Un ingrediente tipico della cucina asiatica con cui si identificano due piante differenti: entrambe hanno un frutto commestibile simile a un tubero, perfetto per essere impiegato in ricette dolci e salate gluten free.
Nonostante la definizione faccia pensare a una variante meno nota della celebre castagna, in realtà questo “frutto” non ha nulla a che vedere con la specialità autunnale che tutti conosciamo. Con castagne d’acqua, infatti, si fa riferimento a due specie botaniche distinte che, in quanto commestibili, potresti aver trovato in alcuni piatti, assaggiate magari senza saperlo, in particolare se ti piace la cucina orientale. Stiamo parlando di ingredienti tradizionali della gastronomia asiatica che condividono alcune caratteristiche che li rendono simili tra loro, tanto da avere lo stesso nome, generando, potenzialmente, un po’ di confusione. Facciamo chiarezza e impariamo a distinguerli.
La sempre maggiore contaminazione tra i fornelli porta alla scoperta di alimenti di cui prima si ignorava l’esistenza, creando combinazioni nuove e creative: negli ultimi anni lo si è sperimentato soprattutto con cibi che arrivano dall’Asia, dalle alghe ai funghi, diventati popolari anche nelle nostre dispense. Un destino simile potrebbe essere riservato alle castagne d’acqua, che si stanno man mano diffondendo in Occidente per il loro essere versatili, prive di glutine e lattosio, adattandosi perfettamente a chi segue diete specifiche, ma anche vegane e vegetariane in quanto fonti di carboidrati, fibre vegetali e sali minerali, con un apporto calorico che si avvicina a quello delle patate (circa 85-90 kcal per 100 grammi).
Con il termine castagna d’acqua si fa riferimento principalmente a due piante acquatiche edibili:
La Eleocharis dulcis appartiene alla famiglia delle Cyperaceae ed è tipica delle zone umide, come paludi e risaie del Sud-est asiatico, tra Cina, Filippine, Indonesia, Vietnam, ma anche Oceania. Si tratta di una pianta perenne con steli lunghi e sottili che spuntano fuori dall’acqua. La parte commestibile si identifica nel bulbo globoso, conosciuto internazionalmente come water chestnut, che cresce nella parte inferiore e si presenta con una spessa buccia marrone che fa da involucro a una polpa bianca dal gusto nocciolato e croccante.
La Trapa natans, invece, ha un aspetto completamente diverso, oltre a essere di un’altra famiglia, quella delle Lythraceae. Si tratta di una pianta annuale composta da una rosetta galleggiante di foglie, che fiorisce e fruttifica tra settembre e ottobre. Il frutto è coriaceo, di colore nero e dalla forma di trottola bitorzoluta con quattro punte curve: al suo interno custodice il seme, dalla texture farinosa e il sapore dolciastro. Dove cresce? Oltre a essere presente nelle aree stagnanti dell’Asia, compare nei laghi e nei fiumi del Nord Italia, in particolare nella zona di Mantova, nel Parco Naturale del Mincio, dov’è considerata una specie protetta.
Probabilmente se l’hai già provata, ad averti colpito è stata la Eleocharis dulcis, la più diffusa a livello internazionale e conosciuta come castagna d’acqua cinese. In Italia si trova in barattolo o sottovuoto, già privata della buccia e pronta all’uso, solitamente precotta. A questo punto puoi tagliare i bulbi a pezzetti o tritarli, oppure leggermente lessarli se sono ancora crudi, nonostante si possano consumare anche così: usali per dare una nota crunchy agli involtini, a un piatto di verdure saltate nel wok e per farcire ravioli. Notevole è il suo impiego nei dolci in paesi come Thailandia, Vietnam e Filippine: si usa in dessert a base di latte di cocco, farina di tapioca, zucchero e ghiaccio, dove i bulbi vengono ridotti in tocchetti e sciroppati, per creare delle “perle” che contrastano con gli altri elementi cremosi.
Per la Trapa natans si procede in modo simile, ma è un po’ più laborioso ed è più difficile da reperire: il frutto deve essere prima di tutto bollito per ammorbidire il guscio, che viene rotto per estrarre il seme. Quest’ultimo, molto ricco di amido, oltre che arrostito o stir fry, si presta per essere essiccato e ridotto in una farina dal basso indice glicemico: in India e in Pakistan con la singhara (com’è chiamata la castagna d’acqua) si preparano pane, polpette e pudding speziati, inoltre la singhare ka atta viene usata come farina sostitutiva di quelle ai cereali durante i periodi di digiuno rituale. Curiosità: in passato, nel mantovano si preparava il risot col trigol, il risotto con la castagna d’acqua con la polpa che veniva tritata e fatta soffriggere nella cipolla.