Orientarsi tra i diversi prodotti disponibili non è semplice: una pasta di valore parte da una materia prima di qualità che subisce lavorazioni che la modificano il meno possibile, mantenendo un colore chiaro e opaco, una consistenza granulosa e i valori nutrizionali.
Sembra facile: entri al supermercato, ti dirigi verso gli scaffali dove sono posizionate le confezioni colorate della pasta e metti nel carrello il pacco che ti ispira fiducia. Perché proprio quello? Magari perché costa un po’ di più, visto che si è abituati a pensare che la qualità abbia un prezzo più alto, oppure perché è la marca che tradizionalmente si è sempre preferita in famiglia e con la quale ci si trova bene. Acquistare spaghetti, penne, fusilli e i tanti formati disponibili sul mercato a scatola chiusa (è proprio il caso di dirlo) non è un’impresa semplice, visto che la pasta per sapere se è buona va provata. Però ci sono degli indicatori che già sull'etichetta e sulla confezione possono darti qualche indizio: vediamo a cosa prestare attenzione al momento di fare la spesa e qualche consiglio su come valutare il prodotto una volta che lo hai portato a casa.
Partiamo dalla materia prima, dove per legge i produttori di pasta italiana devono avvalersi di soli due ingredienti: farina di semola di grano duro (anche integrale) e acqua. Niente additivi e conservanti. Una pasta eccellente la fa la capacità del pastaio di procurarsi e lavorare i grani migliori, dove la provenienza non è il discrimine principale per valutarne la superiorità: il grano italiano, infatti, non è necessariamente più valido di quello che arriva dall’estero. La produzione nazionale non riuscirebbe a soddisfare la richiesta interna dei consumatori, tanto che in Italia se ne importa in media dal 30% al 40%: questo significa che molte paste sono realizzate con miscele di grano duro che non è italiano al 100%. Cosa fa la differenza? Quando si parla di pasta secca il contenuto proteico è un indicatore importante, in quanto legato alla tenuta in cottura, alla tenacità e alla resistenza alla masticazione: una pasta di valore ha un tenore proteico alto, che si aggira tra il 12,5% e il 15%, con la normativa che prevede un minimo del 10,5%. Da un grano duro di qualità si ricava una semola naturalmente più ricca di proteine. Affidarsi a prodotti biologici, inoltre, è una garanzia in più nei confronti del non uso di sostanze chimiche, tipo il glifosato, un erbicida che ciclicamente torna agli onori delle cronache per i suoi potenziali danni sulla salute.
Il tipo di matrice con cui la pasta viene formata influisce sul risultato finale: l’operazione si svolge fondamentalmente in due modalità diverse, la trafilatura al bronzo e la trafilatura al teflon, dove cambia il materiale con cui avviene l’estrusione. Nel primo caso si tratta di matrici realizzate o rivestite in bronzo: dato che la superficie è abrasiva, la pasta sarà porosa e ruvida, visto che incontra una certa resistenza nell’uscire dai fori, con la capacità di trattenere meglio sughi e condimenti. Nel secondo caso, invece, il teflon, ovvero il politetrafluoroetilene (PTFE) che normalmente ricopre le pentole antiaderenti, ha una texture liscia, con l’impasto che scivola più velocemente (garantendo una produzione quantitativamente maggiore, adatta all’industria) e che si caratterizza quindi per una consistenza levigata. A livello di pregio, le paste artigianali tendono a preferire la trafilatura al bronzo che ha una lavorazione più lenta e che per questo richiede già in principio una semola di grano duro di qualità.
Un altro dettaglio che fa la differenza è quello dell'essiccazione, che consiste in uno dei momenti finali della produzione di pasta secca, quando questa subisce l’asciugatura. Come avviene l’operazione? A contatto con cicli di aria calda che eliminano l’umidità in eccesso (per legge non può superare il 12,5%): i trattamenti termici sappiamo che giocano ruoli determinanti sulle proprietà organolettiche e i valori nutrizionali dei cibi. L'essiccazione a bassa temperatura disidrata la pasta a non più di 60 °C per un tempo che va dalle 12 a più di 70 ore, mentre l’essiccazione ad altissima temperatura si realizza a 100 °C per 3-4 ore. In quest’ultimo caso la pasta sarà più “stressata”, subendo quasi una prima cottura che altera negativamente le proteine, gli amidi e anche gli amminoacidi presenti, con il rischio che oltre a essere meno ricca di nutrienti sia anche meno digeribile.
Nel 2024 i Pastai Italiani di Unione Italiana Food hanno adottato un Disciplinare sui claim di comunicazione volontaria, che vede quindi i produttori impegnati in una sempre maggiore trasparenza nei confronti dei consumatori, specialmente riguardo agli aspetti che abbiamo appena visto, legati alla qualità della pasta. Cosa significa? Che pubblicizzare sulla confezione “la lunga essiccazione", “la trafila al bronzo” o il “grano 100% italiano” deve essere fatto in modo chiaro e non ingannevole, con le informazioni che devono essere verificabili, tra dati scientifici e certificazioni. In più, anche il packaging sta diventando un elemento fondamentale per valutare il pregio della pasta: una cura nei confronti dell’ambiente che spesso va di pari passo con quella di tutta la filiera. Dal 1967 gli stessi pastai si sono dati le prime regole, firmando la “Legge di purezza”, fissando standard qualitativi e criteri di produzione.
Una volta comprata, la pasta va messa “alla prova” in cucina. Ecco gli aspetti da tenere d’occhio.