Impasto lievitato, fritto e con un ripieno che cambia da casa a casa: nessuno l’ha inventato davvero, eppure lo conoscono tutti. Ecco la storia del cibo simbolo della Puglia, il panzerotto.
Croccante fuori e morbido dentro, il panzerotto pugliese nasce come preparazione domestica e si afferma oggi come uno dei simboli dello street food locale e di quello italiano. Questo piccolo calzone fritto, spesso confuso con la pizza chiusa o con il calzone classico, ha in realtà una propria identità, profondamente radicata nella tradizione gastronomica del Sud Italia. La sua diffusione oltre i confini regionali lo ha trasformato in un simbolo nazionale dello street food, mantenendo intatta la sua anima popolare. Scopriamo la storia del calzone pugliese e il percorso che lo ha portato dalle cucine familiari alle vetrine delle friggitorie, fino a diventare un’icona riconoscibile anche fuori dai confini regionali.
Il nome panzerotto richiama direttamente la parola panza, ovvero “pancia” nel dialetto locale, a indicare la sua forma gonfia e rigonfia durante la frittura. Un’etimologia che anticipa bene la natura popolare e concreta di questa preparazione. La sua preparazione affonda le sue radici nella cultura contadina del Mezzogiorno, dove la cucina si basava sull’autoproduzione e sul riutilizzo creativo degli avanzi. Non esistono documenti ufficiali che ne attestino con precisione la nascita, ma alcune ipotesi collocano le sue origini già nel XVI secolo, in particolare nell’area di Bari, dove potrebbe essere nato come preparazione casalinga destinata alla frittura. Più plausibilmente, però, si ritiene che il panzerotto abbia preso forma tra il XVII e il XVIII secolo, parallelamente allo sviluppo del pane e della pizza in forni domestici e comunitari.
In molte case pugliesi si preparava il pane una volta a settimana e, durante l’attesa della cottura, l’impasto avanzato veniva impiegato per realizzare piccole focacce farcite. L’uso del pomodoro — ingrediente “nuovo” per l’epoca, giunto dalle Americhe e inizialmente considerato ornamentale — iniziò a diffondersi solo nel corso del Settecento, prima nel Regno di Napoli e poi nel resto del Sud. La combinazione con formaggio locale, come la scamorza o la mozzarella, rappresentava un piccolo lusso domestico.
La scelta di racchiudere il ripieno all’interno dell’impasto non fu un’intuizione casuale, ma una necessità pratica: per poter friggere un composto farcito, era indispensabile che il condimento restasse sigillato. Solo così si evitava che il pomodoro o il formaggio si disperdessero nell’olio bollente durante la cottura.
Il panzerotto nacque quindi come cibo povero, frutto dell’ingegno quotidiano e della necessità di nutrirsi con ciò che era disponibile. Era una preparazione casalinga, mai scritta ma tramandata oralmente, soprattutto tra le donne. Prepararlo significava anche creare un momento di condivisione: in occasione delle festività o delle domeniche, le famiglie si riunivano per impastare e friggere insieme.
Con l’urbanizzazione del XX secolo e il progressivo abbandono delle campagne, il panzerotto trovò spazio anche nei contesti cittadini, dove iniziò a essere venduto in rosticcerie e panifici. Bari, in particolare, giocò un ruolo chiave nella sua diffusione urbana. È qui, nel centro storico, che nacquero i primi esercizi che proponevano panzerotti fritti su ordinazione, soprattutto la sera.
Durante il secondo dopoguerra, la crescita della ristorazione informale contribuì ulteriormente alla sua popolarità. Il panzerotto divenne uno dei protagonisti delle serate tra amici, delle feste scolastiche e delle gite fuori porta. Il suo successo era legato alla semplicità di preparazione, al basso costo e alla possibilità di essere consumato al volo, senza stoviglie.
Negli anni ’70 e ’80, anche grazie ai movimenti migratori dal Sud al Nord, il panzerotto iniziò a circolare oltre la Puglia. In molte città settentrionali, i pugliesi aprirono panetterie e pizzerie che lo proponevano accanto a focacce, rustici e taralli, portando con sé un pezzo di identità gastronomica locale.
Oggi il panzerotto ha superato i confini italiani, conquistando palati anche all’estero. In Canada, ad esempio, molte aziende lo producono in grandi quantità, adattandolo ai gusti locali ma mantenendone la struttura originale. In città come Londra e New York, locali aperti da emigrati pugliesi lo propongono ancora secondo ricette di famiglia, contribuendo alla sua affermazione come simbolo dello street food italiano.
Il panzerotto conserva ancora oggi una forte dimensione affettiva: è spesso legato a momenti familiari, come la vigilia dell’Immacolata o le cene tra amici, quando si prepara e si mangia insieme, ancora caldo, con il ripieno filante. In molte famiglie, la ricetta della nonna resta un punto di riferimento, trasmessa più con i gesti che con le misure, spesso annotata su foglietti ingialliti o custodita nella memoria.
Proprio questa trasmissione informale ha favorito l’emergere di numerose varianti, sia nell’impasto (più o meno lievitato, con o senza strutto) sia nel ripieno (pomodoro, cipolla, acciughe, salumi). Anche la chiusura può cambiare: alcuni usano i rebbi della forchetta, altri pizzicano i bordi a mano, creando un motivo decorativo.
Nel tempo, accanto al classico ripieno di pomodoro e mozzarella, si sono affermate versioni legate alla stagionalità e alle abitudini locali. In primavera si usano cime di rapa o cipollotti freschi (sponsali), mentre in autunno compaiono farciture con zucca, funghi o melanzane. In alcune zone si aggiungono olive nere o ricotta forte per un gusto più marcato. Oggi non mancano neppure interpretazioni più contemporanee, con stracciatella, mortadella, pistacchio o tartufo. Una sperimentazione vivace che arricchisce la tradizione senza snaturarla.
Ne risulta una geografia del gusto estremamente varia, che riflette l’identità dei territori e delle famiglie. Nel Brindisino, ad esempio, i panzerotti sono più sottili ed essenziali, mente nel Tarantino risultano più corposi; a Lecce si trovano versioni speziate o con impasti arricchiti da patate. In alcune località, come Molfetta – sulla costa nord di Bari – i panzerotti, noti anche come “frittelle”, si preparano per San Martino, trasformando la cucina in un momento di festa condivisa. Una varietà che testimonia la vitalità della cucina regionale, capace di evolvere senza perdere le proprie radici. Esiste anche una versione cotta al forno, più recente e legata a esigenze alimentari contemporanee, ma per molti il panzerotto autentico resta una mezzaluna fritta che sa di casa, fatta per essere mangiata bollente, magari bruciandosi le dita.