
La scena è piuttosto comune ma, alla fine, talmente carica di frustrazione da far diventare i pasti dei campi di battaglia per molte famiglie: viene servito un piatto e il bimbo scuote la testa con un sonoro "Non lo voglio!". I genitori, di solito, a questo punto iniziano a chiedersi se è un capriccio, se hanno sbagliato qualcosa, se non sia solamente stanchezza quella del loro piccolo esploratore del gusto. Dietro quel "no, grazie" può nascondersi un fenomeno ben più sottile: la neofobia alimentare.
In questo articolo esploriamo insieme che cos’è la neofobia nei bambini, perché e quando emerge e, soprattutto, come puoi agire per accompagnare tuo figlio dalla resistenza alla curiosità, senza scenari apocalittici a tavola. Ti anticipo solo che ci vuole del tempo – tanto tempo – per capirne le dinamiche e smontarle!
Che cos’è la neofobia
Nel linguaggio comune capita di dire che un bambino è “schizzinoso” o “selettivo”, mentre tu l’unica cosa che sai è che ogni sera ti ritrovi a cucinare due piatti separati, uno per lui o uno per il resto della famiglia. Beh, la neofobia alimentare non è questo: va oltre il rifiuto di condividere le preparazioni casalinghe ma è una riluttanza specifica a provare alimenti nuovi o sconosciuti (o riproposti dopo tanto tempo e quindi per certi versi dimenticati).
Dal punto di vista evolutivo, questa è una reazione programmata: nei millenni passati, evitare un cibo sconosciuto poteva essere vantaggioso per la sopravvivenza. Oggi quella stessa tutela può invece diventare un ostacolo quando limita la varietà alimentare.
Caratteristiche principali
Non tutti i bambini che evitano alimenti proposti a pranzo e cena sono neofobici. Per potersi definire tale, infatti, il piccolo deve rifiutare un alimento che non ha mai conosciuto o che appare “diverso” (diversa forma, colore, consistenza) e farlo non solo una volta, ma ripetutamente.
Spesso i cibi rifiutati sono frutta, verdura, legumi, cioè alimenti stagionali, magari con sapori amarognoli o consistenze meno appetibili, in assenza di reazioni avverse: non si tratta quindi di un ricordo legato a un’allergia o intolleranza che impedirebbe al bimbo di riprovare con l’assaggio, ma di un atteggiamento che condiziona occasione dopo occasione.

Si tratta poi di una fase talmente comune nello sviluppo della personalità alimentare di ciascuno di noi che è evidente che non possiede puntualmente connotazioni patologiche, ma richiede attenzione se persiste, si estende ad alimenti da sempre accettati o compromette la qualità e la varietà della dieta.
È poi importante non confondere la neofobia con dei semplici e comuni capricci o con un vero disturbo alimentare, che richiede sempre supporto specialistico.
Perché è importante parlarne
Quando un bambino evita ripetutamente molti cibi nuovi, possono emergere due problemi principali:
- Riduzione della varietà alimentare: minore diversità significa potenzialmente meno fibre, vitamine, fitocomposti protettivi.
- Condizionamento della relazione cibo/genitori: se mangiare diventa un continuo tira-e-molla, può generarsi tensione a tavola che peggiora l’atteggiamento del bambino.
Quando inizia e perché
La neofobia alimentare tipicamente emerge quando il bambino acquisisce una maggiore autonomia ed ecco perché non la vediamo durante lo svezzamento. Nei primi 2 anni di vita, infatti, il piccolo tende ad accettare con relativa facilità alimenti nuovi, se presentati adeguatamente.
Il picco della neofobia si colloca tra i 2 e i 6 anni circa, con variabilità individuali e che dipendono dalla situazione socio-familiare: in uno studio italiano condotto dal CREA è emerso che una neofobia di grado elevato si accompagna a una minore aderenza alla Dieta mediterranea, suggerendo che gli alimenti proposti nella quotidianità e la modalità di consumo dei pasti abbiano ruoli di primo piano per l’instaurarsi e il perpetuarsi di questa situazione.

Perché accade: aspetti evolutivi, biologici e ambientali
Affrontiamo adesso le motivazioni alla base della neofobia: per praticità le ho divise in 3 filoni concettuali. Seguimi nel ragionamento:
- Aspetti evolutivi. Come accennato, dall’evoluzione deriva un meccanismo protettivo: un bambino autonomo, che si muove e assaggia, potrebbe incappare in cibi pericolosi. La neofobia pone un freno a questa "sperimentazione incontrollata". Però, in un contesto moderno e in cui vengono proposti alimenti sicuri per la crescita, quel freno può interferire con l’opportunità di esplorare gusti e consistenze.
- Fattori biologici e temperamento. Alcuni bambini hanno una maggiore sensibilità sensoriale: consistenze, odori, colori possono essere percepiti come più “invasivi” e attivare una reazione di rifiuto. Sembra esserci anche una componente genetica o, almeno, una certa ereditarietà del temperamento alimentare ed è per questo che la neofobia tende ad avere similitudini all’interno della famiglia.
- Fattori ambientali e familiari. Il modello genitoriale è importantissimo per i bambini: se mamma o papà sono anch’essi molto selettivi, ansiosi a tavola o manifestano forte resistenza al nuovo, il bambino tenderà ad adottare gli stessi comportamenti. Non è un caso, infatti, che il contesto alimentare (quante proposte diverse ci sono in ogni pasto? Quanto la famiglia utilizza rituali e coinvolgimento?) incida sensibilmente sull’instaurarsi e il mantenersi della neofobia. Inoltre, i figli unici sembrano presentare percentuali più elevate di neofobia rispetto a bambini con fratelli, probabilmente per la maggiore pressione a cui sono sottoposti in quanto non condividono le attenzioni con altri germani.
Come superare la selettività alimentare
Eccoci quindi arrivati al cuore dell’articolo: dopo aver definito la selettività alimentare è il caso di capire come gestirla e, poi, superarla. Seguimi perché ti propongo un vero e proprio percorso a tappe:
1. Riduci la pressione, aumenta la curiosità
È essenziale partire dal presupposto che forzare il bambino a mangiare un alimento nuovo raramente ottiene risultati positivi: può, invece, generare un rifiuto ancora maggiore. Al contrario, instaurare un momento di condivisione sereno favorisce l’apertura. Il bambino in questo clima rilassato – magari non subito ma dopo diverse esposizioni – osserva, annusa, tocca e assaggia e quell’esperienza diventa “meno sconosciuta”.
2. Esponi ripetutamente e con gradualità
Una delle strategie più efficaci è rendere familiare ciò che non lo è. Questo significa:
- Proporre lo stesso alimento in varie occasioni, con preparazioni differenti, ma senza nasconderlo o camuffarlo e, anzi, raccontando cosa si cela dietro quella polpetta di legumi o in quel pesto di verdure.
- Consentire l’esplorazione sensoriale – lascia che tuo figlio tocchi, annusi, veda il tanto temuto cibo prima che sia portato in tavola.
- Accettare che l’assaggio sia piccolissimo, un solo morso è più che sufficiente: mangiare quantità pari alle porzioni standard non è l’obiettivo iniziale di un percorso di reinserimento di alimenti per cui si è instaurata una certa selettività.

3. Coinvolgi il bambino nella preparazione
Un bambino che partecipa attivamente in cucina – fa la spesa con te, lava, mescola, assaggia – sviluppa un senso di avvicinamento e curiosità verso il cibo. Questo è importantissimo perché contribuisce a creare il piatto e ne è responsabile. Come conseguenza, sarà molto più propenso ad assaggiarlo.
4. Sii un modello per il tuo piccolo
I bambini imparano per imitazione. Mangiare insieme nello stesso tavolo, senza distrazioni dovute a tablet, cellulari, televisori è uno degli strumenti che favoriscono l’accettazione alimentare: vedere un genitore o un fratello che assaggia con piacere una ricetta stimola la fiducia verso il nuovo.
5. Diversifica più che puoi durante i primi assaggi
Mi rendo conto che questo punto potrebbe rappresentare un rimpianto per te che stai leggendo, e che quindi ti trovi già a dover gestire la fase della neofobia alimentare, ma non posso non aggiungerlo a questa mia lista pratica: la finestra 6-24 mesi è strategica per superare in scioltezza la neofobia.
Durante i primi assaggi, il bambino è più aperto e “allenabile” a preferire diversi gusti e molteplici consistenze: se in questi mesi si introduce una gran varietà – anche frutta e verdura tipicamente poco gradite come quelle amare o acide – si riduce la probabilità che la neofobia si manifesti con maggiore gravità negli anni successivi.
6. Quando preoccuparsi e chiedere supporto
Se il rifiuto riguarda quasi tutti gli alimenti, se il bambino perde peso, o se si manifesta disgusto intenso al punto da generare reazioni importanti (come vomito o mal di pancia) è opportuno valutare la situazione con il pediatra che indirizzerà il piccolo paziente a un dietista dopo l’inquadramento clinico. Questo è fondamentale per superare casi di neofobia alimentare particolarmente gravi.

7. Un modello quotidiano condiviso
Ti lascio una checklist che potrebbe aiutarti a gestire questo periodo di neofobia:
- Presenta un solo alimento nuovo per volta, accanto a cibi familiari e solitamente accettati.
- Non commentare dicendo di mangiare tutto, o di mangiare perché lo hai preparato appositamente per lui, o di mangiare perché fa bene: osserva, offri e lascia la scelta al tuo bambino.
- Siediti a tavola insieme al piccolo, senza pressioni, e assaggia anche tu lo stesso alimento.
- Invita il tuo bambino a interagire con l’alimento a più livelli: permetti che lo lavi, lo esplori, lo veda, lo tocchi, lo metta nel piatto.
- Non demordere se all’inizio la risposta è negativa: servono anche più di 10-15 esposizioni per iniziare ad accettare un alimento difficile.
- Mantieni un comportamento tranquillo: tavola = momento di piacere, esplorazione, scoperta.
- Celebra piccole vittorie senza farne un’ossessione.
Concludo adesso questo articolo come l’ho iniziato: la neofobia alimentare è una tappa normale nello sviluppo alimentare del bambino, ma può diventare una fonte di frustrazione se vissuta come battaglia quotidiana. Il mio messaggio è: non sei solo, puoi agire, con pazienza e “strategia”, per guidare tuo figlio verso una relazione più serena e varia con il cibo.
Verdiana, la Dietista delle famiglie