Dallo chef stellato un annuncio di lavoro shock: esclusi gay, comunisti, drogati e “fannulloni”. Ma la legge parla chiaro: discriminare nelle assunzioni non solo è inaccettabile, è vietato.
In un’Italia che fatica ancora a lasciarsi alle spalle pregiudizi anacronistici, spunta l’ennesimo caso che ci ricorda quanto lavoro ci sia ancora da fare, non solo ai fornelli, ma anche sul fronte dei diritti. Lo chef stellato Paolo Cappuccio ha pubblicato un annuncio di lavoro che più che una ricerca di personale somigliava a una lista di esclusione sociale: fuori "comunisti, fancazzisti, masterchef del c***", ma anche chi ha "problematiche di orientamento sessuale". No, non è uno sketch satirico, è successo davvero, in Trentino. E oltre a essere moralmente discutibile, è anche chiaramente illegale.
Paolo Cappuccio, nome discretamente noto nel mondo della cucina italiana, ha pubblicato su Facebook un post per cercare personale per un hotel 4 stelle in Trentino: fin qui, tutto normale. Ma poi si entra nel dettaglio: l’annuncio sembrava più un manifesto ideologico che un’offerta di lavoro. Lo chef esclude esplicitamente intere categorie di persone: niente "comunisti", niente "persone con problemi di orientamento sessuale", niente "fancazzisti", e giù insulti a chiunque non rientrasse nei suoi personalissimi canoni di "normalità". Non è nemmeno la prima volta: già nel 2020 Cappuccio aveva pubblicato un post con toni simili. Quindi non si tratta di uno scivolone isolato, ma di un modo di pensare che si ripresenta e che si fa pubblico, ignorando le leggi e il rispetto per la dignità altrui.
Dopo la bufera social e mediatica, lo chef ha provato a spiegarsi: "Era solo uno sfogo", "Ho avuto brutte esperienze in passato", "Voglio solo gente normale". Ma qui il problema non è il tono, è il contenuto. Uno "sfogo" del genere, quando è pubblico e riguarda un’offerta di lavoro, non è solo inopportuno: è discriminatorio. Punto.
E per quanto si possa parlare di "tono colorito" o "linguaggio diretto", c’è un confine che non si può superare. Non si può escludere una persona da un posto di lavoro perché ha una certa opinione politica o perché è omosessuale. In Italia, questo è espressamente vietato. Non si tratta di "politicamente corretto", si tratta di legge.
Il diritto del lavoro italiano è molto chiaro: non si può discriminare nessuno, né in fase di selezione né durante il rapporto di lavoro, per motivi di sesso, orientamento sessuale, razza, religione, opinioni politiche o sindacali. L’articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori vieta ogni forma di discriminazione, e il Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs. 198/2006) estende questo divieto anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Inoltre, secondo il D.Lgs. 216/2003, che attua la direttiva europea 2000/78/CE, è vietata qualunque discriminazione in ambito lavorativo per motivi legati a religione, disabilità, età o orientamento sessuale. Chi viola queste norme può essere perseguito in sede civile, e in certi casi anche penale. E sì: anche un post su Facebook, se riferito a un'offerta lavorativa, può bastare a configurare una discriminazione.
Qualcuno potrebbe dire: "È solo un annuncio, nessuno è stato licenziato". Ma è proprio questo il punto: se chi assume inizia a selezionare i candidati in base alla loro sessualità o alle loro idee politiche, non siamo più in uno stato di diritto, ma in un ristorante a porte chiuse per chi "la pensa giusta". Non si tratta di "cancel culture" né di fare i moralisti: si tratta di difendere il principio secondo cui tutti hanno diritto alle stesse opportunità, senza essere giudicati per chi amano o per come votano. Questo non è solo buon senso: è la base della convivenza civile, ed è scritto nero su bianco nella legge italiana.
Conclusione
L’Italia ha tante eccellenze gastronomiche, e anche tanti bravi chef. Ma il talento ai fornelli non dà il diritto di trasformare la cucina in un fortino ideologico. Gli annunci di lavoro devono essere seri, rispettosi e – soprattutto – legali. Perché il lavoro è un diritto, non un premio riservato a chi rientra nei canoni personali (e piuttosto ristretti) di qualche datore di lavoro con la tastiera troppo veloce.
Ma per quale struttura lo chef in questione cerca personale? Per nessuna: pare sia stata una "boutade" spontanea. A che pro, ci chiediamo.
La Casa degli Spiriti, che sarebbe l'hotel a cui fa riferimento Capppuccio, non si trova in Trentino ma in Veneto, ed ha come executive chef Filippo Chignola. Questo il comunicato di smentita da parte della struttura: "La Casa degli Spiriti si dissocia nella maniera più assoluta dalle recenti dichiarazioni dello chef Paolo Cappuccio inerenti il post condiviso pubblicamente circa la ricerca di nuovi membri per la sua brigata in un albergo in Trentino. Giudichiamo, come Casa degli Spiriti, queste affermazioni discriminatorie e inaccettabili, diametralmente opposte dai valori della nostra realtà, sia ieri che oggi. Ci teniamo altresì a precisare che chef Paolo Cappuccio ha lavorato come executive chef nella nostra realtà oltre un decennio fa. La sua opinione è da ritenersi del tutto autonoma, estranea alla nostra attività e contraria alla nostra etica".
La proprietà "si dissocia da qualsiasi forma di discriminazione etnica, razziale, politica o sessuale. La Casa degli Spiriti, infatti, si fonda, fin dalla sua apertura 30 anni fa, su principi di inclusività, rispetto e accoglienza. Sempre validi sia nei confronti dello staff sia dei clienti. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone, senza alcuna distinzione. La Casa degli Spiriti ha come principio fondamentale quello della tutela dei propri dipendenti, e nemmeno lontanamente avallerebbe pregiudizi per sesso, etnia, orientamento di genere o politico".
E conclude: "Aggiungiamo inoltre, in maniera personale, il nostro parere sull’importanza di usare spazi pubblici come i social con responsabilità. È con questa consapevolezza che desideriamo esprimere la massima solidarietà a tutte le persone che si sono sentite colpite da queste parole. Messaggi divisivi e offensivi non devono essere associati né alla nostra storia né alla nostra personale visione del lavoro e del mondo".