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15 Dicembre 2025 15:00

Perché si mangia il capitone fritto al cenone della Vigilia?

I piatti delle ricorrenze religiose spesso nascondono storie legate a credenze secolari, dove devozione e folklore si mescolano. Lo stesso vale per questa ricetta che vede protagonista un pesce che ricorda nelle fattezze un serpente, animale altamente simbolico.

A cura di Federica Palladini
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Nella celebre commedia Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo si assiste alla sua fuga per la casa, mentre nel film Parenti serpenti di Mario Monicelli il capofamiglia lo getta per errore dalla finestra, salvo poi essere recuperato e servito durante la cena della Vigilia. Stiamo parlando del capitone, che compare tradizionalmente nel menu del 24 dicembre, specialmente sulle tavole campane, e che da pesce di estrazione popolare è diventato nel tempo una specie ittica a rischio di estinzione, meno disponibile e più costosa. Quando ci si riferisce al capitone, infatti, si indica per consuetudine l’esemplare femmina dell’anguilla, gastronomicamente apprezzato per le sue carni sode, cucinate arrosto, in umido o fritte, proprio come vuole la ricetta del cenone. Una preparazione che resiste più per scaramanzia – o devozione – che per gola, visto il suo ricco simbolismo.

La tradizione del capitone fritto alla Vigilia

I piatti che compongono la cena della Vigilia, in particolare quella che va in scena nel meridione, vedono protagonista il pesce, data la consuetudine di mangiare di magro, eliminando la carne. Così, tra insalata di rinforzo e spaghetti alle vongole, una portata che non manca nella tradizione partenopea è il capitone fritto, con una presenza consolidata fin dal Medioevo e di cui le origini sono un perfetto mix tra sacro e profano. La forma allungata del capitone, infatti, riporta a quella del serpente, il rettile “viscido” per antonomasia che secondo le Sacre Scritture fu la causa del peccato originale, tentando Eva – che poi convince anche Adamo – nel mangiare la mela, il frutto proibito. Da qui, la cacciata del primo uomo e della prima donna dal Paradiso e un futuro non proprio rosa e fiori per l'umanità.

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Consumare il capitone il 24 dicembre significa sconfiggere simbolicamente il maligno: è un rito che, come ha scritto l’antropologo e giornalista Marino Niola, assume il valore di un vero e proprio “sacrificio del capitone”, immolato come fosse “quel” serpente. Nella Smorfia napoletana, il capitone – ‘O capitone – ha anche un proprio numero, il 32, tanto era la sua popolarità: in passato, infatti, si trattava di una specie ittica abbondante e quindi economica, dalle carni grasse e sostanziose che si prestavano a essere un pasto nutriente e alla portata di tutti. La ricetta fritta, icona della Vigilia, porta con sé proprio questa impronta di “piatto povero”, con il pesce che viene eviscerato, tagliato a tronchetti passati nella farina e immersi nell’olio bollente, per poi salare e profumare con qualche foglia di alloro.

Perché a Napoli il capitone si compra sempre vivo

Camminando nelle pescherie dei mercati dei rioni popolari – come quelli di Sanità o Pignasecca – si vedono i capitoni che sguazzano in acqua corrente in grandi vasche, per essere poi acquistati ancora vivi, un altro dettaglio importante del rito. Solitamente ci si procura il capitone il 23 dicembre, lo si porta a casa e lo si conserva in una bacinella fino a quando giunge il momento della sua preparazione, il giorno seguente, che inizia con il taglio della testa, richiamando appunto il “sacrificio” sopra menzionato. Un tempo l’operazione spettava alle donne di famiglia, legandosi a un'iconografia femminile che rimanda sia a Eva sia al genere dell’animale.

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Quello che i piatti non dicono
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