
Basta cercare tra le domande che vengono poste a Google per vedere che in molti credono che la faraona sia la femmina del tacchino, ma non è così. La faraona è sì un volatile addomesticato alle nostre latitudini, le sue carni sono bianche e magre, è spesso protagonista ripiena arrosto sulle tavole natalizie, ma si tratta di un uccello diverso, appartenente alla famiglia delle Numididae, con una storia antichissima che parte dall’Africa, dove ancora oggi vive allo stato selvatico. Andiamo alla sua scoperta e di come valorizzarlo in cucina.
Che cos’è la faraona: parente “nobile” della gallina
La faraona è conosciuta con il nome scientifico di Numida meleagris, un galliforme che in inglese chiamano guinea fowl (uccello della Guinea) proprio in riferimento alle sue origini africane che si perdono nella notte dei tempi, visto che sembrerebbe fosse già nota agli Egizi: per quanto riguarda il nostro paese, furono i Romani a introdurla, iniziando ad allevarla sia come animale ornamentale sia a scopo alimentare. Dopo la caduta dell’Impero Romano la sua presenza diminuì drasticamente, per poi tornare in auge tra il ‘400 e il ‘500 grazie ai commerci con l’Africa Occidentale.

Dalla faraona mitrata, ovvero quella selvatica africana, discendono le faraone addomesticate degli allevamenti diffusi in particolar modo nel Nord Italia, tra Piemonte, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna: pur amando i climi caldi, infatti, è una specie che si adatta con facilità a nuovi habitat. Nonostante la sua eleganza – a seconda delle tipologie cambiano alcuni dettagli morfologici e il colore del manto, da grigio-nerastro perlato a beige, con piume blu, violacee o dai riflessi porpora – è un volatile robusto e rustico, con però tratti estetici e gastronomici che ricordano maggiormente il fagiano o la pernice, quindi legati alla selvaggina da piuma. Rispetto a polli e galline, viene allevato soprattutto all’aperto, allo stato semibrado, e le sue carni, pur classificate come bianche, si presentano con una tonalità più scura, dal sapore intenso e complesso. Nel Rinascimento era considerato un animale raro e pregiato, dal fascino esotico – da qui probabilmente il termine "faraona" – sinonimo di banchetti: eredità che non è andata persa.
Come cucinare la faraona: un ingrediente raffinato
In diverse regioni italiane, soprattutto quelle citate in precedenza, la faraona è uno dei piatti del Natale per eccellenza: probabilmente l’equivoco con il tacchino è legato alla “tacchinella”, ovvero come si definisce una femmina di dimensioni ridotte perché giovane e che per questo si presta alla cottura arrosto, date le carni tenere, saporite e meno fibrose degli esemplari adulti. Anche la faraona, infatti, dà il meglio di sé quando acquistata del peso di 1-1,5 kg: la polpa è delicata, gustosa, poco grassa e ricca di proteine. Si trova intera, generalmente già eviscerata, oppure porzionata nei diversi tagli, che corrispondono a quelli del pollame, quindi cosce, petto e sovracosce, venduti singolarmente o in mix: il primo caso è quello che si adatta alle ricette più elaborate, mentre il secondo è ideale per preparazioni più agili e rapide. La cottura deve essere completa e uniforme, proprio come quella del pollo: per questioni di sicurezza alimentare, anche la faraona non si mangia cruda. Allo stesso tempo, se cucinata in modo aggressivo si rovina, perdendo di succosità e diventando asciutta.

Qualche idea per passare dalla teoria alla pratica? La faraona ripiena è un piatto tradizionale, iconico delle feste, che “unisce l’utile al dilettevole”: la farcitura è molto golosa, puntando spesso su combinazioni agrodolci, tra carne macinata, funghi, pancetta, castagne, prugne o mele che hanno anche la funzione di conferire la giusta umidità. Una volta in forno, il consiglio è quello di mantenerla idratata, sfruttando il suo fondo di cottura oppure unendo brodo caldo. Molto diffusa per le stesse ragioni è anche la faraona in umido: tagliata a pezzi si fa prima rosolare nella casseruola con un soffritto o in soli olio e cipolla e poi si cuoce lentamente nella passata di pomodoro o senza sugo, sostituendolo con vino bianco o rosso, oppure brodo di carne o vegetale, aggiungendo sapore per esempio con olive, patate ed erbe aromatiche, un po’ come si realizza il pollo alla cacciatora. Da non dimenticare che le tecniche più contemporanee, come la bassa temperatura, hanno un certo feeling con la faraona: un petto cotto sous vide resta tenerissimo, perfetto da servire con salse come la mostarda o a base di aceto balsamico, in un gioco raffinato di abbinamenti.