
C’è chi lo definisce la “pizza della Georgia”, chi una focaccia e chi un pane al formaggio: letteralmente, khacho vuol dire formaggio e puri pane, ma, effettivamente, la stessa etimologia sembrerebbe non bastare per descrivere il khachapuri, piatto nazionale georgiano, che nel corso degli ultimi anni ha visto varcare i confini del Caucaso per arrivare fino in Italia, dove ormai è entrato a far parte del grande universo dello street food, perfettamente a suo agio tra quegli alimenti semplici ed economici che si legano in modo profondo alla cultura di un paese.
Nato come cibo delle feste e delle ricorrenze religiose, il khachapuri spicca quotidianamente nelle panetterie delle grandi città così come nei piccoli centri della Georgia (e non solo): le sue origini non si fanno risalire a un’unica regione, perché sia lungo le coste sia sulle montagne sono state rinvenute testimonianze di questa specialità. Il khachapuri è diventato persino uno strumento di misurazione economica: dal 2010 l’ISET Policy Institute di Tbilisi calcola mensilmente il cosiddetto Khachapuri Index, ispirato al più noto Big Mac Index ideato nel 1986 dalla rivista The Economist. L’idea è quella di monitorare l’inflazione e il potere d’acquisto dei georgiani misurando quanto costano gli ingredienti per prepararlo. Non ci resta che fare meglio la sua conoscenza.
Che cos’è il khachapuri
Chi lo ha provato difficilmente lo dimentica: il khachapuri è piacere gastronomico molto amato dagli stessi georgiani, capace di portare nel presente (e anche nel futuro) l’anima più tradizionale di un popolo che per molti secoli ha basato la sua economia sulla pastorizia, l’allevamento e sui prodotti lattiero caseari.
Non è un caso, infatti, che questo pane farcito possa essere stato concepito come un modo per utilizzare il formaggio in surplus, avendolo così a disposizione per tempo maggiore. Ingegno contadino utile alla sopravvivenza e per non sprecare cibo. D’altronde gli ingredienti base del khachapuri sono pochi e facili da reperire: farina, acqua o latte, sale, lievito e talvolta olio vegetale per l’impasto (che può essere spesso o più fine), mentre la farcitura vede protagonisti due formaggi locali, da usare insieme o separatamente, ovvero il sulguni, a pasta filata, realizzato con latte di vacca, di bufala o in un mix mucca-capra, piacevolmente salato (e a volte affumicato), e l’imeruli (che prende il nome dalla regione centrale dell’Imerezia), vaccino, più morbido, quasi spugnoso, e delicato.
Nell'Ajaruli Khachapuri (una delle varianti più conosciute), si aggiunge un uovo crudo sopra al formaggio prima della cottura, così che durante la preparazione l'uovo cuocia parzialmente. Una volta pronto, si mescola l'uovo con il formaggio caldo per ottenere una consistenza cremosa.

All’estero, visto che non è semplice trovarli, si utilizzano al loro posto mozzarella, feta, primosale e stracchino, che si avvicinano per gusto e texture. Il tutto viene cotto in forno (un tempo si trattava di soli forni a legna), creando così uno scrigno dal cuore sostanzioso e filante.
Alla scoperta delle varianti regionali più famose
Ma com’è fatto il khachapuri? Uno dei lati più affascinanti è la sua capacità di cambiare forma e sapore senza perdere la sua identità. Non ne esiste, infatti, una sola ricetta e versione, ma molteplici interpretazioni che riflettono la zona di origine e le consuetudini di famiglia.
Nessun dubbio su quale sia la più famosa al mondo, merito della sua estetica accattivante, golosa e vagamente “giocosa”. Stiamo parlando dell’Adjaruli khachapuri, tipica dell’Adjara, regione situata a sud-ovest, che si affaccia sul Mar Nero. Si presenta come una barchetta, con i bordi arrotolati verso l’interno che contengono un ripieno di entrambi i formaggi fusi. Una volta estratta dal forno, viene guarnita al centro con un uovo crudo aperto a occhio di bue e una noce di burro: a contatto con il calore, si crea un composto cremoso irresistibile in cui intingere la crosta. Un piatto particolarmente scenografico che si può realizzare con la feta e la mozzarella, scegliendo le farciture che più piacciono, per esempio con pomodori, funghi ed erba cipollina a seconda della stagione. La variante che in patria è considerata la più popolare – quella, per dire, che viene presa come riferimento del sopracitato Khachapuri Index – è l’Imeruli khachapuri: l’aspetto è quello tradizionale di una focaccia rotonda (ed è qui che entra in gioco la somiglianza con la pizza), con due dischi di impasto semplicemente arricchiti all’interno con l’omonimo formaggio, sovrapposti e sigillati prima di essere infornati.

Dalla provincia storica della Mingrelia, conosciuta anche come Samegrelo, invece, ecco che arriva il Megruli khachapuri. Ci troviamo a nord-ovest del paese, dove il pane, sempre tondeggiante, diventa ancora più ricco di formaggio, perché quest’ultimo viene messo sia all’interno dell’impasto sia fuori, per creare una superficie dorata, croccante e filante. In Ossezia, ancora, il Khabidzgina khachapuri si riempie di patate schiacciate con il burro e il formaggio, come una sorta di purè compatto, mentre tra i monti della Svanezia il formaggio si accompagna al cipollotto sotto il segno dello Svaneti khachapuri.

Menzione a parte meritano altre tre variazioni sul tema: la prima si chiama Gurian Khachapuri e si caratterizza per essere a forma di mezzaluna, con un ripieno di uova sode intere e si consuma una volta all’anno in occasione delle celebrazioni del Natale Ortodosso; la seconda è quella del Penovani khachapuri, con la pasta sfoglia che sostituisce la pasta lievitata; terzo e ultimo è il Mokhrakuli khachapuri, che non si cuoce al forno, ma si frigge in padella, risultando pratico e veloce. Tutte da provare.
