27 Gennaio 2020 13:00

Farina: varietà principali, come riconoscerle e come sceglierle

L'importanza della forza nella farina per la scelta del prodotto, più della tipologia. La differenza fra grano duro e grano tenero, ma anche fra tra le tipologie 00, 0, 1, 2 e integrale, con le loro caratteristiche. Esistono farine buone? Non esistono in senso assoluto, ma solo in rapporto al prodotto che dobbiamo preparare. Ecco tutti i trucchetti per acquistare consapevolmente.

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La farina è un prodotto fondante dell’alimentazione mondiale, figlio della macinazione e del conseguente abburattamento dei semi o della frutta secca di moltissime piante. Nella storia dell'umanità ci sono state guerre, rivoluzioni, invasioni, solo e unicamente per la farina.

Ci sono tanti tipi diversi di prodotto però: abbiamo la farina di mais, di farro, di riso, di avena, di segale, di castagne, di ceci, di mandorle, di grano saraceno, di orzo tra le più conosciute. Nel linguaggio comune con il termine farina è però indicata solo quella ottenuta dal grano, utilizzata per la maggior parte dei prodotti alimentari.

Differenza fra grano tenero e grano duro

Una domanda che sorge spesso spontanea: che differenza c'è fra le farine di grano tenero e quella di grano duro? In realtà sono due tipologie di frumento simili fra loro livello strutturale, ma che hanno forti differenze dal punto di vista nutrizionale e degli usi. La farina di grano tenero viene fatta da Triticum aestivum, mentre quella di grano duro deriva dal Triticum durum; si tratta di due varietà della stessa pianta, che afferisce alla famiglia graminacee. Vediamo insieme le differenze principali fra i due prodotti.

  • Partiamo dall'estetica: il chicco di grano duro è davvero “duro”, ha una forma leggermente più allungata e si presenta quasi traslucido: cresce meglio nei terreni assolati ed è infatti molto diffuso nelle regioni del Sud Italia. La farina ottenuta da questa tipologia è chiamata anche semola: ha una grana grossolana, di colore giallo-ambrato, ha un livello di proteine e glutine maggiore rispetto alla farina del grano tenero ed è capace di assorbire più acqua. I prodotti preparati con farina di grano duro hanno una conservazione migliore e un minore indice glicemico. L'impasto ottenuto presenta una estensibilità minore rispetto al tenero (l'indice di estensibilità dell'impasto, espresso in mm, indica la capacità di avere porosità in un impasto, cioè gli alveoli, e viene indicato con la lettera L); in compenso possiede un’alta tenacità (indicata con P, è l'indice della tenacità dell'impasto espresso in mm: più alti sono i valori, più aumenta la quantità di acqua necessaria per avere la giusta consistenza e la resa in panificazione). Cosa vuol dire tutto questo? In sostanza, vuol dire che la farina di grano duro è indicata sia per la pasta secca (ma non solo) che per il pane. In particolare, la tradizione vuole che questo tipo di farina sia usato soprattutto al Sud: per fare degli esempi, il Pane di Altamura è fatto con farina di grano duro, semola, al 100%, così come la gran parte delle paste tradizionali del Sud (cosa che però non vale per altri tipi di pasta provenienti da altre zone d'Italia).
  • Il chicco di grano tenero, invece, è invece più opaco, friabile, tondeggiante e tende a rompersi facilmente: cresce decisamente meglio in un clima umido, come quello della Pianura padana. La farina ottenuta dalla macinazione di grano tenero, la cosiddetta “farina bianca”, contiene meno proteine rispetto alla farina del grano duro e ha un assorbimento di acqua minore. Inoltre, l'impasto che si produce con questa farina ha una buona estensibilità e una tenacità medio-bassa: per questo si usa soprattutto per prodotti lievitati come i dolci, ma anche la pasta fresca e pasta all'uovo.

Le varietà principali della farina di grano tenero: 0, 00, 1, 2 e integrale

Dalla macinazione del grano tenero si ottiene una resa in farina che oscilla tra il 70 e l'82%; il rimanente 18-30% è costituito da elementi come crusca, cruschello, germe, farinaccio, che non vengono impiegati in cucina tranne in rarissimi casi. Secondo il grado di estrazione si possono distinguere diversi tipi di farina: quelle che derivano da basse estrazioni (abburattamento del 70-75%) sono fatte principalmente con la parte centrale del chicco e hanno evidenti caratteristiche di candore e purezza: in Italia questa tipologia è denominata con l'etichetta "tipo 00".

Al contrario, una farina che subisce un certo tasso di estrazione (circa 80%) sarà meno chiara (perché contiene anche la farina proveniente dalla parte esterna del chicco): queste sono denominate con i marchi farina tipo 0, tipo 1 o tipo 2. Infine, c'è l'integrale che non è composta dal 100% del frumento macinato (la legge italiana fissa dei limiti di presenza di ceneri per cui una parte di crusca deve essere rimossa), ma contiene comunque un livello elevato di crusca.

“Le farine si differenziano in base alla quantità di crusca presente e questo dipende dall’abburattamento, ovvero la setacciatura del chicco” ci dice Salvatore Kosta; un maestro-professore che prima di arrivare a mettere le mani in pasta, si è laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari, una laurea che gli ha fornito le competenze teoriche per presentare uno dei migliori impasti d’Italia.

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Più il chicco è integro, più la farina diventa grezza: così si va dalla farina integrale (più scura, con più crusca), alla farina tipo 00 (più bianca, pressoché priva di crusca). Ma entriamo nel dettaglio.

  • Partiamo proprio da quella che viene chiamata “Fior di farina”, la farina 00. Si ottiene con la prima macinazione e dalla parte più interna del seme. Questa farina è composta solo da amidi e proteine, risultando più povera di sali minerali, vitamine e fibra. Molto indicata per preparare la pasta fresca o all’uovo.
  • La farina di tipo 0 risulta ancora bianca alla vista ed è ricavata dalle semole; ha molti amidi e poche proteine: ideale per il pane.
  • Le farine di tipo 1 e 2 cominciano a “scurirsi” a causa della presenza di crusca, amidi e proteine. Molto indicate per la pizza perché meno aggressive della farina integrale ma con più possibilità di dare una struttura sensoriale al prodotto finito.
  • La farina integrale è invece quella fatta con tutto il germe. Questa è la farina più completa dal punto di visto nutrizionale. Una farina un po' "snobbata" ma che negli ultimi anni vive una nuova vita, grazie a pani e focacce integrali.

Come scegliere una buona farina: farina "forte" versus "debole"

La premessa doverosa è che non esistono farine più “buone” o meno “buone” in senso assoluto. La bontà della farina è solo in relazione al prodotto che si vuole realizzare e questo, più del tipo di farina, lo dice la “Forza” proprio come in Star Wars. “La farina dobbiamo sceglierla in base alla quantità di proteine, più che sulla quantità di crusca” ci dice Kosta. Praticamente la parte cruscale incide sul gusto, la parte proteica sulla tecnica: “Prima di scegliere una farina devo chiedermi cosa ci voglio fare. Per arrivare a questa scelta dobbiamo cercare all’interno della tabella dei valori nutrizionali, il numeretto delle proteine. Più è alto, più la farina è forte". Questo non vuol dire che una farina debole sia di bassa qualità, attenzione. "dipende appunto da cosa dobbiamo realizzare con questo prodotto: perché una forza bassa ha meno glutine, ed è adatta a specialità che non devono assorbire tanta acqua né prevedono l’uso dei grassi. Una farina debole possiamo usarla per i biscotti, le cialde, i prodotti friabili; al contrario per una pizza di alta qualità che ha bisogno di una lunga maturazione e riposo, devo usare una farina molto forte, in grado di reggere l’onda di CO2 prodotta dai lieviti”.

A testimonianza che la farina forte non sia sinonimo di farina buona (e viceversa), Kosta ci dice anche l’esempio contrario: “Se dovessi fare una pizza maturata per 12/24 ore con una farina forte, dal valore che va dai 240 e i 350, il piatto risulterà gommoso”.

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L’indicazione in foto, tratta da un pacchetto di farina Barilla di Tipo 00 usato come esempio ha un valore proteico di 11 grammi su 100 di prodotto, il che la rende una farina debole, non adatta a panificare, ma in compenso adatta per biscotti, cialde, dolci friabili.

Tutto questo nella grande distribuzione è difficile da percepire dice il pizzaiolo (ed infatti sulla confezione in foto non c’è), perché “Purtroppo i dettagli sulla forza non sono disponibili. Un metodo per valutare la forza di una farina è controllare il suo contenuto proteico: a parità di tipologia di farina (0,00, etc) un valore più alto corrisponde ad un W più alto, la W è il simbolo della forza”.

Bisogna però fare attenzione alle farine integrali che hanno un alto valore di proteine perché “sono legate alla presenza della crusca e che non contribuiscono alla formazione del glutine e per questo sono più difficili da panificare”. La forza della farina è dovuta all’indice di panificabilità, un calcolo ottenuto con l’alveogramma e che indica un alto contenuto di glutine.

  • Le farine con una W inferiore a 130 hanno un contenuto proteico del 9% e sono adatte solo ai biscotti.
  • Da 130 a 170 hanno un valore proteico del 10/11%, tra i 170 e i 240 la farina comincia ad essere forte, il contenuto proteico è del 12% e regge l’anidride carbonica di maturazioni sostanziose.
  • Tra i 240 e i 350 sono farine con il 13% di contenuto proteico, indicate per prodotti da lunga lievitazione come pizze molto idratate o panettoni.
  • Infine ci sono le farine con una forza superiore alle 350W, hanno un contenuto proteico tra il 13 e il 15% e sono usate solo per rafforzare farine troppo deboli.

Al supermercato il suggerimento è semplice: leggere le etichette. La farina non esiste in natura, è un prodotto lavorato e che si deve lavorare ulteriormente. L’ingrediente è il grano, quindi per giudicare la farina bisogna conoscere il grano e la sua origine, la sua macinazione, la sua coltivazione. Più un’etichetta è prodiga di informazioni, migliore sarà la qualità della farina.

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