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26 Novembre 2025 10:43

Mostarda di Cremona: com’è fatta l’eccellenza lombarda e come usarla al meglio

Una specialità che arriva da lontano nel tempo e che vede protagonisti frutti misti interi o tagliati in grandi pezzi dalla consistenza soda, l'aspetto lucido dato dallo sciroppo di zucchero e un sapore piacevolmente piccante, tutto merito della senape. Andiamo alla sua scoperta.

A cura di Federica Palladini
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Succosa, colorata, lucida: difficile restare indifferenti alla mostarda di Cremona, racchiusa in barattoli di vetro trasparenti che ne esaltano l’estetica particolarmente golosa e barocca. La frutta candita intera o a pezzi grossi, dov'è sempre riconoscibile la materia prima, se ne sta immersa in uno sciroppo di zucchero che conferisce ad albicocche, ciliegie, fichi, pere, mele (e non finisce qui) il tipico aspetto brillante. Il tutto è completato dal caratteristico gusto dolce che scivola nel piccante, merito dell’aggiunta di gocce di essenza di senape.

Una preparazione che affonda le sue radici nel passato e che da tecnica per conservare più a lungo la frutta è diventata una vera e propria specialità regionale, già conosciuta, amata e regalata nel ‘500, tra i simboli della gastronomia natalizia lombarda. Si associa subito al bollito misto, ma non a uno qualunque: al Gran Bollito alla Cremonese, con ricetta depositata alla Camera di Commercio, che per tradizione è tra i maggiori protagonisti della tavola del Natale. Spazio poi a salumi e formaggi, per creare combinazioni perfette per i taglieri degli antipasti e degli aperitivi. Facciamo meglio la conoscenza della mostarda di Cremona, di cosa si tratta e come servirla per valorizzare tutta la sua bontà.

Mostarda di Cremona: una specialità antica

Come scrive Carla Bertinelli Spotti, esperta di storia della cucina e autrice di un volume tutto dedicato alla mostarda di Cremona, alimento che rientra sia nei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) lombardi, sia nella De.Co. (Denominazione di Origine Comunale) cittadina, la prima citazione che si ha della sua ricetta, simile a quella che si assaggia ancora adesso, risalirebbe al libro Ouverture de cuisine di Lancelot de Casteau, che nel 1604 è chef a servizio dei Principi Vescovi di Liegi e che, probabilmente, era arrivata nelle sue mani perché donata a dignitari e rappresentanti che arrivavano a Milano durante il periodo spagnolo, dato che anche l’attuale Belgio all’epoca era sotto il dominio della Spagna. Nel corso del tempo la mostarda cremonese compare in altri ricettari e nell’800 è apprezzata da personalità del calibro di Giuseppe Garibaldi (che la scambia con il miele di Caprera) e Giuseppe Verdi: nel suo Manuale del cuoco, Giuseppe Gorrini ne riporta la preparazione, ed esistono già aziende sul territorio che la producono per esportarla. Nel ‘900 la citano nei loro libri il giornalista Gianni Brera e l’attore Ugo Tognazzi, entrambi noti gourmand.

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La storia della mostarda, però, parte ben prima del XVII secolo, da quando gli speziali dei conventi medievali misero a punto un modo per conservare la frutta nei lunghi inverni: il termine mostarda, infatti, deriva dal latino mustum ardens, ovvero mosto ardente, un preparato a base di succo d’uva bollito arricchito da semi di senape, più o meno piccante a seconda che si trattasse di senape bianca (Sinapis alba) o senape bruna (Brassica nigra). Nella cultura d’oltralpe, con la parola moutard si è poi indicata la senape intesa come salsa, ed è per questo che le due specialità culinarie possono confondersi. In Italia, invece, con mostarda si tende a definire una conserva che contiene la frutta, dove il mosto e la senape possono essere ingredienti facoltativi, generando tantissime varietà nazionali, da quella cremonese, passando per la mantovana, la veneta o la piemontese, tra le più popolari.

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Un’eccellenza da scoprire

La mostarda di Cremona è diventata una delle più celebri grazie al suo aspetto molto invitante, visto che rispetto alle altre che vogliono la frutta ridotta in pezzetti più piccoli o in purea, qui resta intera, con varietà miste perfettamente distinguibili tra loro. Molto simile come lavorazione è la mostarda di Voghera, due prodotti che vanno di pari passo: da documenti storici, il Duca Gian Galeazzo Visconti la richiedeva nel 1397 alludendo a una “mostarda de fructa cum la senavra” – il termine dialettale della senape – realizzata da uno speziale di Voghera. Probabilmente la mostarda era diffusa in Lombardia e in tutto il Nord Italia: nel corso dei secoli alcune tipologie hanno avuto più successo commerciale di altre, specialmente quelle che legano la loro produzione a livello industriale, responsabili di una maggiore diffusione: nel cremonese, tra le aziende più conosciute compaiono Sperlari, Vergani e Fieschi, che condividono anche la realizzazione del torrone, altra icona della città. Per portare avanti la tradizione, la ricetta della Mostarda tradizionale di Cremona prevede una sorta di disciplinare che ne circoscrive gli ingredienti e i passaggi: le materie prime adoperate sono frutta (albicocche, ciliegie, fichi, mandaranci, prugne, melone, anguria bianca, pere, pesche, mele, cachi, ananas, mandorle candite, bucce di cedro) e verdura (zucca), acqua, zucchero e senape, dalle 6 alle 10 gocce. La frutta, giunta alla corretta maturazione, può essere parzialmente già candita e, regola ferrea, deve mantenere ed esaltare il suo colore naturale: unica eccezione sono le ciliegie, a cui si può aggiungere del colorante non artificiale dato che perdono il loro rosso.

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Come gustare la Mostarda di Cremona

La mostarda, una volta assaggiata, non si dimentica: la frutta è cedevole, ma soda (non si spappola, per farci capire) al morso, è pungente, quasi “frizzantina” e la parte di sciroppo, più o meno fluida in base alle scelte del produttore, concentra note morbide e dolciastre. Non è un caso, quindi, che l’ex sindaco di Cremona, Gian Carlo Corada, storico e filosofo, la descriva così: “Grazie alla senape che pizzica fa parte di quei prodotti come il vino e il caffè che rendono vivaci e intelligenti, combattendo la noia”.

Basta un po’ di mostarda, infatti, per dare carattere alle carni del bollito, proprio come fanno salsa verde e cren, utili anche a sgrassare il salame da pentola (un insaccato di maiale fresco che si usa in quello alla cremonese) o il cotechino. Si abbina perfettamente al pollo, al maiale e alla selvaggina, che ben si sposano con l’agrodolce. Via libera ai salumi e ai formaggi, sia quelli morbidi dal sapore delicato, sia quelli sapidi stagionati (grana, pecorino…), compresi gli erborinati: qualche frutto tagliato a listarelle, per esempio, è il tocco finale per un risotto mantecato con robiola, caprino o gorgonzola, così come su crostini con brie e prosciutto crudo. Mostarda e mascarpone sono un abbinamento da mettere in tavola a Natale o a San Silvestro, serviti su tartine, ottimi a fine pasto con l’assiette di formaggi. Da ricordare che il sapore e l’aroma della mostarda sono intensi e, quindi, non serve esagerare: assaggia e dosa a seconda delle tue preferenze.

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