Consumare le cozze crude è generalmente sconsigliato, nonostante siano considerate una vera e propria prelibatezza: questi molluschi bivalvi accumulano sostanze potenzialmente pericolose, che solo la cottura può eliminare (quasi) completamente.
Le cozze, conosciute anche come mitili, sono molluschi bivalvi (come le vongole, le ostriche e le capesante) molto apprezzati in cucina per il loro sapore intenso e la loro versatilità: dagli spaghetti all’impepata, passando per risotto e sauté, sono protagoniste di ricette tradizionali e creative. Si tratta di frutti di mare che si trovano facilmente in pescheria, nei mercati e al supermercato: vivono ancorate alle rocce (oppure a supporti artificiali per alcuni esemplari di allevamento) e si nutrono filtrando l’acqua marina, trattenendo le particelle presente nell’ambiente, comprese quelle dannose. Non è un caso che le cozze siano utilizzate per il controllo dell’inquinamento delle acque e, al tempo stesso, che questa caratteristica biologica le renda un alimento particolarmente delicato dal punto di vista igienico-sanitario, soprattutto quando consumate crude. Mangiare i molluschi crudi, in alcune tradizioni regionali, basti pensare alla Puglia, rappresenta un gesto di autenticità gastronomica, ma può rivelarsi pericoloso per la salute, per via della contaminazione da parte di batteri, virus e tossine nocive che abbondano nel mare.
Diciamolo subito: mangiare cozze crude espone al rischio di ingestione di microrganismi patogeni e tossici che possono provocare sia disturbi gastrointestinali che vanno dalla lieve entità alle conseguenze gravi, ma anche malattie. Il loro apparato filtrante può accumulare agenti infettivi come la Salmonella, l’Escherichia coli, ma anche virus come il Norovirus e l’epatite A. Quando ingeriti attivi, quindi ancora vivi, possono essere la causa di sintomatologie come nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, febbre e, in determinate circostanze, avere ripercussioni più serie, in particolare se assunti da soggetti fragili come anziani, bambini e persone immunodepresse.
Come arrivano nel mare (e nei fiumi) queste sostanze nocive? Nella maggior parte dei casi ci finiscono perché trasportati dalle acque di scarico provenienti dalle città e, in generale, dai centri abitati, che contaminano così le aree costiere, habitat d'elezione delle cozze: i mitili assorbono plancton e altri organismi vegetali per nutrirsi e, contemporaneamente, accumulano batteri e tossine, senza dimenticare microplastiche e metalli pesanti, uno su tutti il piombo.
Le cozze destinate al consumo umano devono obbligatoriamente provenire da zone di pesca di banchi selvaggi o di allevamento certificate e sottoposte a controlli sanitari regolari, come previsto dalle normative europee. La legge individua e classifica il livello di inquinamento delle acque in cui vivono questi molluschi in tre categorie A, B e C, prendendo come indicatore sanitario la concentrazione di Escherichia coli e di Salmonella rintracciate nella loro polpa: prima di essere immesse sul mercato, i mitili in cui vengono riscontrati alti livelli di microrganismi potenzialmente pericolosi sono sottoposti a un processo di depurazione al fine di ridurre la carica microbica: vengono posti in vasche con acqua pulita continuamente filtrata e sterilizzata per renderli adatti alla vendita e, quindi, a essere portati in tavola.
Come anticipato, il rischio principale è legato alle intossicazioni alimentari che coinvolgono l’apparato gastrointestinale, ma anche al fatto che le cozze possono essere vettori di malattie, una su tutte l’epatite A. Si tratta di una patologia virale trasmissibile attraverso alimenti contaminati da residui di feci, in particolare i frutti di mare crudi o poco cotti, che corrisponde a una infiammazione del fegato.
Da non sottovalutare le violenti gastroenteriti causate da infezioni da Norovirus, con sintomi che si manifestano tra le 12 e le 48 ore, ovvero il tempo di incubazione del virus: ecco quindi nausea, vomito, crampi addominali e diarrea. All’elenco si aggiungono altre infezioni come febbre tifoide, salmonellosi e persino Vibrio cholerae, ovvero colera.
Da considerare i rischi che potrebbero derivare dalle cosiddette alghe tossiche, che da fenomeno tropicale negli ultimi anni ha iniziato a interessare anche le nostre coste: si tratta di microalghe che producono delle sostanze chiamate palitossine, presenti in molluschi e crostacei che si nutrono di questi vegetali. Nell’uomo possono dare il via ai classici sintomi da gastroenterite. Infine, è da includere anche il fattore chimico: le cozze, come visto, possono accumulare metalli pesanti (come mercurio, piombo, arsenico e cadmio), oltre a microplastiche, elementi inquinanti che vengono metabolizzati dal nostro organismo.
In primo luogo, è necessario acquistare solo cozze che riportano chiaramente in etichetta la data di raccolta, il luogo di provenienza, e indicazioni sul confezionamento. Evita assolutamente i frutti di mare venduti sfusi e senza informazioni da cui è possibile verificare la tracciabilità e lo stato sanitario. Quando le compri assicurati che siano freschissime, con il guscio integro e di un certo peso, sinonimo che il mollusco è ancora all’interno della sua acqua di vegetazione: consumale nel giro di 24 ore, conservandole in frigorifero nella rete che le contiene. L’unico modo per mangiare le cozze in sicurezza è quello di cuocerle (devono raggiungere almeno i 100 °C), in quanto la pericolosità degli agenti patogeni viene ridotta quasi completamente (anche se non del tutto) con le alte temperature. In conclusione, non credere ai falsi miti popolari: il succo di limone spruzzato sulla cozza cruda non ucciderà come per magia questi nemici della salute.