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18 Ottobre 2023 15:00

Prodotti vegani che non lo sono davvero: le patatine in busta

Sembra difficile pensare che le patatine in busta possano contenere derivati di origine animale, ma può succedere anche quando sulla confezione compare la scritta vegan: vediamo perché.

A cura di Federica Palladini
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Basta dare un'occhiata agli scaffali dei supermercati per capire quanto vasta sia la scelta dei prodotti vegani rispetto al passato, anche se a parità di aumento dell’offerta sembra essere anche maggiore una certa confusione da parte del consumatore. Il motivo è presto detto: i termini veg, vegan o veggie sono iniziati a spuntare come funghi sulle confezioni di qualsivoglia genere alimentare e non essendoci una normativa chiara a riguardo la paura (concreta) è quella di trovarsi di fronte a una informazione scorretta o quantomeno ambigua. Un esempio? Le patatine in busta, un comune junk food che fino a qualche tempo fa destava sporadici sospetti, adesso viene menzionato spesso tra i più ingannevoli per chi decide di seguire una dieta che non comprenda nessun tipo di elementi di origine animale. Facciamo un po’ di chiarezza.

Perché non tutte le patatine in busta sono vegane

Sarebbe facile pensare che le patatine in busta siano vegane solo perché non realizzate con carne o pesce, ma semplicemente con patate, olio per friggere e sale. Un’idea decisamente romantica che si infrange nel momento in cui i prodotti industriali necessitano di lavorazioni più complesse, per conferire gusto e fragranza e per mantenerli per più tempo possibile.

Per questo potrebbero comparire insospettabili derivati di origine animale: i più diffusi sono il latte, il lattosio e il siero di latte in polvere, soprattutto nelle versioni di patatine aromatizzate (lime, paprika etc.) che si contraddistinguono per avere lunghissime liste di additivi, tipiche dei cibi ultra-processati. Raro, ma non per questo impossibile, è l’uso del sego, un grasso che circonda gli organi di bovini ed equini e che si utilizza per rivestire l’interno dei sacchetti, o in frittura, per aumentare la croccantezza. Per legge, tutti gli ingredienti utilizzati nella fabbricazione di un alimento devono essere indicati in etichetta, quindi è sempre bene fare affidamento a questa per riconoscere se un cibo è vegano o meno.

Gli additivi elencati sulle patatine in busta non dovrebbero generare particolari equivoci sulla loro provenienza, mentre ce ne sono altri di cui l’origine potrebbe essere dubbia: per esempio lecitina o acido lattico, presenti in creme spalmabili, gomme da masticare, caramelle o bevande sono generalmente ricavati da vegetali o sintetizzati in laboratorio, ma alcune volte è possibile che vengano lavorati a partire da derivati animali e in questo caso l’unica soluzione per scoprirlo è contattare il produttore.

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Perché nelle patatine vegane ci possono essere tracce di derivati animali?

Può capitare che delle patatine in busta sponsorizzate come vegane si legga nell’etichetta la dicitura “Può contenere tracce di latte o uova”: significa che siamo di fronte a un imbroglio? Assolutamente no, perché l’eventualità della contaminazione incrociata è tollerata in quanto minima. In breve, è obbligatorio per legge esplicitare l’eventuale presenza di ingredienti estranei all’alimento nel momento in cui la sua lavorazione è fatta in stabilimenti promiscui, nel nostro caso dove la preparazione di cibi vegani o vegetariani si svolge in contemporanea con altri che non lo sono.

Ecco che per tutelare la salute del consumatore che soffre di allergie si ricorre a questo avvertimento: c’è quindi una bassissima probabilità che il prodotto contenga davvero tracce di uova, latte o altri derivati animali, tanto che anche le grandi associazioni che si impegnano a garantire l’autenticità di un prodotto vegano e vegetariano danno la loro approvazione. Di che realtà stiamo parlando?

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Prodotti vegan e la legge: non c’è una normativa che ne regolamenti la caratteristiche

Il fatto che si trovino in commercio tantissimi generi alimentari con le scritte vegan, veg o veggie è dovuto anche a una sorta di vuoto legislativo. In Italia, così come in Europa, infatti, manca una norma che definisca in modo univoco cosa sia un prodotto vegano e vegetariano, in quanto prendere in considerazione solo gli ingredienti non basta: c’è anche da tenere conto di tutto il processo della filiera, dal benessere animale ai materiali con cui sono realizzati gli imballaggi. Nel 2021 l’International Organization for Standardization ha presentato una norma per stabilire dei criteri internazionali sull’etichettatura di alimenti vegetariani e vegani chiamata ISO 23662:2021: l’applicazione però non è obbligatoria, ma su base volontaria delle aziende che quindi si regolano in autonomia nel dichiarare vegani o vegetariani i loro prodotti.

Quello che può venire in aiuto del consumatore sono i marchi e le certificazioni date da realtà autorevoli perché operano in questo campo da tantissimi anni e che appuntano il loro sigillo di qualità (solitamente un bollino verde con una V o una spiga stilizzate) sulle confezioni. Le maggiori che si trovano in Italia sono la Vegan Society di Londra, una vera istituzione in materia fin dal 1944, l’Associazione Vegetariana Italiana, istituita nel 1952, l’ICEA (Istituto per la certificazione etica e ambientale) con i suoi marchi Vegan e BioVegan e l’ente CCPB, accreditato dal governo italiano e dall’UE per conferire il suo Certificato Vegano. Ovviamente anche questi bollini sono facoltativi, ma possono servire come bussola quando si va a fare la spesa.

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Quello che i piatti non dicono
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