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23 Gennaio 2021 11:00

Carciofi: le principali varietà e come abbinarle al meglio

Dallo spinoso di Sardegna, eccellenza nostrana tutelata dal marchio Dop, al celebre romanesco del Lazio, coltivato sin dai tempi antichi dagli Etruschi, fino al violetto di Sant'Erasmo, prodotto di pregio appartenente alla tradizione lagunare. Scopriamo insieme le principali varietà di carciofi e come abbinarle al meglio in cucina, per esaltarne gusto, fragranza e consistenza.

A cura di Emanuela Bianconi
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Presentano qualche piccola insidia in fase di pulizia (e qui veniamo in soccorso noi) ma, una volta "carpiti" i segreti e poi cucinati a dovere, ripagano dello sforzo compiuto grazie a un sapore e a una morbidezza eccezionali. D'altra parte, non è un caso che il poeta cileno Pablo Neruda ha dedicato un'ode proprio a questo ortaggio, descrivendolo come un "guerriero dal cuore tenero", dall'aspetto quasi minaccioso – poiché ricoperto da una "corazza di spine" – ma con una parte interna cedevole e gustosissima. Parliamo, ovviamente, dei carciofi, frutti di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Astaraceae, coltivata sin dall'antichità per scopi alimentari e fitoterapici.

Ricchi di vitamine e sali minerali, i carciofi presentano delle eccezionali proprietà benefiche e depurative; oltre a queste, sono anche tra gli ortaggi più versatili ed eclettici a nostra disposizione: si possono cucinare alla giudia, ricetta tipica della tradizione gastronomica ebraica; tagliarli a spicchi, passarli in una pastella di acqua e farina, quindi friggerli in olio bollente; saltarli in padella, lessarli o ancora farli ripieni alla siciliana; ma non solo: tagliati a fettine e conditi con un'emulsione di olio, limone, sale e pepe, è possibile gustarli anche crudi. Insomma, sono davvero tante le ricette che, specie in questa stagione, li vedono protagonisti assoluti della scena culinaria. Ma non tutti i carciofi sono uguali e ciascuna tecnica di cottura richiede una particolare varietà.

Il primissimo step è scegliere i carciofi più giusti. Tantissime le tipologie a nostra disposizione, suddivise in base al colore (verde o violetto), alla quantità di spine (spinosi o inermi) e alla stagionalità; e non finisce qui: in Italia troviamo anche diverse produzioni tutelate dal marchio Dop, Igp e dal Presidio Slow Food. Elencarle tutte è praticamente impossibile, ma ecco una selezione delle principali varietà e come abbinarle al meglio in cucina.

1. Carciofo spinoso di Sardegna

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Si tratta di un prodotto davvero unico, un'eccellenza gastronomica italiana tutelata dal marchio Dop. Questo esemplare dalla cima violetta, ha foglie carnose, una consistenza croccante e un cuore tenero e saporito, al punto che può essere mangiato crudo e al naturale anche immediatamente dopo la sua raccolta. Viene coltivato in gran parte della Sardegna – nel gergo degli agricoltori è chiamato il "bastardo spinoso"– e la raccolta avviene rigorosamente a mano tra i primi di settembre e la fine di maggio. Si caratterizza per un gusto poco astringente, dovuto al perfetto equilibrio tra carboidrati e tannini, e un intenso profumo di cardo. Dolce e al tempo stesso lievemente amarognolo, è ideale da gustare in insalata o brasato.

2. Carciofo romanesco del Lazio

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Noto anche come “cimarolo” o “mammola”, il carciofo romanesco del Lazio detiene un record: è stato il primo prodotto agricolo italiano a fregiarsi del marchio Igp nel 2002. Di antichissima tradizione – sembra che il merito di averne iniziato la coltivazione sia degli Etruschi –, presenta delle caratteristiche ben precise: dalle dimensioni piuttosto notevoli (il diametro del capolino centrale della pianta non deve essere inferiore a 10 cm), ha forma sferica e compatta; privo di spine e peluria interna, ha un cuore tenerissimo – quasi "un burro" – e un sapore delicato e molto dolce. La zona di produzione, come lascia presagire il nome stesso, è quella delle fertili terre laziali che, grazie al terreno argilloso e al clima temperato, si è dimostrata particolarmente adatta alla coltivazione di questo ortaggio. Oltre ad essere protagonista di due grandi classici della tradizione gastronomica, alla romana e alla giudia, si presta a mille altri usi: ottimi anche fritti e stufati.

3. Carciofo tondo di Paestum

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Detto anche "Tondo di Paestum", appartiene al gruppo genetico dei carciofi di tipo "romanesco"; tuttavia, le particolari caratteristiche di questa varietà – l'aspetto tondeggiante dei capolini, l'elevata compattezza e l'assenza di spine – gli hanno consentito di ottenere nel 2005 il riconoscimento Igp. Viene coltivato nella Piana del Sele, in provincia di Salerno: il clima fresco e piovoso di questa area conferisce al prodotto grande tenerezza e delicatezza, oltre a renderlo disponibile già dal mese di febbraio (per questa ragione è presente sul mercato prima di ogni altro carciofo di tipo romanesco) e per un periodo di tempo piuttosto lungo (fino a maggio). Di colore verde, con sfumature violetto-rosacee, e un cuore carnoso e gustoso, viene utilizzato nella preparazione di numerose ricette tipiche locali, come la pizza con i carciofini e il pasticcio ai carciofi, ma si presta anche ad essere consumato crudo in insalata, trifolato in padella o cucinato ripieno.

4. Carciofo brindisino

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Last but not least: il carciofo brindisino è l'ultimo ad avere ottenuto, nel 2011, il marchio Igp. La caratteristica peculiare di questo prodotto è la precocità di produzione che gli consente di essere presente sul mercato già a partire dal mese di ottobre; si distingue per la grande tenerezza e sapidità, merito delle temperature miti, anche durante la stagione invernale, della zona di coltivazione (che comprende i comuni di Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico e Torchiarolo). Il risultato, infatti, è una produttività assai intensa: basti pensare che da questi otto comuni arriva un quinto della produzione nazionale di carciofi. Si trova in commercio da fine ottobre a primavera, ma per gustarlo al meglio occorre consumarlo il prima possibile poiché non ha un lungo periodo di conservazione.

A piena maturazione, si presenta abbastanza omogeneo, di colore verde e dalla struttura carnosa; delicato e dalla consistenza cedevole, si può gustare anche crudo. Tante le ricette della tradizione pugliese che lo vedono protagonista. Una tra tutte? Ovviamente i carciofi “alla brindisina”, ovvero farciti con un trito di capperi, menta, aglio, pangrattato, olive e cipolla, quindi disposti in una teglia su un letto di patate, e infine passati in forno a 200 °C per circa mezz’ora. Un'autentica delizia.

5. Carciofo di Castellammare

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Detto anche "violetto di Castellamare", è un sottotipo appartenente alla varietà romanesca. Si tratta di un Presidio Slow Food e viene coltivato nei comuni di Castellammare di Stabia, Gragnano, Pompei, Sant’Antonio Abate e Santa Maria La Carità, in provincia di Napoli, in una zona ancora oggi chiamata gli "orti di schito" (per questo è conosciuto anche come "carciofo violetto di schito"): sono le caratteristiche peculiari del suolo vulcanico a conferire a questo prodotto un sapore e una dolcezza davvero eccezionali.

Secondo un'antica tecnica colturale, ancora oggi praticata, le prime infiorescenze vengono coperte con vasetti di terracotta: in questo modo si proteggono i carciofi dalle intemperie e dai raggi solari, mantenendoli chiari e particolarmente teneri. Sono privi di spine, come tutti i romaneschi, e si presentano con grandi infiorescenze, rotonde e globose; il colore, tendente al rosa, sfuma nel violetto. La raccolta avviene da febbraio fino ai mesi di aprile/maggio, e per questa ragione è spesso associato alla tradizione pasquale, in abbinamento ai sapori più tipici. Il modo migliore per gustarli? Arrostito al momento sulla brace oppure farcito con ogni ben di Dio, dal macinato di carne ai formaggi, e passato in forno a gratinare.

6. Carciofo spinoso di Menfi

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Ecco un altro presidio Slow Food. Si tratta di un ecotipo autunnale, coltivato in alcuni territori del Trapanese e dell'Agrigentino, e raccolto manualmente da novembre ad aprile; negli ultimi tempi le carciofaie hanno lasciato il posto ai vigneti e le nuove varietà ibride stanno lentamente prendendo il posto del vecchio ecotipo spinoso: non a caso, dei 600 ettari coltivati a carciofo, solo 10 sono destinati a questo esemplare dalle caratteristiche uniche. È un carciofo di dimensioni medie e le brattee, di colore verde con sfumatura finale violetta, presentano nella parte superiore delle grandi spine dorate: per questa ragione in passato era conosciuto anche con il nome di "spinello".

Aromatico, croccante e delicato, grazie all'elevato contenuto di lignina, si presta ad essere cotto alla brace ed è ideale per la produzione di sottoli, caponate e pâté. Tradizionalmente il primo maggio, giorno della fine della stagione produttiva, i menfitani si ritrovano in campagna per arrostire gli ultimi carciofi rimasti; prima di essere messi sulla brace, fatta con legna di vite, questi vengono battuti su una base di marmo, per favorire l’apertura delle foglie, conditi con olio, aglio e sale, e infine cotti.

7. Carciofo bianco di Pertosa

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Si tratta di un'eccellenza tipica di Pertosa, un piccolo paesino di appena 600 anime in provincia di Salerno, coltivata anche ad Auletta, Caggiano, Salvitelle e nella Valle del Basso Tanagro. Si caratterizza per il colore molto chiaro, verde tenue e tendente all'argento, la grandezza, piuttosto notevole, e l'assenza di spine; la forma è sferoidale e presenta un foro sulla sommità. Tenero, dolce e particolarmente delicato, è ottimo gustato crudo, condito semplicemente con un filo di olio e qualche goccia di succo di limone, oppure abbinato a paste fresche e arrosti di carne.

Nonostante le potenzialità di un prodotto dalle caratteristiche straordinarie, ha una produzione ancora piuttosto marginale, resa possibile dall'impegno di un gruppo di agricoltori locali che lo coltivano perlopiù per un consumo familiare. È una varietà tardiva, la cui raccolta si effettua dalla metà di aprile alla fine di maggio.

9. Il carciofo violetto di Sant'Erasmo

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Eccezionalmente pregiato, il violetto di Sant'Erasmo viene coltivato nella Laguna di Venezia, precisamente in questa piccola isoletta da cui prende il nome, a mezz'ora di vaporetto dal capoluogo veneto. Qui, grazie a un terreno dalle caratteristiche uniche, argilloso, fertile e ben drenato, questa varietà ha trovato l'habitat ideale; è un carciofo spinoso, dalla forma allungata e con brattee di color violetto scuro, tendenti al vinaccia. Tenero e carnoso, è saporito, lievemente amarognolo e incredibilmente fragrante.

In queste zone la stagione dei carciofi inizia a fine aprile, con la raccolta delle castraure, i primi e tenerissimi germogli, e prosegue fino alla seconda metà di giugno; gli articiochi, nome locale con cui viene chiamato questo ortaggio, sono stati introdotti nella cucina veneziana dalla comunità ebraica: vengono consumati prevalentemente crudi, ma tante sono le ricette tipiche del territorio; possono essere fritti in pastella, stufati in tegame (in tecia) o abbinati alle schie, i saporiti gamberetti della laguna, aliciotti e sardine, presenti tra i cicheti di ordinanza.

10. Il carciofo violetto di Toscana

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Anche detto "livornese", sembrerebbe essere l'antenato del carciofo veneto sopra citato. Ha dimensioni ridotte e forma ovoidale; le brattee esterne del capolino, particolarmente coriacee, sono di colore viola chiaro nelle prime fasi di maturazione, mentre quelle interne, più tenere, presentano una sfumatura più chiara, tendente al giallo. Tipico del litorale livornese, viene coltivato in Val di Cornia e Venturina; proprio le particolari condizioni microclimatiche della zona, conferiscono al prodotto una qualità organolettica superiore alle altre varietà coltivate nell'area tirrenica e delle caratteristiche assolutamente uniche. È particolarmente adatto a essere conservato sottolio o fritto.

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