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20 Settembre 2023 16:03

Un centinaio di famiglie di pastori dal Kirghizistan alla Sardegna: il motivo è singolare

Un accordo tra il governo italiano e quello kirghiso, favorito da Coldiretti: "importerà" un centinaio di famiglie dall'Asia Centrale per ripopolare le zone pastorali e salvaguardare la tradizione.

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In Sardegna arriveranno a breve circa 100 pastori dal Kirghizistan con le loro famiglie. Il motivo? Un accordo tra la sezione sarda di Coldiretti, associazione di categoria degli agricoltori italiani, e il ministero del Lavoro dell'ex stato dell’Unione sovietica per avviare un progetto pilota atto a contrastare lo spopolamento della regione e la perdita delle tradizioni agricole e casearie sarde. I pastori kirghisi si stanzieranno nei distretti rurali di Sassari, Barbagia e Sarrabus. Tutto è nato un po' per caso: secondo La Nuova Sardegna un ristoratore di Cagliari avrebbe stretto rapporti col governo del Kirghizistan che gli avrebbe chiesto aiuto per supportare i pastori locali a sviluppare competenze nella produzione di formaggio a partire da latte di pecora. Le tradizioni delle due zone, seppur tanto distanti (il Kirghizistan si trova tra Cina e Kazakistan), hanno tanti punti in comune. Vediamo come si sviluppa il progetto e perché potrebbe giovare sia alla Sardegna sia all'ex stato dell’Unione sovietica.

Che ci fanno i pastori kirghisi in Sardegna?

Il progetto dovrebbe partire l'anno venturo e prevede l'approdo di un centinaio di pastori in terra sarda. Alloggeranno in piccoli centri rurali disabitati e avranno contratti da apprendistato da trasformare poi in contratti a tempo indeterminato. Con loro e le loro famiglie verranno dei mediatori culturali e tutti saranno inseriti in un percorso di istruzione e integrazione per conoscere la cultura e l'economia sarda in primis, italiana poi. L'obiettivo è a lungo termine: la Sardegna vorrebbe "importare" migliaia di pastori kirghisi e ripopolare le zone abbandonate.

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Per Coldiretti il personale qualificato nelle campagne sarde manca e "trovare lavoratori per tempi lunghi è quasi impossibile. I romeni o gli albanesi hanno scelto lidi remunerati meglio, gli africani, per ragioni oggettive, per la loro poca dimestichezza nell’allevamento ovino, non vanno bene" per questo motivo hanno creato questo canale di immigrazione con la nazione asiatica. "Abbiamo pensato a un popolo che ha nell’allevamento delle pecore e dei cavalli uno dei tratti salienti, che conosce il nomadismo, ma che vive in piccole comunità. E siamo partiti, dopo aver istruito a tutti i livelli la pratica per il Kirghizistan — conclude Luca Saba di Coldiretti Sardegna — Abbiamo visto i loro pascoli, parlato con gli allevatori, visto le loro capanne. Ne abbiamo ricavato l’impressione di un popolo delle campagne che vive in simbiosi con i loro animali, con molti punti in comune con la cultura sarda".

L'iniziativa è sostenuta dal governo kirghiso grazie al loro ministero del Lavoro e dai nostri ministeri degli Affari esteri e dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e foreste e sta portando alcuni mugugni bipartisan: da un lato c'è chi parla di "sostituzione etnica" e dall'altro chi parla di rischio sfruttamento. Questo perché il canale di immigrazione è molto selettivo: possono arrivare solo famiglie con persone di età compresa tra i 18 e i 45 anni, e con competenze nel lavoro agricolo. È senza dubbio un'iniziativa da tener d'occhio e che richiederà molto tempo per avere risvolti nell'uno o nell'altro senso. Nel mentre speriamo che sardi e kirghisi si ritrovino in queste tradizioni comuni e creino un vero ponte culturale e sociale tra due terre bellissime e molto lontane tra loro.

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