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14 Novembre 2025
12:37

Se non ha alcol non può chiamarsi gin: l’Ue ridisegna i confini degli analcolici

L’Ue vieta di chiamare “gin” le bevande senza alcol, imponendo chiarezza sulle etichette. La decisione nasce da un caso tedesco e obbligherà il settore a ridefinire nomi e categorie.

A cura di Enrico Esente
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No gin, no party, si potrebbe dire proprio così vista l'ultima sentenza della Corte di Giustizia europea. Secondo l'Ue, infatti, se in un cocktail non c'è la componente alcolica, non può fregiarsi della denominazione "gin". Era da qualche tempo che il mercato delle bevande analcoliche viveva in un territorio incerto, dove la creatività dei produttori si intrecciava con la rigidità delle norme europee. I divieti sono anche abbastanza aspri: un prodotto senza alcol non può assolutamente chiamarsi gin, neppure se viene definito "gin virgin" o se viene confezionato (nel caso delle lattine) con un packaging simile a quello del celebre distillato.

Tutto è partito da un "caso" in Germania

La scintilla è scattata in Germania, dove un'associazione antitrust ha portato in tribunale la commercializzazione di un prodotto chiamato "Virgin Gin Alkoholfrei". A loro avviso, quel nome poteva confondere i consumatori, suggerendo una somiglianza tra quel prodotto e il gin originale. In realtà le due bevande avevano poco in comune e, per questo, secondo l'associazione era ingiusto continuare a metterla sul mercato con un nome che non gli spettava. Successivamente, la questione si è evoluta fino ad arrivare davanti ai giudici della Corte di Giustizia europea. Questi ultimi hanno confermato la perplessità nell'utilizzare la parola "gin" in un prodotto completamente analcolico, anche perché così facendo c'era il rischio di andare incontro a un cortocircuito di mercato comunicativo e legale.

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Dopo un'attenta analisi del caso, la Corte ha dato ragione definitivamente all'associazione, spiegando che la parola Gin è una denominazione legale e riservata, e che per essere utilizzata richiede due condizioni imprescindibili. La prima è che un alcol etilico agricolo deve essere "aromatizzato" con bacche di ginepro, la seconda è che deve avere almeno il 37,5% di gradazione alcolica. Senza questi parametri, la parola "gin" non può comparire sull'etichetta, men che meno se la bevanda in questione è analcolica.

Una battaglia continuativa dell'Ue per assicurare massima trasparenza

Quello del gin non è un caso isolato a sé. Nelle ultime settimane, infatti, il Parlamento europeo ha approvato un emendamento che vieta l'uso di denominazioni tradizionalmente associate ai prodotti di origine animale, per definire alimenti a base vegetale. In sostanza quindi un "hamburger" non può essere tale se non fatto con carne. Quindi i produttori dovranno ingegnarsi per trovare una nuova denominazione a tutte quelle pietanze che prima venivano definite "burger di lenticchie, ceci" e così via.

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Insomma, la sentenza relativa al gin quindi si inserisce in quel filone in cui l'Ue difende a spada tratta la trasparenza delle dominazioni alimentari. L'obiettivo non è "frenare l'evoluzione del mercato, ma garantire che il consumatore sappia davvero cosa sta comprando. Una chiarezza che tutela chi produce secondo tradizione, allo stesso modo di chi sceglie una buona alternativa.

In tutto questo discorso non dobbiamo dimenticare quanto negli ultimi anni stiano spopolando le bevande analcoliche, ormai stabilmente inserite nei cocktail bar. Questa sentenza potrebbe essere significativa anche per i produttori (non solo di gin) che sarebbero costretti a rivedere nomi ed etichetta, abbandonando riferimenti troppo diretti ai distillati tradizionali. Si aprirà quindi la necessità di tracciare categorie più autonome e precise, questione che certamente imporrà a chi lavora nel settore, un rigoroso piano di ridefinizione.

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A cura di
Enrico Esente
Laureato in Scienze della Comunicazione e giornalista professionista. Dopo le prime esperienze presso il Corriere del Mezzogiorno, Sky Sport e un periodo di studio a Tokyo, ho orientato il mio percorso lavorativo verso il mondo dell’enogastronomia, spinto da una grande passione per la cultura gastronomica giapponese e un amore autentico per il buon cibo. Amo raccontare piccoli aneddoti legati alle abitudini alimentari di culture diverse, perché credo che il vero viaggio culturale inizi proprio a tavola.
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