzati nella celebrazione eucaristica. Questo gesto aveva un forte valore simbolico: ciò che veniva offerto da ciascun membro della comunità diventava, nel mistero della liturgia, il corpo e il sangue di Cristo. Era il popolo stesso a offrire i frutti del proprio lavoro, e la chiesa li restituiva trasformati in nutrimento divino. Siamo ancora agli inizi delle religioni e tutto veniva fatto un po' casualmente.
Col passare del tempo e con la progressiva istituzionalizzazione della liturgia e la costruzione delle grandi chiese, questa pratica venne regolamentata. Non si usava più qualsiasi tipo di pane portato da un fedele qualsiasi, ma si cominciò a preparare un pane specifico, secondo regole precise e con una forma ben definita. Da quel momento, la prosfora divenne un pane destinato esclusivamente alla celebrazione eucaristica.
Come scrive Jean Meyendorff in La Teologia Bizantina, la forma della prosfora che conosci oggi, ovvero rotonda, lievitata, composta da due dischi sovrapposti, e impressa con il sigillo IC XC NIKA, si consolida nella liturgia bizantina, ma il suo significato si mantiene inalterato: è l’offerta del popolo a Dio, attraverso la quale Cristo stesso si dona ai fedeli. Non è solo un pane liturgico: è un gesto ecclesiale, comunitario, che continua a vivere in molte famiglie ortodosse, dove la preparazione della prosfora è un rito in sé. Questa storia, fatta di gesti semplici ma profondi, racconta un’idea antica e potente: la materia si trasfigura, e l’uomo, con il suo lavoro e la sua fede, partecipa a questo mistero.
Un altro aspetto che spesso si dimentica è che nella tradizione bizantina la prosfora non è un pane qualsiasi, e non è nemmeno prodotto esclusivamente dai monaci o dai fornai delle chiese. In molte comunità ortodosse, dalla Grecia alla Russia, la preparazione della prosfora è affidata ai laici, spesso donne, che la realizzano a casa con estrema cura, preghiera e purificazione. È un gesto di partecipazione diretta alla liturgia, che rafforza il senso di comunità. In alcune parrocchie i fedeli portano in chiesa più prosfore: una sarà usata per la liturgia, altre saranno distribuite alla fine della Messa come antidoro, cioè pane benedetto (ma non consacrato) che si dona a chi non ha ricevuto la comunione, o semplicemente come segno di comunione fraterna.
La preparazione della prosfora è un atto di devozione. Gli ingredienti sono semplici: farina di frumento, acqua, lievito e sale. L'elemento distintivo della prosfora è il sigillo impresso sulla superficie superiore prima della cottura. Questo sigillo, noto come "sfragide" o "seal", presenta simboli e iscrizioni, tra cui le lettere greche "IC XC NIKA", che significano "Gesù Cristo vince". Durante la liturgia il sacerdote utilizza una parte specifica della prosfora, chiamata "agnello", per la consacrazione. Altre parti vengono utilizzate per commemorare la Vergine Maria, i santi e i fedeli vivi e defunti. Il resto del pane viene distribuito ai fedeli come "antidoron", un pane benedetto ma non consacrato.
Durante la Divina Liturgia ortodossa la prosfora assume un ruolo centrale. Il sacerdote seleziona e prepara l'agnello dalla prosfora per la consacrazione, mentre le parti rimosse in commemorazione dei santi e dei fedeli vengono poste sul disco accanto all'agnello. Questo atto simboleggia l'unità della Chiesa, sia celeste sia terrestre, attorno a Cristo. Sebbene la forma e la preparazione della prosfora siano generalmente uniformi, esistono variazioni locali. Ad esempio, alcune tradizioni utilizzano due prosfore separate, mentre altre combinano due dischi di pane per simboleggiare le due nature di Cristo: divina e umana e solitamente sono le donne ad avere il compito di preparare questo pane. Infine c'è quella della Grecia interna e rurale, che prevede l'aggiunta di pezzetti di pane ricamati sulla superficie modificata dal sigillo.
Il sapore della prosfora è semplice, delicato, con pochissimi sentori di lievito. Se dovessi descriverlo con parole familiari, potresti immaginarlo come un pane bianco poco salato, con una mollica compatta e leggermente umida, e una crosta appena dorata, sottile e morbida. Non ha aromi intensi, spezie o zucchero: è volutamente sobrio e neutro, perché deve nutrire, non distrarre.
A renderla particolare è proprio questa sua essenzialità, che parla di povertà, offerta, raccoglimento. Non è pensata per stupire il palato, ma per accompagnare un gesto sacro. Al gusto, prevale il sapore del frumento leggermente esaltato dal lievito madre, che dà alla prosfora un profumo lievemente acidulo.
In alcune varianti più artigianali, dove si usano farine meno raffinate o lieviti più lenti, può ricordare vagamente certi pani contadini del Mediterraneo orientale, ma resta sempre fedele alla sua funzione liturgica: essere pane offerto, spezzato, condiviso.