video suggerito
video suggerito
3 Novembre 2025 11:00

Scaffali pieni, bidoni stra colmi: quanto pesa lo spreco di cibo dei supermercati italiani

Dalla frutta lucida al banco frigo sempre ordinato, la GDO alimenta l’illusione della disponibilità infinita. Ma a fine giornata, quintali di cibo finiscono nei bidoni: un paradosso che racconta quanto la perfezione visiva possa pesare sull’ambiente e sull’economia.

A cura di Francesca Fiore
0
Immagine

In Italia, ma non solo, la regola non scritta della grande distribuzione è semplice: lo scaffale non deve mai essere vuoto. Frutta lucida fino all’ultimo minuto, carne sempre fresca, banco frigo ordinato anche a dieci minuti dalla chiusura. È una promessa di abbondanza che rassicura i clienti, ma produce un effetto collaterale enorme: una montagna di cibo che non verrà mai venduto.

Dietro ogni confezione invenduta ci sono chilometri di trasporto, energia, acqua e lavoro già spesi. Eppure, per i supermercati, ordinare un po’ di più è spesso preferibile a rischiare di restare sforniti, perché la mancanza di un prodotto, anche solo temporanea, può significare la perdita di un cliente.

Ma che impatto ha questo meccanismo automatico della Gdo che ci fa avere sempre scaffali e banchi frigo strabordanti e quanto cibo ci costringe a buttare?

Quanto si spreca nei supermercati italiani e perché

Per capire l’entità del fenomeno basta guardare ai dati del Progetto REDUCE, coordinato dall’Università di Bologna e finanziato dal Ministero dell’Ambiente. È la ricerca più completa mai condotta in Italia sulla grande distribuzione.

L’indagine ha analizzato 17 punti vendita — supermercati e ipermercati di varie dimensioni — rilevando uno spreco medio di 18,7 kg di cibo all’anno per metro quadrato di superficie di vendita.
Se si estende questo dato a tutti i supermercati italiani, si arriva a una stima di circa 220 mila tonnellate di alimenti buttati ogni anno, pari a quasi 3 kg pro capite.

Il rapporto REDUCE ha inoltre evidenziato che gli ipermercati, più grandi e meglio organizzati, sprecano mediamente il 12% in meno rispetto ai supermercati di piccole dimensioni.

Le cause, spiegano i ricercatori, sono in gran parte strutturali: gli scaffali devono restare pieni anche a fine giornata, la frutta e la verdura “brutte” vengono scartate perché ritenute poco appetibili, i prodotti misti come le insalate in busta si rovinano se un solo ingrediente deperisce. Inoltre, i sistemi di previsione della domanda sono ancora imprecisi e le promozioni improvvisate a volte non fanno altro che aggravare gli sprechi.

In molti casi, poi, buttare è più semplice che donare. Nonostante la Legge Gadda del 2016 abbia semplificato le donazioni di cibo invenduto, gestire logistica, controlli e scadenze richiede tempo e personale.
A complicare il quadro, ci sono anche le abitudini dei clienti: secondo i dati di Waste Watcher International, gli italiani tendono a scegliere i prodotti con le scadenze più lontane e gli scaffali più pieni. Così la domanda “visiva” — quella dell’abbondanza e della perfezione — finisce per alimentare direttamente lo spreco.

Immagine

Ortofrutta e pane: i reparti che sprecano di più

I dati REDUCE e le analisi del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, concordano: il reparto più “critico” è l’ortofrutta, che rappresenta da solo oltre il 40% degli scarti della GDO. Subito dopo vengono pane e prodotti da forno freschi, poi latticini, carne e salumi confezionati.

Il motivo è intuitivo: sono tutti alimenti ad alta deperibilità e con margini di vendita strettissimi. Basta un cambio di temperatura o un weekend di minori affluenze per rendere invendibili chili di merce.
Nel caso delle insalate in busta e dei mix vegetali, la situazione è ancora più delicata: un solo ingrediente che perde freschezza compromette l’intera confezione.

Dove e quando lo spreco aumenta

Lo spreco non è uniforme sul territorio. Le analisi di Waste Watcher International mostrano che al Nord, dove la rete di logistica e di associazioni per la donazione è più capillare, una quota maggiore di alimenti viene recuperata o scontata. Al Sud, invece, la mancanza di strutture e di collegamenti efficienti rende più difficile riutilizzare le eccedenze, e una parte maggiore finisce tra i rifiuti.

Anche il calendario gioca un ruolo: durante le festività natalizie e pasquali lo spreco cresce in modo significativo. Le catene aumentano le scorte per far fronte ai picchi di spesa, ma le previsioni raramente sono perfette. Panettoni, prodotti freschi stagionali e confezioni regalo spesso restano invenduti e scadono nei giorni successivi alle feste.

Secondo ISPRA, le settimane successive al Natale sono quelle con il maggiore incremento di rifiuti organici da prodotti alimentari in tutta la filiera. In particolare le prime settimane di gennaio, registrano un picco significativo nella produzione di rifiuti organici provenienti da prodotti alimentari. Questo fenomeno riguarda tutta la filiera alimentare, non solo le famiglie ma anche la ristorazione, la distribuzione e la produzione.

Il motivo è semplice: si acquistano e preparano più alimenti del necessario, molti dei quali finiscono scaduti o non consumati. Così come facciamo in casa, anche la distribuzione e la ristorazione producono eccedenze e scarti, contribuendo all’incremento lungo l’intera filiera alimentare.

Immagine

Le contromisure: tra sconti, donazioni e tecnologia

Negli ultimi anni, molte catene hanno iniziato a sperimentare strategie per ridurre gli sprechi senza intaccare la redditività. Le etichette “anti-spreco” o i corner dedicati ai prodotti prossimi alla scadenza si sono diffusi rapidamente: secondo i dati REDUCE, queste pratiche possono tagliare fino al 40% degli scarti nei reparti che le applicano in modo costante.

Sul fronte solidale, la Legge Gadda ha semplificato la donazione degli alimenti invenduti: grandi catene come Coop, Conad ed Esselunga collaborano stabilmente con il Banco Alimentare, recuperando ogni anno migliaia di tonnellate di cibo.

Infine, la tecnologia sta giocando un ruolo crescente: alcuni supermercati utilizzano sistemi di analisi dei dati per adeguare gli ordini dei freschi in base alle vendite effettive e alle previsioni meteo, riducendo gli sprechi alla fonte.

Ma per fare davvero la differenza serve un cambio di paradigma: passare dalla logica dell’abbondanza a quella dell’efficienza. Algoritmi predittivi più precisi, filiere di recupero integrate e una comunicazione che valorizzi l’imperfezione — la mela “brutta ma buona”, il pane del giorno prima, la verdura leggermente matura — possono ridisegnare il rapporto tra distribuzione e spreco. Perché la vera modernità, oggi, non è lo scaffale sempre pieno: è quello che non spreca nulla.

Immagine
Quello che i piatti non dicono
Segui i canali social di Cookist
api url views