
Erbe, radici, vinacce, cereali, scorze, bacche: il bere italiano nasce quasi sempre da elementi umili, agricoli, legati a un territorio preciso e a una stagione. Prima di diventare distillati, amari o vermouth, sono materia prima trasformata dal tempo, dal lavoro e da scelte produttive che parlano di paesaggi, tradizioni locali e visioni personali. È in questo passaggio, spesso invisibile al consumatore finale, che si gioca gran parte dell’identità del bverage italiano contemporaneo.
Raccontare questa complessità senza semplificarla è l’obiettivo da cui riparte Spirito Autoctono – La Guida 2026, tornata in libreria con una nuova edizione pubblicata da Trenta Editore. Più che un elenco di etichette, la guida prova a leggere il settore partendo da ciò che lo genera: territori, materie prime e mani che le trasformano, restituendo una fotografia aggiornata di un mondo in continua evoluzione.
Oltre il censimento, una mappa viva
Dentro le sue pagine convivono oltre 900 etichette e più di 200 produttori, ma il dato numerico non è il punto centrale. La direzione editoriale di Francesco Bruno Fadda e Lara De Luna costruisce una mappa ampia e volutamente non omogenea, dove grandi nomi e micro-distillerie condividono lo stesso spazio narrativo. Ne emerge un settore frammentato, in movimento, fatto di aziende storiche che rischiano l’invisibilità e nuovi progetti che sperimentano linguaggi, stili e identità produttive.
I numeri che raccontano i territori
Le degustazioni restituiscono una fotografia piuttosto chiara del momento attuale. Le 200 Ampolle d’Oro, massimo riconoscimento della guida, e i 192 prodotti premiati con 4 stelle delineano una geografia del gusto che non ha un centro unico. Il Piemonte si conferma regione chiave per numero di riconoscimenti e referenze, mentre la Lombardia spicca per concentrazione di gin. Non una classifica definitiva, ma l’indicazione di aree dove la sperimentazione e la qualità stanno trovando terreno fertile.
Uno degli obiettivi dichiarati di Spirito Autoctono è evitare le zone d’ombra: accanto alle etichette consolidate, infatti, trovano spazio storie familiari, distillerie artigianali, progetti nati con pochi mezzi e idee molto precise. È qui che la guida diventa interessante: quando restituisce dignità a un settore che non vive solo di eccellenze iconiche, ma anche di tentativi, rischi e identità in costruzione.

Bere Bene a Tavola: dove il bere trova casa
La guida 2026 include anche la nuova selezione Bere Bene a Tavola, 251 indirizzi tra bar, ristoranti, enoteche, bistrot e pizzerie. Non una lista “alla moda”, ma una mappatura di luoghi in cui il bere di qualità è parte integrante dell’esperienza quotidiana. Le 69 Ampolle assegnate per l’eccellenza raccontano un’Italia che beve meglio quando il racconto passa dal servizio, dalla competenza e dalla coerenza delle scelte.
Accanto alla valutazione tecnica, cresce l’anima turistica della guida. Distillerie visitabili, itinerari tematici, aziende storiche e progetti green costruiscono percorsi che legano il prodotto al territorio. Nasce così l’idea di uno “spiriturismo” che invita a viaggiare seguendo il bicchiere, non come pretesto, ma come strumento per leggere paesaggi, comunità e culture produttive.