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3 Agosto 2022 10:36

Si sblocca l’esportazione del grano ucraino: cosa significa per l’Italia

Partito da poco il primo carico di grano ucraino dall'inizio della guerra. Un passo fondamentale per scongiurare una crisi alimentare globale senza precedenti, salvando centinaia di vite nei Paesi più poveri. Trascurabili invece i benefici per l'Italia.

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Qualche ora fa è partita la prima nave carica di grano ucraino dall'inizio della guerra a oggi. Ha lasciato il porto di Odessa, tramite la Turchia è diretta verso il Libano e poi verso tutte le altre destinazioni previste. La partenza è figlia di un accordo internazionale che la Russia ha firmato proprio con la Turchia, sotto la supervisione dell'Onu. Un segnale distensivo a ridosso di una crisi alimentare globale senza precedenti. Cerchiamo di capire che effetti possono avere queste 26 tonnellate di grano sulla nostra economia e sugli altri Paesi del mondo.

Il grano ucraino per scongiurare la fame nel mondo

La nave Razoni arriverà domani a Istanbul e proseguirà il proprio viaggio tramite "un corridoio di sicurezza garantito dall'Onu e dalla Turchia", assicura il ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov. Lo sblocco delle esportazioni è fondamentale perché si rischia di aggravare ulteriormente la piaga della fame nel mondo. Può sembrare una frase forte ma è tristemente vera: l'Ucraina è il quarto più grande esportatore di mais al mondo, i mesi di stop hanno messo a repentaglio la sicurezza alimentare globale. Da Odessa partiranno altre 16 navi con carichi molto simili alla Razoni così, conclude il ministro,  "possiamo raggiungere la piena capacità di trasferimento di prodotti agricoli".

Gli effetti dell'esportazione ucraina sull'Italia

L'accordo firmato da Mosca e Kiev è un motivo di sollievo per tutti gli Stati dipendenti dal grano ucraino e l'Italia non ne fa parte: la nostra nazione dipende dal grano ucraino per una quantità minima. Questi lunghi mesi hanno fatto soffrire tantissime nazioni che, purtroppo, hanno visto schizzare il prezzo del pane alle stelle. Nella storia dell'umanità una costante delle guerre è sempre stata quella del pane e del relativo costo, quindi il timore di vari altri focolai bellicosi è forte e concreto.

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Nonostante il tartassamento mediatico di questi mesi, l'Italia non dipende affatto dal grano ucraino quindi la partenza della nave da Odessa avrà effetti praticamente nulli sulla nostra spesa. Come numeri assoluti importiamo molti chili di grano ma dipendiamo solo per il 2,5% per il grano duro, il 5% per il grano tenero e il 15% per il mais dalle esportazioni complessive di Ucraina e Russia. Numeri bassissimi dunque.

L'incidenza sul costo dei prodotti dipende più dal fabbisogno che dai numeri assoluti di importazione. Facciamo un esempio: noi importiamo una quantità maggiore di grano ucraino rispetto alla Moldavia ma quest'ultima necessita della materia prima per soddisfare il 92% del fabbisogno interno. Per questa ragione in quella nazione il costo del pane è diventato insostenibile per la quasi totalità della popolazione. Alla Moldavia fanno seguito il Libano (81,2%), il Qatar, con il 64%, seguito da Tunisia (49,3%), Libia (48,3%), Pakistan (47,9%), Indonesia (28,7%), Malesia (26,2%), Egitto (25,6%) e Bangladesh (25,2%).

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Com'è evidente si tratta di Paesi poveri, ulteriormente vessati dalla guerra tra Russia e Ucraina anche se non direttamente colpiti. Anche l'Africa è subisce molto questa situazione: la Somalia acquista il 60% del grano importato dall'Ucraina, il Laos il 25% circa, il Senegal il 17%, la Repubblica Democratica del Congo il 15%. Immagina l'effetto di un aumento considerevole del pane, uno dei prodotti più poveri in assoluto, in una nazione come la Repubblica Democratica del Congo in cui lo stipendio medio è di 600 euro.

La partenza della nave Razori da Odessa è un passo fondamentale per un autunno meno disperato. Non coinvolge direttamente l'Italia ma può salvare centinaia di vite in giro per il mondo.

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