video suggerito
video suggerito
rubrica
Immagine
Assetati
29 Gennaio 2023 15:00

La storia della Chartreuse, il liquore del 1600 la cui ricetta è nota solo a 3 monaci

Supervisionato dai monaci della certosa e frutto di una ricetta segretissima, la Chartreuse è forte, invitante e misterioso. Proprio come la sua storia, antica e avvolta di misteri.

A cura di Martina De Angelis
96
Immagine

C'era una volta un monastero tra le montagne, abitato da un gruppo di monaci che, dal 1605, iniziarono a creare con le loro mani un difficilissimo liquore a base di 130 erbe diverse e che, ancora oggi, producono lo stesso liquore mantenendo la ricetta segreta.

No, non è una favola dei fratelli Grimm, ma la storia della Chartreuse, uno dei liquori più celebri del mondo, nominato da Frank Zappa in uno dei suoi brani (Fifty-Fifty, 1973) e drink preferito di Quentin Tarantino, ma anche dell'ultimo Zar di Russia Nicola II, che chiamò la Chartreuse gialla “Reine Des Liqueurs” (regina dei liquori). Potreste averlo visto giallo o verde, ma in entrambi in casi vi siete trovati di fronte a una vera rarità. Nonostante il suo grandissimo successo mondiale, infatti, – oggi viene usato per creare molto cocktail famosi – la Chartreuse viene prodotta in quantità ridotte nella distilleria a Voiron, sotto stretta supervisione dei monaci. E come è tradizione da 400 anni, la ricetta rimane occulta e segretissima, e viene tramandata di 3 monaci in 3 monaci solo alla scomparsa dei tenutari.

Storia della Chartreuse: quando e come nasce il liquore più celebre di Francia

Non è facile ricostruire la storia della Chartreuse, perché è avvolta dal mistero proprio come il suo processo produttivo. Tutto nasce nella certosa Grande Chartreuse di Voiron, situata nelle prealpi della Chartreuse in Francia meridionale, dove dal 1084 i frati Certosini passano la loro esistenza in una vita semplice fatta di silenzio, lavoro e preghiera.

Tutto cambia 600 anni dopo, nel 1605, quando un altro gruppo di padri Certosini dell'abbazia di Vauvert a Parigi rinvennero un manoscritto misterioso, di cui tutt'oggi nessuno conosce l'origine. Conteneva una ricetta estremamente complessa, che secondo l'iscrizione avrebbe portato a realizzare un elisir di lunga vita. Il prezioso ritrovamento viene spedito alla Grande Chartreuse di Voiron, e i nostri frati lì iniziano a studiare un modo per ricreare quell'incredibile preparazione.

E non fu un lavoro facile: i Certosini impiegarono ben 159 anni a sviluppare una ricetta quasi perfetta da quel manoscritto, arrivando a ideare ben due varianti di liquore, quello verde originale e quello giallo. Dal 1840 le due ricette divennero definitive, e sono proprio quelle a essere tramandate tutt'oggi.

Immagine

Nonostante la riuscita dell'impresa dei Certosini, la produzione della Chartreuse non ha avuto vita facile. Per un periodo, vista la complessità, il liquore fu prodotto a Grenoble (1764), poi venne restituita ai monaci del complesso di Voiron, mentre per in seguito alla cacciata dei Certosini dalla Francia nel 1903 venne spostata a Tarragona, in Spagna, dove rimase fino al 1929.

Solo a quel punto la Chartreuse torna a casa, in Francia: prima a Fourvoirie e poi di nuovo a Voiron, dove oggi la sua realizzazione è una vera missione per i Certosini, che gestiscono in prima persona la realizzazione nella nuova distilleria, la cantina di liquori col maggior sviluppo orizzontale al mondo (164 m).

La Chartreuse oggi: produzione industriale, ma ricetta ancora segretissima

Proprio come 400 anni fa, il liquore Chartreuse rimane appannaggio dei frati Certosini: eccetto qualche persona laica di un'associazione, sono loro a gestire tutta la produzione, dalla raccolta delle erbe fino all'invecchiamento. Sì perché questo è l'unico liquore che viene lasciato invecchiare, una delle caratteristiche che lo rendono più che unico,

La vera ricetta per intero, però, la conoscono solo tre monaci, e solo loro possono raccogliere e scegliere le circa 130 erbe e spezie che compongono il liquore, così come sono loro a metterne la quantità esatta di ognuna dentro a dei sacchi che solo a quel punto, dal monastero, vengono mandati alla distilleria per la lavorazione.

E se credete che l'immenso successo della Chartreuse abbia cambiato lo spirito dei Certosini, vi sbagliate di grosso. Nonostante l'altissima richiesta, le bottiglie prodotte si aggirano intorno a un milione e mezzo l'anno, molto meno della richiesta mondiale del liquore. Ai monaci va bene così, per loro non è un business ma una vera missione da portare avanti per il sostentamento del loro monastero tra le montagne.

Immagine

Gusto e tipologie di Chartreuse, e come abbinarlo in cucina 

Non è un liquore per tutti, la Chartreuse: ha un grado alcolico molto alto, dai 40 ° ai 69 ° e un sapore caratteristico forte, molto dolce ma con note pungenti e speziate, e che varia a secondo della temperatura di servizio.

I monaci ne hanno sviluppato due tipologie diverse: la Chartreuse Verde e la Chartreuse Gialla, entrambe realizzate con le stesse erbe ma in quantità diverse, in modo da rendere la prima più alcolica della seconda. Anche il sapore è differente, con la Verde che è più erbacea e la seconda più balsamica, quasi dolce. Entrambe sono ottenute da un invecchiamento che si attesta tra gli otto e i dieci anni, anche se ovviamente nessuno lo sa con precisione.

Esiste anche l'Elisir vegetale della Grande-Chartreuse, il primissimo liquore a essere nato e che viene prodotto senza essere invecchiato, soprattutto per uso interno al monastero. Ancora oggi, infatti, i Certosini lo utilizzano per scopi medicinali, soprattutto per sistemare il metabolismo.

Per via del suo sapore così particolare, la Chartreuse  non è facile da abbinare in cucina: tra tutte le pietanze, si sposa bene in particolare ai dolci e alla frutta. Di solito si gusta freddo a fine pasto, oppure si usa come ingrediente per cocktail come Last Word, Chartreuse Swizzle e Bijou, ma solo nel quantitativo di pochissime gocce visto quanto è deciso il suo aroma.

Immagine
A cura di
Martina De Angelis
Giornalista laureata e “tesserata”, amo prima di tutto mangiare: datemi un piatto di pasta e mi renderete una donna felice. Scrivere di cibo è la naturale conseguenza, l’unione di due grandi passioni. Soprattutto, amo raccontare le storie che ci sono oltre il piatto o l’ingrediente. Quando non scrivo, ho una passione viscerale per la lettura, adoro viaggiare, suonare il pianoforte e perdermi tra boschi e montagne.
Immagine
Quello che i piatti non dicono
Segui i canali social di Cookist
96
api url views