Il Vietnam ha trasformato la baguette, pane simbolo dei colonizzatori francesi, in uno dei suoi alimenti gastronomici più celebri, creando un sandwich dalla storia fortemente identitaria e dal gusto unico.
Si scrive bánh mì, ma si legge piccolo capolavoro gastronomico e culturale. Stiamo parlando del panino vietnamita icona dello street food, preparato al momento nelle vivaci, trafficate e rumorose strade che attraversano centri abitati grandi e piccoli di questo paese che si estende per circa 1650 chilometri da Nord a Sud e che per un secolo ha vissuto sotto l’orbita francese senza perdere la propria identità, ma, anzi, rafforzandola. Il bánh mì è uno dei simboli per eccellenza della sua autodeterminazione: la baguette, emblema della boulangerie d’Oltralpe, ricca e lussuosa, viene riempita di ingredienti popolari, tra polpette di carne mista, maiale e pollo marinati e grigliati, verdure in salamoia, cetrioli e coriandolo fresco, dando forma a una specialità che una volta provata difficilmente si dimentica. Non è un caso se uno chef del livello di Anthony Bourdain abbia dedicato a questo panino parole come “a symphony in a sandwich”, mettendo in risalto la sinfonia di sapori che si sente già al primo morso.
Partiamo subito dicendo come si presenta un bánh mì: il pane ha la forma di una baguette più corta rispetto a quella tradizionale, con una crosticina sottile e friabile, mentre all’interno conserva una mollica discreta e ariosa, caratteristiche che lo rendono particolarmente croccante, leggero e perfetto da imbottire. Nessuna spalmata di beurre avec jambon: la farcitura è sotto il segno della freschezza di preparazioni locali che variano a seconda delle zone e che vedono sempre una proteina (tra thit nuong, carne di maiale marinata e grigliata, giò lụa, celebre salsiccia realizzata con maiale e avvolta in foglie di banano, che ricorda la nostra mortadella, ma anche pollo, uova e tofu nelle versioni vegetariane e vegane) accompagnata da verdure in salamoia tagliate a bastoncini, come daikon e carote, che restano sode, cetriolo fresco a fette e generoso coriandolo. In più, dall’ex potenza imperialista il panino prende in prestito le salse che lo completano, rivisitando due caposaldi come la maionese e il pâté. Il risultato? Già al primo boccone è crunchy, cremoso, succoso e aromatico, con un equilibrio di gusti paragonabile alla “beatitudine” dell’umami.
Se guardiamo alle vicende storiche recenti, il Vietnam può essere paragonato a quelle squadre che sembrano destinate a perdere e che poi, invece, vincono, suscitando l’ammirazione di tutti. Oppure, in termini biblici, a un Davide contro Golia: di Golia, sconfitti definitivamente, si annoverano i francesi e gli statunitensi. Dai secondi, quest’anno ricorrono i 50 anni dalla liberazione, con la fine della famosa guerra del Vietnam nel 1975, mentre la dominazione da parte dei primi inizia nel 1958 (ufficializzata nel 1889, quando il Vietnam entra a far parte della cosiddetta Indocina Francese, con Laos e Cambogia) e termina nel 1954, con la battaglia di Diên Biên Phu. In questi (quasi) 100 anni, gli europei tentano di imporsi, con il cibo, ça va sans dire, che è parte integrante della conquista. Già attorno al 1860, infatti, arriva il grano, un cereale minore in una terra devota al riso e nasce il bánh tây (letteralmente "pane occidentale") che altro non è che la classica baguette, alimento costoso destinato ai colonizzatori, dato che la materia prima veniva importata e farcita in modo “parigino”. Solo con la fine dell’occupazione, ha inizio la trasformazione della baguette in bánh mì, termine che indica sia in modo generico il pane di frumento, sia nello specifico il panino.
Le origini del sandwich si collocano a Saigon nella seconda metà degli anni ’50, all’epoca capitale del Vietnam del Sud e sotto l’influenza degli USA, che forniscono grandi quantità di grano, facendo scendere i prezzi del cereale. Le baguette si fanno accessibili e, senza più i francesi, si riempiono con ingredienti del territorio, aumentando così la diffusione di bakery che sfornano questa tipologia di pane rimodellata sul gusto vietnamita, come una vera rivincita gastronomica e culturale, proprio come successo con il caffè, bevanda made in France che il Vietnam ha interpretato a suo piacimento, elevandola a specialità nazionale.
Il bánh mì si vende per le strade, preparato al momento, ma ancora per essere capillare deve attendere. Dal 1975, con la caduta di Saigon e l'uscita di scena dei nordamericani, il costo del grano torna a essere alto e il pane rientra all’interno dei prodotti razionati. Solo a partire dal periodo di riforme economiche degli anni ‘80, il Đổi Mới, si ricominciano ad attivarsi forni e panetterie e, grazie all’evoluzione della società, sempre più operai, studenti e impiegati frequentano le città. Il bánh mì farcito viene eletto a pasto rapido, comodo ed economico, con il pane che si riduce nella lunghezza per essere pratico nel trasporto: in tutto il paese aprono chioschi – il più delle volte a gestione familiare – che diventano con il tempo punti di riferimento culinario anche grazie al turismo e alla curiosità degli chef. In più le comunità vietnamite che si installano prima negli Stati Uniti – dopo la fine della guerra del Vietnam – e poi in Europa, in particolare Londra, Parigi e Berlino, contribuiscono in modo determinante a far conoscere all’estero questo panino unico nel suo genere.