
Il vino italiano è oggi sinonimo di eccellenza, varietà e tradizione, ma la sua fama internazionale è relativamente recente e, soprattutto, non è nata per caso. Un tempo, la reputazione del vino italiano era molto diversa da quella odierna: gran parte dei produttori puntava su prodotti di qualità medio-bassa e utilizzava prezzi stracciati come unica leva di vendita.
Alcune etichette, a partire dal dopoguerra, hanno avuto un ruolo decisivo nel portare il gusto e la cultura enologica italiana oltre i confini nazionali, trasformandosi in veri ambasciatori del Made in Italy. Dietro ogni bottiglia c’è una storia fatta di scelte coraggiose, di innovazioni tecniche e di intuizioni che hanno saputo intercettare i gusti di epoche diverse; c’è chi ha puntato sull’eleganza dei bianchi, chi ha reso popolare un vino frizzante e accessibile, chi ha osato sfidare le regole del Chianti e chi ha dimostrato che l’Italia poteva competere con i grandi rossi francesi.
Oggi ripercorriamo alcune delle tappe di questa avventura, raccontandoti la storia dei cinque vini italiani che hanno cambiato la percezione del nostro vino nel mondo.
Soave Bolla, il primo ambasciatore
La storia del vino italiano all’estero comincia con la Cantina Bolla, fondata nel 1883 a Soave da Alberto Bolla. Nel 1947, in un momento in cui il vino italiano era praticamente sconosciuto fuori dai confini nazionali, la cantina decise di esportare sistematicamente negli Stati Uniti. Fu una scelta coraggiosa che aprì un varco storico: il Soave Bolla divenne il primo grande ambasciatore del Made in Italy nel dopoguerra. La consacrazione arrivò nel 1959, quando Frank Sinatra dichiarò di non voler sedersi a tavola senza una bottiglia di Soave Bolla: un episodio che rese questo bianco veneto un simbolo di italianità.
Il Lambrusco di Cantine Riunite, la conquista di massa
Se il Soave aveva sedotto l’élite, il Lambrusco di Cantine Riunite portò il vino italiano nelle case della classe media. Nato come cooperativa nel 1950 nel Reggiano, Cantine Riunite, come suggerisce il nome, riuniva migliaia di piccoli produttori. Nel 1969 furono spedite le prime casse di Lambrusco negli Stati Uniti e in pochi anni divenne il vino importato più venduto nel Paese. La celebre campagna pubblicitaria “Riunite on Ice, That’s Nice” degli anni Settanta e Ottanta trasformò un prodotto regionale in un fenomeno globale. Nel 1985 raggiunse il record di 11,5 milioni di casse vendute. Criticato per la sua dolcezza, ma amato per la sua immediatezza e facilità di consumo, il Lambrusco di Cantine Riunite rese il vino italiano accessibile a tutti.
Pinot Grigio di Santa Margherita, la rivoluzione del bianco premium
Nel 1961 il conte Gaetano Marzotto, alla guida della cantina Santa Margherita, fondata nel 1935, introdusse una vinificazione innovativa: eliminò il contatto tra bucce e mosto, creando un Pinot Grigio bianco brillante e fresco, diverso dal tradizionale “ramato”, che fermentava invece a contatto con le bucce. Nel 1979, una degustazione alla cieca lo incoronò miglior vino bianco d’Italia, spalancando le porte del mercato americano premium. Posizionato a un prezzo doppio rispetto alla media, il Pinot Grigio Santa Margherita divenne un’icona globale, apprezzata da celebrità e consumata oggi in oltre 90 Paesi. La sua più grande conquista? Allontanarsi dall'idea del vino come parte integrante della dieta e posizionarsi come un piacere di cui godere in un qualunque momento della giornata – in perfetta coerenza con l'idea di vino del consumatore americano all'epoca.

Sassicaia, l’esperimento che conquistò il mondo
Il Sassicaia, prodotto dalla Tenuta San Guido, nacque negli anni Quaranta dall’intuizione del marchese Mario Incisa della Rocchetta, che piantò Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc a Bolgheri, ispirandosi ai grandi rossi francesi prodotti a Bordeaux. Per vent’anni rimase un vino privato, finché nel 1968 fu finalmente commercializzato; tuttavia, la svolta arrivò solo nel 1978, quando il Sassicaia annata 1972 vinse una degustazione internazionale organizzata da Decanter, battendo i più prestigiosi rossi bordolesi.
Nel 1992 Robert Parker gli assegnò 100 punti: era la prima volta che un vino italiano riceveva il massimo del punteggio dal famoso critico americano, capace di influenzare le scelte di milioni di consumatori. Il Sassicaia dimostrò che l’Italia poteva competere con i grandi rossi francesi, inaugurando la stagione dei fortunatissimi "Super Tuscan".
Il termine Super Tuscan non è una denominazione ufficiale, ma un’etichetta giornalistica che ha finito per identificare vini della zona di Bolgheri, spesso ottenuti da Sangiovese mescolato con vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc o Merlot, e affinati in barrique.
Tignanello, il manifesto della ribellione
Il Tignanello, creato nel 1971 dai Marchesi Antinori, rappresenta una rivoluzione consapevole contro le regole del Chianti Classico: fu infatti il primo Sangiovese ad affinare in barrique (piccole botti) francesi, il primo vino a mescolare Sangiovese con Cabernet Sauvignon e a escludere le uve bianche dal blend. Queste scelte, allora vietate dal disciplinare, portarono il Tignanello 1971 a essere declassato a “Vino da tavola della Toscana”, un’etichetta umile che non rendeva giustizia alla sua qualità. Difatti, quando uscì sul mercato, nel 1974, il successo fu immediato e travolgente: Il suo impatto fu tale da costringere le autorità italiane a rivedere il sistema di classificazione, portando alla nascita della denominazione Igt nel 1992. Oggi il Tignanello è un’icona globale, simbolo di innovazione, lungimiranza e coraggio.

Ruffino, tradizione e nostalgia
La storia di Ruffino comincia nel 1877, quando due cugini, Ilario e Leopoldo Ruffino, fondarono la cantina a Pontassieve, vicino Firenze. Fin dall’inizio l’obiettivo fu quello di produrre un Chianti capace di rappresentare la Toscana nel mondo. Negli anni del dopoguerra, la cantina divenne protagonista dell’esportazione del Chianti Classico negli Stati Uniti, contribuendo a far conoscere il vino italiano oltre oceano.
La Riserva Ducale Oro, introdotta nel 1947, fu una delle prime etichette di Chianti Classico a conquistare il mercato americano; l'etichetta dorata divenne un simbolo visivo immediato di prestigio e affidabilità: negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta era onnipresente nei ristoranti italiani d’America, diventando il vino che i clienti cercavano e ordinavano.

Grazie a Ruffino, il Chianti non fu più percepito come un vino locale, ma come un rosso toscano di riferimento internazionale. La diffusione della Riserva Ducale Oro consolidò l’immagine del Chianti come vino premium e contribuì a rafforzare la reputazione del Made in Italy nel settore enologico. Ancora oggi, Ruffino è considerata una delle cantine che hanno avuto un ruolo decisivo nel trasformare il Chianti in un’icona globale.
I vini italiani più famosi oggi
E oggi? Il panorama odierno è sicuramente molto diverso, ma continua a essere dominato da etichette capaci di interpretare i gusti contemporanei. Alcuni vini che hanno fatto la storia all’estero restano protagonisti, mentre nuove tendenze hanno ampliato la reputazione del Made in Italy.
A livello quantitativo, il Prosecco è oggi il leader assoluto: nel 2024 sono stati esportati oltre 414 milioni di litri, diventando la bollicina italiana più richiesta al mondo. La sua forza deriva soprattutto dalla capacità di offrire un vino fresco, versatile e accessibile, perfetto sia per l’aperitivo che per accompagnare pasti leggeri: la combinazione di prezzo competitivo, gusto immediato e ampia disponibilità lo ha reso un simbolo globale dello stile italiano.
Il Chianti rimane un pilastro a livello di esportazioni, con decine di milioni di bottiglie distribuite ogni anno in oltre 160 Paesi: un rosso che continua a farsi bandiera della Toscana nel mondo.
Il Lambrusco, dopo il boom internazionale degli anni Settanta e Ottanta, ha perso parte della sua immagine glamour ma continua a essere uno dei vini italiani più esportati, apprezzato per la sua freschezza frizzante e per il carattere conviviale. Oggi mantiene una presenza significativa nei mercati internazionali, soprattutto come vino accessibile e popolare.
Asti Spumante e Moscato d’Asti guidano invece il segmento dei vini dolci e aromatici, con una produzione che supera i 90 milioni di bottiglie l’anno; il Moscato, in particolare, sta vivendo una nuova stagione di successo in Asia, dove conquista i consumatori grazie alla sua bassa gradazione alcolica e al gusto fruttato.
Se invece prendiamo in considerazione la riconoscibilità e il prestigio, è impossibile non menzionare i grandi rossi piemontesi. Barolo e Barbaresco sono considerati le “blue chip” del fine wine: vini longevi, capaci di evolvere per decenni e di raccontare con eleganza il Nebbiolo. Non a caso sono ricercati dai collezionisti e protagonisti delle aste internazionali, dove alcune annate storiche raggiungono quotazioni da record. La loro presenza è fortissima in mercati come Stati Uniti, Canada e Nord Europa, dove rappresentano il volto più aristocratico del vino italiano.

Accanto a loro, il Brunello di Montalcino è diventato una vera bandiera della Toscana e dell’Italia nel mondo. Nato come vino di nicchia, ha saputo imporsi grazie alla sua struttura e alla capacità di invecchiamento, tanto da essere oggi uno dei rossi italiani più riconosciuti a livello globale; in mercati come Giappone e Regno Unito è considerato sinonimo di qualità assoluta, mentre negli Stati Uniti è spesso presente nelle carte dei ristoranti di alto livello. Alcune etichette storiche, come quelle della cantina Biondi Santi, hanno contribuito a costruire il mito del Brunello, rendendolo un punto di riferimento per chi cerca un vino che unisca tradizione e prestigio.
Questi rossi, insieme ai Super Tuscan, hanno consolidato l’immagine dell’Italia come terra capace di produrre vini da collezione e da investimento, dimostrando che la nostra enologia non è solo varietà e convivialità, ma anche eccellenza riconosciuta nei circuiti più esclusivi.