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10 Maggio 2024 11:00

I limiti delle certificazioni equo e solidale per il cioccolato

Il cioccolato è uno dei piaceri della vita, ma a volte richiede un grande costo sociale e ambientale. Per questo sono nate delle certificazioni che ne assicurino la provenienza e la produzione nel rispetto dei diritti di tutti, certificazioni che devi conoscere per imparare ad acquistare in modo consapevole.

A cura di Martina De Angelis
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Non c'è niente di più buono del cioccolato, che sia in tazza o in tavoletta, dentro un dolce o in praline. Nonostante sia delizioso e irresistibile, questo alimento ha anche un lato "oscuro" che riguarda la sua produzione: le coltivazioni di cacao avvengono in paesi come Ghana, Camerun, Nigeria, Madagascar e Costa d’Avorio e questo vuol dire, purtroppo, che spesso non vengono rispettati né gli standard ambientali né quelli sociali richiesti per preservare il pianeta e garantire il rispetto dei lavoratori.

Si è assistito a lungo a deforestazioni di intere aree per fare spazio alle piantagioni di cacao, così come a lavoratori sottopagati e sfruttati, se non addirittura in età minorile. Proprio nell'ottica di assicurare all'acquirente che il cacao, e quindi il cioccolato, provengano da una produzione controllata sono nati dei programmi che rilasciano le certificazioni di equo e solidali.

Ti sarà capitato di leggere sulla convenzione nomi come Fairtrade, Rainforest Alliance o cioccolato biologico: sono alcune delle certificazioni più popolari, che dovrebbero assicurare l'acquirente attento agli impatti sociali e ambientali del prodotto che acquista. Ma per assicurarti di sapere davvero cosa stai acquistando è bene che impari a conoscere il vero significato dietro a queste etichette, in modo da conoscerne anche gli eventuali difetti. Sì perché, anche se le certificazioni dovrebbero essere una tutela per tutti spesso non sono sufficienti a migliorare significativamente le pratiche del settore.

Cosa vuol dire cioccolato ecosolidale

Facciamo un passo indietro: cosa vuol dire, precisamente, cioccolato ecosolidale? In realtà è un termine che fa parte di un concetto più ampio, ovvero quello del commercio equo e solidale, di cui si comincia a parlare da circa metà degli anni Ottanta.

Nella Carta Europea dedicata al commercio equo e solidale si legge che: “Il Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori”.

L'idea, quindi, è quello di creare un marchio distintivo che certifichi che determinati prodotti vengano prodotti secondo condizioni di lavoro eque e che rispettino l'ambiente. Il primo brevetto di questo genere nasce nel 1988 ed è di “Stichting Max Havelaar” organizzazione dei Paesi Bassi per la promozione del marchio Max Havelaar, che istituisce un registro dei produttori di caffè e che concede l’uso del suo marchio agli importatori e distributori di caffè che si impegnano a rispettare e regole del Commercio Equo.

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Il modello prende piede e si diffonde sempre di più, tanto che si espande a una vasta gamma di prodotti tra cui banane, succo d'arancio, zucchero, tè, miele e anche l'oggetto della nostra riflessione, il cacao. Ecco dunque che nascono altre organizzazioni come Fairtrade International, che dal 1997 è capofila del sistema Fairtrade e la più grande organizzazione del mondo occuparsi di certificare una produzione rispettosa.

Fairtrade con le sue oltre 20 organizzazioni, e altre come lei, certificano che i prodotti, compreso il cacao e il cioccolato, siano realizzati nel rispetto dei diritti dei lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, siano acquistati secondo i criteri del commercio equo e abbiano un margine di guadagno aggiuntivo da investire in progetti sociali e sanitari per le comunità e il rispetto delle colture locali.

Le autocertificazioni e i problema del greenwashing

Purtroppo nemmeno l'apposizione del marchio Fairtrade è riuscita a garantire che le certificazioni siano funzionanti al cento per cento. Spesso, infatti, la certificazione non assicura che tutte le materie prime usate nel prodotto siano ecosolidali, e non solo: è nato il problema del greenwashing.

Nel corso degli anni, infatti, la tematica eco-ambientalista ha guadagnato sempre più appeal, portando le grandi multinazionali a compiere operazioni di quello che è chiamato greenwashing: riguardo il cacao, per esempio, diversi reportage hanno denunciato come tantissimi annunci di cacao ecosostenibile siano in realtà frutto di autocertificazioni figlie di riconoscimenti indipendenti che non assicurano la vera ecosostenibilità del prodotto in questione.

Questo porta grande confusione nel consumatore, che vendendo loghi e marchi aziendali ben realizzati e ideati sono portati a credere che tutte le etichette ecosolidali applicate al cacao siano rassicuranti, quando spesso non è così.

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Il limite più grande delle certificazioni del cioccolato

Al di là del greenwashing e dell'autocertificazione, anche le certificazioni più serie e riconosciute come Fairtrade presentano un limite che è giusto conoscere per compiere un acquisto consapevole. Il problema è che il marchio equo e solidale è sicuro quando acquisti un prodotto mono ingrediente come la frutta il caffè.

Nel caso del cioccolato il discorso è più complesso perché all'interno non c'è solo il cacao ma più ingredienti, e non è detto che il tracciamento della filiera seguito per il cacao valga anche per il resto dei componenti del prodotto.

Un tentativo di soluzione è stato ideato proprio da Fairtrade, che ha sdoppiato l'etichetta creando un nuovo marchio con modello FSI – Fairtrade Sourced Ingredient, in cui solo alcuni ingredienti sono certificati. Per quanto riguarda il marchio Fairtrade tradizionale, è specificato dalla stessa organizzazione che almeno il 20% degli ingredienti proviene da organizzazioni di produttori certificati, non tutti. Purtroppo non è una pratica applicata da tutti, e quindi può capitarti di trovare un marchio equo e solidale che in realtà non garantisce per tutti gli ingredienti del prodotto.

Un'altra soluzione applicata in alcuni casi, nell'industria del cacao ma anche nei campi del tè e dello zucchero, è che le cooperative abbiano due fabbriche separate per i prodotti certificati e per i prodotti non certificati. Il problema è che questa operazione richiede costi e attrezzature anche non tutte le organizzazioni possono permettersi, e quindi è ancora di difficile applicazione.

Inoltre la questione delle certificazioni di complica ulteriormente se si aggiungono altri elementi al quadro generale: il fatto, per esempio, sostiene che ben il 95% dei lavoratori delle piantagioni di cacao non sappiano se la piantagione dove stanno lavorando sia o meno certificata. Oppure la questione della deforestazione, ambito in cui spuntano nuove certificazioni di continuo, o la questione del lavoro minorile, ancora non tutelato come dovrebbe.

Il risultato è dunque una moltiplicazione di riconoscimenti che rende impossibile al consumatore sapere chi certifica cosa. Proprio per questo è molto importante che quando acquisti il cioccolato o qualsiasi altro prodotto che riporta il marchio ecosolidale, leggi bene il tipo di etichetta applicata e impari le organizzazioni più affidabili e trasparenti.

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Un altro problema dell'ecosolidale: il gusto

A complicare ancora di più una situazione già confusa ci si mette anche la questione del gusto: per quanti controlli e certificazioni possa avere, il cioccolato ecosolidale viene sottoposto ad un trasformatore industriale che si occupa della lavorazione, e quindi a livello di gusto diventa standardizzato proprio come il cioccolato non controllato.

Non ti scoraggiare però: per fortuna esistono delle eccezioni felici, che riescono a bilanciare la pratica del commercio equosolidale applicata con serietà e un prodotto di alto livello. E, per nostro grande vanto, molte sono italiane.

Tra i progetti più interessanti spiccano Altromercato, Altraqualità con sede a Ferrara, la siciliana Scambi Sostenibili e Ad-Gentes nata a Pavia: sono tutte organizzazioni che riescono ad assicurare al cliente un prodotto sia ecosolidale che artigianale. Un progetto ancora più ampio e strutturato è quello di Chocofair, diventato un vero e proprio case history.

Nata nel 2013, è una rete di consulenza voluta da Andrea Mecozzi, selezionatore di cacao e consulente, con l'idea di sviluppare filiere dirette, consentendo a cacao normalmente fuori mercato per la grande industria (i cacao naturali, aromatici, da piantagioni sostenibili, o coltivati da famiglie o cooperative etiche) di accedere al mercato internazionale.

Ciò che c'è di interessante nel lavoro di Chocofair è che non si concentra solo sul miglioramento culturale e sociale dei territori sui quali operano le cooperative, ma si impegna anche a fare formazione affinché i produttori possano migliorare le selezioni della materia prima, così da poter accedere a mercati di qualità.

Nascono così Scay-scoops in Costa d’Avorio, ChocoTogo in Togo, Riserva della Gola in Sierra Leone e Choco+ in Costa d’Avorio, realtà che permettono agli agricoltori (in questo caso africani, ma non solo) di competere con i grandi artigiani del cioccolato. È un approccio che fa ben sperare per il futuro, e che se applicato su vasta scala potrebbe portare il mondo dell'equosolidale a fare un passo in avanti non solo nell'assicurare eticità, ma anche qualità dei prodotti.

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