L’espresso non è solo un caffè ma un simbolo culturale, icona di una Paese, di questa bevanda, ha fatto la sua identità. Eppure non esiste solo un espresso, ne esistono tanti: agli italiani il caffè piace talmente tanto che ogni regione ne ha inventato uno tutto suo, ciascuno con una storia alle spalle o una particolarità che lo rende unico. Con panna, alla menta, corretto al brandy o a strati: scopriamo tutte le più gustose varianti regionali del mitico espresso.
Italia, più caffè, uguale: espresso. Questa bevanda diventata simbolo di una cultura intera, con una lunga storia che risale al 1884 con l’invenzione della macchina brevettata da Angelo Moriondo, è talmente famosa e iconica da essere diventato sinonimo dell’Italia stessa e della sua cultura. E se dici espresso, ovviamente, non puoi non pensare subito all’espresso napoletano, il caffè per eccellenza, amatissimo per il suo gusto avvolgente e il suo profumo inconfondibile. Ma in realtà noi italiani siamo così legati al nostro caffè da averne ideate, nel tempo, decine di varianti: di espresso non ce n’è solo uno ma ce ne sono tanti, ogni regione o quasi vanta la sua personalissima versione. Perché il caffè non è solo una bevanda ma un rito, un momento di relax, una tradizione o una vera e propria filosofia di vita che ognuno declina a modo suo. Quante versioni locali esistono di caffè espresso? Stabilire un numero certo è praticamente impossibile, ma ecco una selezione delle più conosciute che devi provare almeno una volta.
Non si può parlare di espresso senza citare Napoli: la bevanda e la città sono strettamente legati uno all’altro, quindi l’espresso classico non può mancare nella nostra lista, anche perché assaggiarlo a Napoli è un’esperienza del tutto diversa, una tradizione, un vero e proprio rito. Molti napoletani dicano sia l’acqua delle sorgenti del Serino a conferire più gusto alla bevanda, ma ciò che davvero la caratterizza è l’uso di una miscela forte, con chicchi tostati ad alte temperature e per lungo tempo, che dà più corpo all’espresso, facilitando la formazione della tanto amata crema. L’espresso napoletano si beve rigorosamente caldo, in tazza così bollente che i baristi consigliano spesso di creare un baffo di caffè sul bordo della tazzina, per attenuare l’alta temperatura. Ma prima, d’obbligo, ci si prepara con un bicchiere d’acqua che in questo caso serve per pulire la bocca e preparare il palato all’esplosione di sapore dell’espresso napoletano.
Il bicerin non è solo una variante di espresso ma un vero e proprio pezzo di storia, un simbolo di Torino che ancora oggi è custodito dalla storica attività Al Bicerin (attiva dal 1763), dirimpetto al Santuario della Consolata. Gli ingredienti chiave del bicerin sono il caffè espresso appena preparato, la cioccolata fatta in casa e la crema di latte (sebbene alcuni preferiscano utilizzare panna montata, la versione originale richiede la crema di latte), il tutto servito a strati non in tazza, ma in bicchieri o calici di vetro che permettono di ammirare le sfumature create dalla diversa densità e colore degli ingredienti. Con il suo irresistibile connubio tra cioccolato e caffè, il bicerin è da sempre nel cuore dei torinesi e ha conquistato, nel corso della sua lunga storia, illustri personaggi come Camillo Benso Conte di Cavour e lo scrittore Alexandre Dumas. Nel 2001, il Bicerin è stato ufficialmente riconosciuto come “bevanda della tradizione piemontese” con la pubblicazione sul bollettino ufficiale della regione Piemonte.
Il caffè leccese è per la Puglia quello che il bicerin è per il Piemonte: una variante locale di espresso, in questo caso originaria di Lecce, diventata un simbolo di tutta la regione e in particolare dell'area del Salento. È la bevanda immancabile delle estati pugliesi, ispirata secondo alcune fonti a un caffè con ghiaccio molto popolare a Valencia nei primi anni del XVII e poi approdata ad Otranto tramite scambi commerciali in una primissima variante che poi, arrivando a Lecce, è diventata la bevanda conosciuta oggi. Il caffè leccese è realizzato con caffè espresso e latte di mandorla e servito con abbondante cubetti di ghiaccio per renderlo ben freddo; la regola è mescolare sempre prima di berlo, in modo che le sue due componenti si mescolino alla perfezione.
Molti lo confondono con il caffè leccese, e in effetti il caffè ammantecato siciliano ha in comune con la specialità pugliese i due ingredienti che compongono entrambe le bevande, il caffè espresso e il latte di mandorla. La differenza è che il caffè ammantecato si beve caldo e, soprattutto, il latte di mandorla viene usato direttamente nella moka al posto dell’acqua, non aggiunto al caffè già pronto. La specialità, tipica della città di Trapani e dei suoi dintorni, risulta così essere una bevanda gustosissima, più densa del classico caffè e dal sapore molto più aromatico.
Il caffè calabrese vince il premio del caffè dal sapore più intenso e particolare di tutta la lista: insieme all’espresso, infatti, la ricetta prevede l’aggiunta di un dito di brandy scaldato con un cucchiaio di zucchero di canna e una manciata di liquirizia pestata. Non una sorpresa, dato che la liquirizia è conosciuta come “l’oro nero della Calabria”, prodotta principalmente sul versante ionico calabrese è rinomata come la più buona al mondo. Il caffè alla calabrese si beve rigorosamente bollente, per poterne apprezzare i sapori intensi e avvolgenti e il segreto per ottenerlo perfetto è bilanciare nel modo giusto tutti i suoi ingredienti.
Hai presente il punch inglese, la bevanda calda a base di tè, zucchero, cannella, limone e acquavite o rum? Ne esiste una variante tutta italiana che coinvolge il caffè espresso: si chiama ponce ed è una specialità di Livorno che abbina in modo davvero particolare alcol, spezie e caffè. Da sempre considerato più di una bevanda, ma un vero e proprio rimedio a malanni e acciacchi stagionali, il ponce nasce tra il XVII e XVIII secolo grazie alla numerosa comunità britannica residente a Livorno. Solo che i livornesi la rendono più propria e sostituiscono il tè con il caffè espresso e la componente alcolica con il “rumme”, un’invenzione locale costituita da alcol, zucchero e caramello di colore scuro, a volte aromatizzato con un'essenza di rum. La versione moderna del ponce livornese, consolidata dagli anni Cinquanta, vede l’aggiunta di una scorza di limone che conferisce una piacevole nota agrumata alla bevanda.
In Valle d’Aosta il momento del caffè si trasforma in un rito collettivo, un momento conviviale da vivere in compagnia. Al centro di questa condivisione c’è un caratteristico contenitore in legno detto “grolla”, o più comunemente “coppa dell’amicizia”, al cui interno si prepara il caffè valdostano: all’espresso caldo si uniscono grappa, genepì (tipico liquore locale a base di ginepro), zucchero, scorza di limone, chiodi di garofano e ginepro, a cui si mischiano le note del legno di noce o acero del recipiente; la bevanda viene consumata non prima di aver bruciato un mix di caffè e grappa caramellizando lo zucchero presente. Ma le particolarità non sono finite, perché la grolla ha tanti beccucci diversi in modo da passarsi il contenitore e bere tutti direttamente da lì, ciascuno da un becco diverso.
Il caffè padovano nasce nell’800 sul bancone del Caffè Pedrocchi, locale dove è stato ideato da Antonio Pedrocchi in persona, e infatti spesso viene chiamato proprio con il nome del suo luogo di nascita, ritrovo prediletto dagli intellettuali veneti del tempo (tra i più assidui Stendhal, a cui è dedicato un particolare zabaione). In cosa consiste? Una miscela di sciroppo di menta, latte e panna adagiata sull'espresso con una spolverata di cacao e qualche fogliolina di menta a piacere. La sua caratteristica più peculiare è proprio lo sciroppo di menta che dona una freschezza unica alla bevanda, ma è anche la panna che lo rende unico, perché si monta insieme a latte e sciroppo nello shakerin modo da ottenere un composto spumoso da versare direttamente sull’espresso caldo, rigorosamente senza zucchero come vuole la tradizione, all’interno di una tazza da cappuccino.
A metà tra un caffè corretto e un cocktail, la Moretta di Fano nasce nell’800 tra i pescatori marchigiani, probabilmente per combattere il freddo e riciclare i resti delle bottiglie di alcolici. Col tempo, sono stati scelti poi ingredienti specifici, ancora oggi alla base della moretta: anice, rum e cognac con scorza di limone, scaldati insieme in un pentolino in parti uguali e poi uniti al caffè. Si serve in tazzine trasparenti, in modo da vedere bene la caratteristica stratificazione di questa bevanda unica dal profumo e dal gusto avvolgenti.