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Cento anni fa, presso la Stazione Sperimentale di Risicoltura e delle Colture Irrigue, il professor Giovanni Sampietro introdusse per la prima volta in Italia la tecnica dell’incrocio tra varietà diverse di riso. Vent’anni dopo, nel 1945, grazie a questa tecnica la famiglia De Vecchi creò il perfetto riso da risotto: così nacque a Paullo il riso Carnaroli, ibridazione in cui è stato raggiunto il perfetto equilibrio tra amilosio e amilopectina – due componenti principali dell’amido contenuto nel riso – che garantisce una tenuta di cottura eccezionale e una grande capacità di assorbire i sapori.
Ecco perché il Carnaroli è considerato il riso perfetto per i risotti: lo è davvero, proprio per la natura stessa di cui è composto. Nel 2025 questa grande eccellenza italiana, che oggi sta vivendo un nuovo periodo di fama, compie 80 anni, un bel traguardo per una produzione piuttosto difficoltosa che rende la varietà di riso una delle più rinomate e più amate. Coltivato solo in alcune zone tra Lombardia e Piemonte lungo il corso del Po (province sono quelle di Pavia, Novara, Vercelli), si riconosce per la dicitura “Classico”: se non la riporta si tratta di imitazioni o ulteriori ibridazioni, motivo per cui è bene sapere come riconoscere l’originale.
Esploriamo la lunga storia del "re del riso", ma scopriamo anche quali sono le caratteristiche che deve avere il vero Carnaroli Classico, le stesse che lo rendono così pregiato e amato sia nella vita quotidiana che dai grandi chef.
La storia del riso Carnaroli, il “re del riso”
Il riso Carnaroli nasce nel 1945 nelle risaie nei pressi di Paullo, in provincia di Milano: è qui che Ettore e Angelo De Vecchi, proprietari delle risaie in questione, usarono le tecniche ideate dal professore Giovanni Sampietro per incrociare due varietà già esistenti fin dall’Ottocento, il Lencino e il Vialone Nero. I De Vecchi, agronomi e risicoltori, avevano un desiderio: creare un chicco grande e consistente, un’impresa insolita per quegli anni, in cui le ricerche si concentravano sul trovare qualità che fossero più produttive e più resistenti alle malattie.
Le sperimentazioni dei De Vecchi iniziano nel 1939, ma solo nel 1945 riuscirono a mettere a punto quello che poi diventerà il mitico “re del riso”, il riso perfetto per cucinare i risotti: l’agronomo, infatti, riesce a dare vita a un prodotto che combina le migliori caratteristiche delle due varietà da cui nasce, la resistenza alla cottura del Vialone e la capacità di assorbimento del Lencino. Ma se gli inventori si chiamavano De Vecchi, perché il riso ha preso il nome di Carnaroli? Esistono diverse teorie a riguardo.

Le più gettonate sono due: numerosi fonti sostengono che il nome derivi dal cognome dell’adacquatore della cascina dei De Vecchi, il quale aveva il compito di controllare gli esiti degli incroci direttamente sui campi, altre invece affermano che il nome sia stato scelto in onore del professor Emiliano Carnaroli, presidente dell’Ente Nazionale Risi in quegli anni; proprio lui, infatti, fu tra i primi a intuire il brillante futuro del nuovo riso. Il Carnaroli venne inventato ufficialmente nel 1945 ma soltanto nel 1974 venne segnato sul Registro Varietale (che si occupa di classificare tutti i prodotti dell’agricoltura italiana, compreso il riso). In questa fase la responsabilità della conservazione in purezza rimase alla famiglia De Vecchi, poi passò nel 1983 all’Ente Nazionale Risi, quando dopo 10 anni come da iter venne ufficialmente riconosciuto e classificato come prodotto stabile.
La fama però non arrivò subito per il Carnaroli: inizialmente non fu una coltivazione apprezzata perché farla crescere è difficile, la pianta è esile, non si adattava bene alle tecniche usate al tempo e inoltre è una cultura che richiede molte accortezze. Solo negli anni ’70, quando le tecniche di semina del riso si rinnovarono, il Carnaroli finalmente trovò le condizioni adatte per crescere ed essere notato dai cuochi e dai consumatori (e di conseguenza dall’industria) per la sua eccellenza in cucina.
Attenzione ai “falsi” Carnaroli
Per anni il riso Carnaroli, nonostante si diffondesse sempre più nelle cucine casalinghe e professionali, è stato prodotto e commercializzato senza particolari regolamentazioni sulla purezza genetica. Solo nel 2017 l’Ente Nazionale di Risi introduce, con un decreto, introdotta la dicitura "Carnaroli Classico", riservata esclusivamente ai produttori che coltivano il vero Carnaroli in purezza. Era ormai necessario, perché nei lunghi anni senza una normativa specifica si sono imposte sul mercato una serie di tipologie di riso simile al Carnaroli ma con profili di cottura e aromatici differenti: varietà simili o una miscele ibridi che non sono però il prodotto storico originale, ma che sono spacciate come tali.
Questo fenomeno è “colpa” anche di una vecchia normativa risalente al 1958, che ha stabilito criteri di classificazione del riso basati su caratteristiche estetiche piuttosto che genetiche, portando come risultato la possibilità di raggruppare sotto lo stesso nome varietà simili solo nell’aspetto ma non nelle caratteristiche organolettiche. I produttori che continuano a coltivare il Carnaroli Classico sono pochi rispetto a quelli che invece coltivano le varietà similari, perché mantenere la purezza di questa varietà è un lavoro molto complesso: la pianta è fragile, meno produttiva e più soggetta a malattie rispetto ad altre varietà, inoltre sporca il campo e quindi richiede una rotazione, ovvero non può essere coltivata sempre nello stesso terreno.

Tutto questo si traduce in una produzione ridotta e in un aumento dei costi di produzione, motivo per cui il vero Carnaroli non è così diffuso quanto immagini e ha un prezzo elevato rispetto ad altre varietà, o rispetto ai “falsi” Carnaroli in circolazione. Come fare a riconoscere l’originale sugli scaffali del supermercato? Devi fare attenzione alla dicitura: è il vero riso Carnaroli solo se il nome è preceduto dalla dicitura “Classico”, se sulla confezione trovi scritto solo Carnaroli (e in aggiunta il prezzo è molto basso), è probabile che si tratta di un ibrido.