;)
Sei un amante del sushi e non vedi l'ora che arrivi il fine settimana per andarlo a mangiare in un ottimo ristorante giapponese? Hai mai pensato, però, che dietro questo piatto (ormai popolarissimo anche in Italia) non ci sia solo il pesce freschissimo, ma un ingrediente che lega tutto? Stiamo parlando dell'aceto di riso: un condimento antico, elegante, sorprendente e versatile che merita un posto d'onore anche nella tua cucina.
Un po' di storia e tradizione
Per capire la storia di questo prodotto bisogna fare un bel salto nel tempo e tornare nella Cina di circa 2000 anni fa. Qui veniva già utilizzato grazie alla fermentazione del riso cotto. Dalle diverse fonti storiche in nostro possesso, sappiamo che i primi documenti che citano l'aceto di riso risalgono al periodo delle dinastie Qin e Han. Qui il riso era già un alimento cardine, se non proprio il principale e veniva mangiato tutti i giorni. L'aceto di riso si utilizzava non solo per il gusto, ma anche come agente di conservazione. Parliamo di un'epoca in cui non esistevano frigoriferi e congelatori e le tecniche di refrigerazione degli alimenti erano appena in fase embrionale.

Grazie all'aceto di riso, alimenti come pesce, carne e verdure potevano essere conservati per più tempo. Dalla Cina arrivò al Giappone dove poi ha trovato la sua massima espressione. È proprio qui che divenne fondamentale per la conservazione del pesce: il riso condito con aceto aiutava a prolungare la durata, dando origine a quello che oggi conosciamo come sushi. Insomma, per dirlo chiaramente, senza aceto di riso il sushi non sarebbe mai esistito. Affermatosi a partire dal VI secolo, questo prodotto si utilizzava anche con una funzione "igienica". Grazie all'acidità, la proliferazione batterica veniva contenuta, elemento che poi ha reso l'aceto di riso un ingrediente indispensabile nelle cucine asiatiche.
Come si ottiene e come si utilizza in cucina
Per produrre l'aceto di riso c'è bisogno di tempo, rigore e delicatezza. Dopo la cottura, il riso viene fatto raffreddare e unito a un microrganismo simile al koji (fungo che si utilizza per il nihonshu, ossia il fermentato di riso che conosciamo come sakè). Gli amidi vengono trasformati in zuccheri che, grazie all'azione dei lieviti, si convertono in alcol. Invece di essere trasformato in bevanda, in questo caso il liquido viene lasciato maturare e inoculato con batteri acetici che trasformano l'alcol in aceto di riso.

Ne esistono diverse tipologie: chiaro, ambrato o scuro che si ottiene dal riso nero glutinoso diffuso in Cina e Vietnam. Insomma da questo processo nasce quello che è un condimento che nei secoli è diventato protagonista di molte preparazioni della cucina asiatica e che sta venendo sempre più apprezzato anche in Occidente. Oltre che per il sushi, l'aceto di riso viene utilizzato nei condimenti (unito alla salsa di soia) e crea un dressing semplice e molto saporito, tipico dei ravioli come i gyoza. Si può utilizzare anche nelle zuppe e nei piatti caldi: basta un cucchiaino per dare freschezza e contrasto, senza appesantire troppo.
Viene utilizzato anche in Italia?
Quando sentiamo parlare di aceto nel nostro Paese, pensiamo subito a quello di vino o di mele. Il concetto di aceto di riso in Italia è ovviamente arrivato con la diffusione a macchia d'olio dei ristoranti giapponesi ma, lentamente, si sta facendo strada anche nelle cucine domestiche. Molti chef italiani lo utilizzano per dare un tocco di umami in diversi piatti stagionali e anche cari alla tradizione nostrana. Insalate con verdure di stagione, caponate e persino per sfumare un risotto al posto del classico aceto di vino bianco. Il risultato? Piatti più delicati e moderni.

Insomma, l'aceto di riso ormai non è più considerato un ingrediente "esotico" ma è un piccolo segreto di equilibrio e freschezza che, come dicevamo all'inizio, merita un posto nelle nostre cucine. Un ingrediente capace di dare una nuova linfa ai piatti e che, volendo, può farci aprire a gusti inediti che uniscono Oriente e Occidente.