
Per la Vigilia di Natale, una delle tradizioni più diffuse in Italia è quella di non mangiare carne. Questa usanza, che sembra immutabile, è diventata così radicata da sembrare quasi una regola religiosa. In realtà, dietro all'usanza di fare una cena a base di pesce c'è molto di più dietro questa tradizione di quanto si creda: la verità è che la carne per la Vigilia non è mai stata vietata dalla Chiesa.
Se oggi associamo la Vigilia di Natale a un "cenone di magro", la causa è più una combinazione di leggende popolari e cambiamenti storici che una vera e propria legge canonica. La carne, insomma, non è proibita: la sua assenza in tavola è il risultato di una lunga evoluzione culturale e sociale che ha poco a che fare con obblighi religiosi e molto con la storia del nostro Paese.
Scopriamo insieme come un'usanza nata nel Medioevo, tra povertà e miseria, si è trasformata nel piatto tipico delle festività natalizie, sopravvivendo a secoli di cambiamenti e trasformandosi, nel tempo, in una tradizione tanto consolidata quanto erronea.
Come nasce l'usanza di mangiare pesce alla vigilia di Natale
L’origine di questa usanza si trova nel Medioevo, un periodo segnato da guerre, carestie e malattie che decimavano la popolazione. In questi anni difficili, la Chiesa cercava di giustificare la povertà e la sofferenza dei suoi fedeli. Un'idea, nata tra l'XI e il XII secolo, fu quella di far apparire i periodi di digiuno non come una mancanza, ma come un atto di fede. I monaci europei elaborarono una serie di norme alimentari che i cristiani avrebbero dovuto seguire, comprese le regole sul digiuno: si trattava di periodi di astinenza dalla carne e dai cibi grassi che duravano per gran parte dell'anno, con punte che superavano i 100 giorni. I fedeli dovevano digiunare, ma non solo: si astenevano da cibi "grassi" come la carne, anche per più di 150 giorni l’anno.
Questa tradizione del "magro" divenne via via più sistematica, con la distinzione tra carne e "non carne", ma è solo nel 1500 che questo concetto prende piede come una vera e propria abitudine alimentare. Inizialmente, il digiuno era severo, quasi quotidiano, un’esperienza che sfiorava il 30% dell’anno. La Chiesa, in qualche modo, giustificava questa privazione come una forma di fede profonda, facendo credere che i poveri avessero la consolazione di una ricompensa nell’aldilà, piuttosto che vivere la propria povertà come una sventura. Con il passare dei secoli, però, le regole diventano più blande, e l'astinenza dalla carne si concentra soprattutto su determinate festività e vigilie.

Il Codex Iuris Canonici e la verità sulla carne
Nel corso del Novecento, il Codex Iuris Canonici stabilì che i cattolici dovevano astenersi dalla carne nelle vigilie di alcune festività, come Natale, Ognissanti, l'Assunta e Pentecoste. Tuttavia, già nel 1966 la Costituzione Apostolica Paenitemini ridusse notevolmente le indicazioni riguardanti il digiuno. Le astinenze dalla carne vennero limitate ai soli venerdì dell’anno e a due occasioni specifiche: il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. Pertanto, non esistono più divieti per le vigilie, incluse quelle natalizie, tranne che per un equivoco che è sopravvissuto nei secoli.
Quello che in molti ancora credono essere un obbligo religioso non è altro che una consuetudine popolare che si è consolidata nel tempo, senza una vera base nelle leggi della Chiesa. Perciò, possiamo dire che la restrizione alimentare della Vigilia di Natale sia più una tradizione che una norma religiosa vera e propria, un retaggio che si è trasformato in una sorta di "bufala" perpetuata senza fondamento.