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5 Marzo 2022 13:00

Rafano: cos’è e come usare in cucina la radice piccante

Poco conosciuta e forse ancora sottovalutata, la radice di rafano è un prodotto antico, apprezzato per il gusto incredibilmente piccante e per le numerose proprietà benefiche. Conosciamolo meglio.

A cura di Rossella Croce
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Il rafano rusticano è una pianta erbacea rizomatosa appartenente alla famiglia delle Brassicaceae o Crucifere, di cui si utilizza la grossa radice bianca di forma cilindrica. Originario dell'Asia occidentale e apprezzato fin dall'antichità non solo per il gusto deciso e incredibilmente piccante, ma anche per le numerose proprietà benefiche, il rafano è conosciuto anche come barbaforte o cren: sebbene non goda di grande popolarità in Occidente, può essere impiegato in cucina sia cotto sia crudo in ricette più o meno elaborate e, negli ultimi tempi è facilmente reperibile anche sui banchi dei supermercati. Il rafano possiede proprietà antibatteriche e antinfiammatorie, è utile in caso di ritenzione idrica e ha un effetto protettivo dello stomaco e dell'intero apparato digerente. Come usarlo in cucina? In quali ricette impiegare il rafano e come renderlo protagonista dei nostri piatti? Ecco tutto quello che c'è da sapere su questa antica e preziosa radice.

Proprietà e benefici del rafano

La radice del rafano è composta quasi al 96% da acqua, contiene pochissimi grassi e calorie (circa 30 kcal per 100 grammi) al netto di un ottimo apporto di vitamina C e sali minerali, in particolare calcio, potassio, fosforo e ferro. Buona fonte di fibre, oltre che di composti glucosinati, il rafano vanta numerose proprietà benefiche: grazie alla vitamina C, ha un effetto antibiotico e antibatterico, sostiene e protegge il sistema immunitario ed è utile in caso di malanni di stagione.

Il rafano contiene un olio essenziale spesso utilizzato come antimicrobico e a cui sono state riconosciute proprietà antibatteriche; la radice inoltre può essere impiegata per trattare infezioni del tratto respiratorio come espettorante naturale, ed è quindi utile in caso di sinusiti e bronchiti. Consumare regolarmente questa radice, facendo attenzione alle giuste proporzioni, permette di stimolare la produzione dei succhi gastrici e di bile e favorire così il corretto funzionamento dell'apparato digerente; ultimo ma non per importanza, il rafano garantisce inoltre un effetto diuretico e disintossicante.

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Come usare il rafano in cucina

Apprezzato fin dall'antichità per il suo gusto a dir poco deciso e per le sue numerose proprietà benefiche, il rafano trova ampio spazio in differenti culture gastronomiche: se nella cucina orientale viene spesso associato a sushi e sashimi, nelle più nostrane tradizioni veneta e friulana non può mai mancare accanto a un ricco bollito di carne. Come abbiamo visto, del rafano consumiamo solo la radice, che in cucina può essere impiegata cruda, semplicemente grattugiata, ottima se accompagnata a patate e rape rosse in stuzzicanti insalate alternative, oppure cotta, in preparazioni più o meno elaborate.

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La caratteristica principale del rafano è senza dubbio la piccantezza che ricorda il gusto della senape al naturale: questo elemento lo rende perfetto per accompagnare piatti dai sapori decisi a base di uova, pesce o carne, in particolare bolliti e arrosti. Nella tradizione culinaria delle regioni settentrionali, in particolare in Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia, il rafano indiscusso protagonista della salsa cren, una ricetta molto semplice a base di rafano, aceto bianco, zucchero e sale: una salsa dal sapore intenso e deciso, ideale per accompagnare arrosti, bolliti, carne e pesce alla griglia.

Nella cucina settentrionale, ma non solo: il rafano è amatissimo anche in alcune zone del Sud Italia, in particolare in Basilicata; qui, durante le feste di Carnevale non può e non deve mancare la rafanata di Aliano, una sorta di frittata a base di uova, tanto pecorino e una generosa grattugiata di rafano a crudo, elemento che conferisce al piatto un sapore piccante e balsamico; le "radici" di questo piatto affondano in tempi lontani quando, nel VI secolo, i Normanni introdussero nella cucina e nella coltivazione locale questa curioso ingrediente che, da allora, per le sue caratteristiche e per il suo sapore inconfondibile, è considerata il "tartufo dei poveri".

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Quello che i piatti non dicono
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