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4 Novembre 2025 9:00

Rosa, Limoncella, Carla e non solo: viaggio tra le mele “dimenticate” d’Italia

Da Nord a Sud, tornano le mele dei frutteti contadini: piccole, profumate, imperfette, ma ricche di storia e biodiversità. Ecco quali sono le varietà che una volta erano sempre presenti sulle nostre tavole.

A cura di Francesca Fiore
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Quando pensiamo alle mele, il pensiero corre subito a nomi celebri come Golden Delicious, Gala, Fuji, Red Delicious. Sono frutti impeccabili, dalla buccia lucida e dai colori calibrati, presenti tutto l’anno sugli scaffali dei supermercati. Eppure, dietro questa perfezione patinata, si nasconde un mondo che rischiava di sparire: quello delle mele antiche, le mele dei nostri nonni, coltivate nei frutteti familiari, dove ogni albero aveva un nome e una storia.

Un tempo, ogni valle italiana aveva la propria mela: non si sceglievano per bellezza o dimensione, ma per adattamento al territorio, resistenza al clima e profumo. In montagna si privilegiavano le varietà tardive, che maturavano lentamente e resistevano al gelo; in collina quelle dolci e aromatiche, da conservare per tutto l’inverno.

Poi, dagli anni Sessanta in avanti, la logica del mercato ha preso il sopravvento: la produzione si è strutturata su mele tutte uguali, facilmente trasportabili, belle da vedere. Così, le antiche cultivar locali, spesso piccole, ruvide e imperfette, sono state quasi del tutto sostituite da poche varietà “globali”, standardizzate e adatte alla grande distribuzione.

Oggi però, grazie alla riscoperta della biodiversità agricola e del gusto autentico, alcune di queste mele stanno tornando sui banchi di qualche mercato. Custodite da agricoltori, associazioni e appassionati, raccontano un’Italia minore ma profondamente vera — fatta di sapori antichi, di profumi dimenticati e di una resilienza naturale che oggi appare quasi rivoluzionaria.

La mela rosa dei Monti Sibillini

Tra le pendici marchigiane e umbre dei Sibillini cresce una mela dal nome gentile e dal carattere forte: la Rosa dei Sibillini. La sua buccia rosata, spessa e profumata, protegge una polpa soda e croccante, dal sapore equilibrato, leggermente acidulo e molto aromatico. Un tempo, le famiglie contadine la conservavano appesa alle travi delle soffitte: restava intatta per mesi, e con il passare del tempo sviluppava profumi sempre più intensi. Oggi è stata riscoperta grazie al lavoro dei produttori locali e riconosciuta come Presidio Slow Food, simbolo di un’agricoltura che valorizza l’altitudine e la rusticità come virtù.

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La mela rosa dei Monti Sibillini. Fonte: Wikipedia, elaborata con AI

La mela Limoncella

Piccola, gialla e profumatissima, la Limoncella è la mela delle colline dell’Italia centrale e meridionale: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata. Deve il suo nome al gusto fresco e acidulo, con note agrumate che ricordano il limone. Rustica e resistente, la Limoncella si conserva a lungo e cresce bene anche su terreni poveri, dove altre varietà non attecchiscono. Negli ultimi anni è tornata protagonista nei mercati contadini e nelle sagre di paese, dove viene usata per marmellate e dolci casalinghi. È un frutto che parla di casa, di semplicità e di gusto vero.

La mela Meloncella

Un'altra mela che prende il suo nome da un frutto diverso, come nel caso precedente. Tra le colline del Molise e dell’Abruzzo, dove gli inverni sono lunghi e l’aria profuma di legna, cresce una mela antica dal nome curioso e dalla forma tondeggiante: la Meloncella. La sua buccia verde-gialla racchiude una polpa soda e croccante, dal sapore dolce ma con una nota acidula che la rende fresca e fragrante. I contadini di un tempo la raccoglievano in autunno e la conservavano nelle cantine o appesa nelle soffitte, dove restava buona per mesi: per questo, in molte zone, è conosciuta anche come “mela di Natale”, perché arrivava intatta fino alle feste, portando in tavola il profumo dell’autunno anche nel cuore dell’inverno.

In alcuni territori (soprattutto Molise e Abruzzo) i nomi delle due mele precedenti vengono usati come sinonimi: la stessa mela può essere chiamata Limoncella o Meloncella a seconda del paese. In altre zone (come certe aree della Campania o della Puglia), vengono distinte come due varietà affini ma diverse, con differenze di forma, colore e acidità.

La mela Decio

La Decio, diffusa un tempo tra Veneto e Lombardia, è una delle varietà più antiche d’Italia: secondo alcune fonti, era già coltivata in epoca romana. Piccola e irregolare, ha una buccia giallognola e una polpa farinosa, dolce e delicatamente speziata. È una mela che non si dimentica facilmente, anche se il suo aspetto non la renderebbe mai protagonista di una campagna pubblicitaria: nel suo territorio era la mela delle torte rustiche, delle frittelle e delle marmellate. Oggi sopravvive grazie a poche aziende agricole e ad alcuni orti familiari, che la coltivano più per affetto che per reddito. È la prova vivente che la bellezza non sempre è sinonimo di bontà.

La mela Campanina

Tra le dolci colline modenesi e reggiane, cresce una mela che racconta la storia di un territorio ricco di tradizioni: la mela Campanina. Questo frutto, piccolo e rotondo, è stato per secoli il protagonista delle tavole contadine, apprezzato per la sua polpa soda e profumata, dal gusto dolce ma deciso. Il suo nome deriva dalla forma che ricorda una piccola campana, ed è proprio nel cuore della bassa modenese che ha trovato il suo habitat ideale, dove i frutteti venivano custoditi con cura dalle famiglie locali. Un tempo, la Campanina veniva raccolta a fine estate e conservata a lungo, diventando una risorsa preziosa per l’inverno. La sua lunga conservabilità, unita alla rusticità, le conferisce un carattere autentico, lontano dalle moderne cultivar che oggi dominano il mercato.

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La mela Campanina – foto di Regione Emilia Romagna

La mela Carla

La mela Carla è una varietà tradizionale che affonda le radici nelle valli dell'Appennino Ligure e nelle zone montuose del Piemonte, in particolare nelle valli cuneesi e torinesi. Un tempo, veniva raccolta tardi, a novembre, e conservata fino alla primavera successiva senza l’ausilio di celle frigorifere. La sua buccia spessa e ruvida protegge una polpa croccante e succosa, dal sapore intenso e aromatico, che con il tempo, grazie alla conservazione in cantina o nelle soffitte, si ammorbidiva e sviluppava un gusto più complesso, quasi vinoso.

Era un frutto da dispensa, appeso con uno spago o riposto in cassette di legno tra foglie secche, in modo che l’aria potesse circolare liberamente. Oggi la mela Carla è diventata una varietà rara, ma alcuni produttori di sidro e succhi naturali stanno riscoprendo il suo potenziale per la sua acidità equilibrata e la sua rusticità, rendendola simbolo di una coltivazione che rispetta i ritmi naturali e le tradizioni locali.

Le mele Ruggini

Non si tratta di una sola varietà, ma di un gruppo di mele – come la renetta ruggine o la mela ruggine del Piemonte – accomunate dalla buccia ruvida e dal colore bronzo, tanto da sembrare “arrugginite”. Le mele ruggini erano un tempo molto diffuse in tutto il Nord Italia. Il loro sapore è deciso, vinoso, con un profumo che ricorda il miele e la noce. Non belle, certo, ma decisamente autentiche: negli ultimi anni, proprio questa loro imperfezione le ha rese affascinanti agli occhi di chef e pasticceri, che le utilizzano per dolci rustici o abbinamenti salati. In un’epoca di estetica patinata, la loro ruvidità è diventata sinonimo di verità.

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Una delle varietà della mela ruggine

La Pomella genovese

Tra i muretti a secco e i terrazzamenti liguri resiste la Pomella genovese, una mela piccola e compatta, dal profumo intenso e dal sapore aromatico. Si adatta bene ai climi umidi e salmastri della costa, dove altre varietà non sopravvivono. È una mela di mare e di montagna insieme, figlia della Liguria più tradizionale. Oggi è coltivata da pochi agricoltori custodi e celebrata in alcune sagre locali, come esempio di resilienza agricola. Il suo gusto deciso la rende perfetta da abbinare ai formaggi freschi o al miele d’acacia.

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